Una lezione economica dalla Cina

cineseTutt’ora, quando si parla di Cina, viene in mente un paese che è ben diverso da quanto appare nella realtà. In Europa continuiamo a credere che la competitività cinese sia dovuta principalmente al bassissimo costo della mano d’opera, e che i cinesi sia trattati più come schiavi che lavoratori con diritti. In realtà la situazione è mutata già da un po’ di tempo.
È vero che la Cina si è potuta giovare per anni di abbondante mano d’opera a basso costo, e questo ha attratto migliaia di imprese straniere, circa 700mila di cui almeno 400 sono multinazionali. Ma è anche vero che tale situazione ha consentito una crescita poderosa dell’economia che si è accompagnata ad un crescita del reddito della popolazione, raddoppiato negli ultimi 8 anni, che ha consentito di ridurre il numero dei poveri delle campagne a circa 20 milioni dai 250 milioni di 30 anni fa.
La Cina è riuscita quindi ad attrarre numerose imprese dall’estero, ma da qualche anno ha iniziato a pretendere un trattamento migliore per i suoi lavoratori. Negli ultimi mesi numerose aziende sono state scosse da scioperi e proteste che hanno portato aumenti salariali fino al 40% e l’introduzione di diritti per i lavoratori. Quello che non si è ben compreso in Europa è che tali rivendicazioni non sono affatto, come qualcuno ha pure sostenuto, uno schiaffo al governo cinese, ma sono addirittura appoggiate dal governo e dalla stampa ufficiale che ha preso apertamente la posizione per gli scioperanti.
Il motivo non è così difficile da comprendere. Se da un lato la mossa di attrarre aziende dall’estero è stata vincente, dall’altro la Cina ha necessità di creare un mercato interno, quindi occorre dare benessere maggiore ai lavoratori, in modo che con i loro aumentati salari possano sostenere la produzione cinese.
Lo sviluppo di un mercato interno consentirà, sul lungo periodo, di diminuire la dipendenza dell’economia cinese dalle esportazioni.
Il governo cinese sta, quindi, appoggiando e sostenendo in tutti i modi lo sviluppo delle zone in ritardo economico, invogliando potenziali investitori, i quali, di contro, nonostante le maggiori rivendicazioni salariali, e non solo, dei lavoratori cinesi, accondiscendono generalmente alle loro richieste grazie alle pressioni in tal senso del governo cinese, ma anche ben consci che la qualità della produzione dipende anche dalla preparazione dei lavoratori, e non è sempre del tutto indifferente delocalizzare le aziende, come sembra credere qualche capitano coraggioso nostrano (anche se, bisogna dirlo, le aziende italiane non sono molto avanzate tecnologicamente, per cui non abbisognano in genere di lavoratori specializzati).
Praticamente quasi nessuna azienda ha preferito de localizzare dalla Cina in altri paesi, come il Vietnam per esempio, preferendo mantenere una mano d’opera più qualificata.

Altro punto cruciale per l’economia cinese è la massiccia ossessione per l’energia verde che ha portato ad importanti investimenti in tutte le tecnologie che consentono l’abbattimento dell’inquinamento e la riduzione del consumo dell’energia. Così abbiamo città illuminate a led prodotti da aziende cinesi, una tecnologia innovativa che consente l’abbattimento dei consumi fino al 70%, oppure città con tetti coperti da pannelli solari che alimentano le abitazioni, anche qui pannelli prodotti da aziende cinesi.
L’utilizzo di tecnologia a basso impatto ambientale consente anche di guadagnare in altro modo, sfruttando il mercato dello smog. Il protocollo di Kyoto ha introdotto, infatti, le quote di inquinamento per i vari paesi, ma consente anche il mercato di queste quote, purché la somma finale sia bilanciata. Per cui un paese che inquina meno di quanto potrebbe, può vendere le sue quote ad altri paesi che inquinano più di quanto sia loro consentito. Ed è proprio quello per il quale la Cina si sta attrezzando.

Insomma, la strategia cinese è abbastanza semplice, ma nel contempo vincente. Attrarre capitali ed aziende dall’estero e poi realizzare le condizioni per creare un mercato interno che possa da un lato sostenere l’economia cinese e la sua produzione, e dall’altro portare benessere ai cinesi.
Molto di tutto questo è dovuto, probabilmente, alla riforma della scuola realizzata decenni fa (con investimenti massicci nell’istruzione, mentre altri paesi tagliano a più non posso), che ha impresso un miglioramento deciso alla società cinese, ma anche ai continui investimenti del governo per elevare le competenze dei lavoratori, garantendosi, quindi, una competitività internazionale non tanto basata sul basso costo della mano d’opera, quanto piuttosto sulla elevata produttività della mano d’opera qualificata.

Noi, in Europa e soprattutto in Italia, stiamo ancora favoleggiando di una Cina che cresce grazie ai suoi lavoratori trattati come schiavi e alla distruzione sistematica delle risorse naturali, e nel contempo cerchiamo di uscire dalla crisi abbassando i salari e eliminando i diritti dei lavoratori, finendo addirittura per non rispettare la sentenza di un giudice che dichiara illegittimo un licenziamento e ne ordina la reintegrazione.
Quello che proprio non vogliamo comprendere è che senza un mercato interno non si va da nessuna parte, perché se le auto le produciamo in Serbia, i lavoratori italiani non si potranno permettere di acquistarle. E i continui sovvenzionamenti alla Fiat, diretti od indiretti (come i blocchi antismog per costringere a cambiare l’auto ogni 2 anni), non fanno altro che rimandare il problema, gravando sempre di più su quei lavoratori che perdono il lavoro per le delocalizzazioni.
Se invece la Cina continua a correre un motivo ci sarà, mentre l’Europa è ferma da tempo, a parte la Germania, che però sta riemergendo proprio grazie alle esportazioni verso la Cina.


Commenti
Sono stati scritti 2 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrez - 28 agosto 2010

    Il costante, originale e tumultuoso sviluppo della Cina appare un argomento di estremo interesse, capace di toccarci direttamente come abbiamo osservato recentemente in questo e questo topic.

    In effetti come la Cina stia affrontando la questione delle rivendicazioni salariali e normative dei suoi lavoratori. spesso appoggiandole, presenta aspetti fortemente differenziati da quelli degli altri Paesi come India o Brasile.

    Restano almeno un paio di aspetti che dovremo seguire con estrema attenzione;  come il sistema Cina affronterà l’espandersi di queste rivendicazioni dei pochi, di fronte all’enorme massa di forza lavoro disponibile (quantificabile in centinaia di milioni) e nel caso, quanto potrà mantenersi competitiva di fronte agli altri Stati in via di sviluppo (India, SudEst Asiatico ecc.) che manterranno condizioni salariali e normative a livelli bassissimi.

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  2. avatarBlog di Andrez » Blog Archive » Marchionne: Fiat meglio senza Italia - 25 ottobre 2010

    […] più volte trattato il problema della competizione dei Paesi emergenti come Cina e India che bloccherebbe l’economia italiana costringendo le aziende a […]

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