Il declino della civiltà europea

il declino della civiltà europeaE’ un dato palese che la civiltà occidentale è ferma da tempo, se non addirittura in declino. L’Europa non produce più nulla di nuovo, tranne qualche idea che viene dai paesi ai margini, come quelli del nord Europa, per il resto è in evidente affanno in tutti i settori, a partire da quello economico. L’Unione Europea rappresenta circa l’8% della popolazione mondiale e il suo tasso demografico è bassissimo, la ricchezza prodotta si riduce costantemente al punto che il 7% della popolazione europea vive sotto la soglia di povertà, si riducono le industrie europee presenti nel territorio per effetto della globalizzazione.
L’Asia, invece, è in tumultuoso sviluppo, e non mi riferisco solo a quello economico, abbastanza palese, ma anche a quello sociale. Certo, essendo partiti in notevole ritardo, sono ancora un po’ indietro, e soprattutto pagano in poche generazioni quei guasti che noi europei abbiamo vissuto in vari secoli. Ma è ovvio che c’è una differenza di sviluppo ormai notevole, anche se qui in Europa continuano a raccontarci la favola dell’Asia che si regge sullo schiavismo dei lavoratori. In Asia si stanno realizzando quelle conquiste sociali che noi in Europa stiamo progressivamente perdendo (basti pensare alla Fiat).
Il punto è che tutte le civiltà, raggiunto un apice del loro sviluppo, tendono a declinare. L’errore più grave è che alcuni paesi si stanno chiudendo a riccio, attuando politiche protezioniste, che in realtà non rallentano affatto il declino ma addirittura lo accelerano, portando nel contempo maggiori guasti nel tessuto sociale, ricreando quelle distinzioni di classe che si credevano abolite da tempo: ricchi e poveri!
Siccome non è possibile salvare tutti, allora si buttano a mare i poveri per salvare almeno i ricchi, e questa tendenza si osserva non solo a livello locale, all’interno delle singole nazioni o regioni, ma anche tra nazioni e nazioni.

I paesi più intelligenti, come la Germania, invece cercano nei limiti del possibile di aprirsi alle nuove forze, e quindi prendere il meglio delle altre civiltà, cercando nel contempo di non perdere la loro identità. Noi italiani che non siamo forti, economicamente prima di tutto, perderemo col tempo la battaglia della sviluppo e finiremo terreno di conquista per chi riuscirà a cavalcare la tigre delle nuove idee che nasceranno alla fine di questo lungo periodo di crisi. Perché non bisogna dimenticare che ad ogni crisi economica segue sempre una crisi sociale, e solo chi si attrezza per tempo a reggere all’urto potrà uscirne indenne o addirittura più forte.
L’Italia negli ultimi anni ha perso tutte le posizioni possibili in Europa, adesso si accinge a perdere anche i confronti con paesi extraeuropei, e gradualmente, se non si rimette velocemente in carreggiata, finirà per diventare colonia di altri. Già adesso possiamo vedere nei settori economici la sconfitta del nostro paese, che ha perso tutte le aziende più importanti, e nei prossimi mesi probabilmente perderà il controllo di Unicredit e Generali. Ad un declino economico seguirà un indubitabile declino sociale che già si vede ammorbare pesantemente la vita di tutti i giorni, con italiani che combattono altri italiani, le quotidiane guerre tra poveri, nelle quali i sempre meno ricchi (ma di contro sempre più ricchi) prosperano, svendendo quel che rimane del paese per ottenere loro stessi dei minimi vantaggi economici a spese dell’intera cittadinanza.

Sarebbe interessante tratteggiare un confronto tra i nostri giorni e i tempi della caduta dell’impero romano, raccontati con maestria da Edward Gibbon nel famoso saggio, come il racconto di una civiltà che raggiunto il suo apice si adagia e crolla sotto la spinta dei barbari che hanno dalla loro parte la voglia di conquista e di sviluppo.
Purtroppo la storia si ripete, e pare che secoli di evoluzione non siano in grado di garantire il perdurare di una civiltà che comunque ha raggiunto discrete conquiste in molti campi. In assenza di un riscatto morale questa civiltà appare destinata a crollare sotto le spinte dei barbari alla porte, siano essi cinesi, islamici, o semplicemente barbari di casa nostra.

Tornando in Italia vediamo un edonismo diffuso, un cinismo imperante e una illegalità estesa, con larghe zone del territorio che sono in mano alla criminalità organizzata che funge da Stato laddove lo Stato si è ritirato da tempo, complice una politica che svende e distrugge tutto ciò che è pubblico, giungendo a privatizzare anche la sicurezza e la giustizia, ormai entrambe appannaggio dei ricchi.
Un elemento che varrebbe la pena di analizzare è la natalità in Italia, tra le più basse in assoluto. Se non ci fossero gli stranieri, i tanto vituperati stranieri, a riequilibrare i conti, saremmo da anni in negativo (più morti che nascite). Il nostro paese è un paese di vecchi, retto da vecchi e strutturato per vecchi, dove i giovani hanno possibilità solo in quanto raccomandati da un vecchio. Quindi, oltre alle scarse nascite dobbiamo aggiungere anche i tanti giovani che fuggono all’estero.

Questo non per dire che le persone dopo una certa età dovrebbero farsi da parte, ma è indubbio che un anziano raramente fa progetti di lungo periodo, sia per sé che per il suo paese, a differenza dei giovani che sono più lungimiranti, ed anche molto sognatori, propensi quindi ad immaginare quei cambiamenti al quale le generazioni più in là con gli anni non pensano mai. E in un periodo di crisi è ovvio che ciò che realmente serve non è tanto l’esperienza quanto la capacità di guardare lontano per capire quali saranno i settori in espansione dopo che la crisi sia passata.
Basti ricordare che la rete, questo fenomeno che ha invaso l’intero pianeta spazzando moltissime vecchie realtà è stata di fatto creata, realizzata e sviluppata da giovani. Tutte le maggiori società che hanno fatto fortuna in rete sono di giovani rampanti e sognatori.
In Italia mancano questi giovani, e se ci sono non trovano posto, perché in Italia si preferisce perpetuare lo status quo. È recente il fallimento di Blockbuster, azienda che vende film in dvd, mentre Netflix raddoppia il suo fatturato (e il prezzo in borsa) vendendo gli stessi film, però su internet. Un’azienda sparisce perché non ha saputo vedere lontano, un’altra prospera perché ha saputo farlo!
Nessuna storia mi appare più esemplificativa della catastrofica situazione italiana. Se Blockbuster fosse stata italiana, la avrebbero pompata a forza di incentivi statali, portando al fallimento Netflix, perdendo quindi un mercato nascente e molto promettente, e dopo anni di incentivi ci si sarebbe resi conto che non è possibile mantenere una azienda in perdita costante, per cui sarebbe comunque fallita anche Blockbuster, anche se dopo molti anni e con costi enormi per i cittadini italiani!
Questo è il peccato originale del nostro paese, ma anche la possibile causa di declino dell’intera civiltà europea.
In Cina, invece, la maggioranza della popolazione ha meno di 30 anni. E’ un dato dal quale bisognerebbe partire per una riflessione di lungo respiro……


Commenti
Sono stati scritti 5 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrez - 2 ottobre 2010

    Argomento molto interessante, che intreccia differenti tematiche.

    Vivendo nel sudest asiatico da una quindicina d’anni, frequentando giornalmente cinesi ed avendo avuto l’occasione di visitare l’area e più volte la Cina, mi sono ritrovato spesso a valutare riflessioni molto vicine alle tue.

    Un argomento che abbiamo già toccato (trattando altri temi) in alcuni Articoli (qui, qui e qui).
    Nel primo ad esempio scrivevo:

    Questi lavoratori  (Sudest Asiatico, Brasile, India e Cina) oggi non hanno diritti sindacali,  salari medi attorno ai 2-300 €./mese e servizi (scuola e sanità) relativamente pur decorosi rispetto ai precedenti, ma tali da consentire loro poco più della sopravvivenza (come descritto nell’analisi di Marx nel Capitale per i lavoratori europei di metà ‘800).

    Mentre nel secondo tu precisavi che:

    …potrebbe essere utile qualche accenno ad una realtà che è sempre stata additata come tra le peggiori, cioè la Cina, presa generalmente ad esempio come paese dove i lavoratori sono trattati come schiavi.
    In realtà le cose non sono più così, e da tempo, …

    Solo apparentemente i due concetti possono apparire in contrasto, ma mostrano entrambi realtà complementari. La Cina, nella sua immensa vastità, mostra entrambi gli aspetti; sacche di forte povertà (pur in costante riduzione) e le lotte operaie nelle grandi fabbriche multinazionali, normative e salariali, sostenute dal sistema. Stanno conquistando ciò che abbiamo perso e stiamo perdendo qui.

    Prima di arrivare nel Sudest asiatico ho avuto occasione di visitare l’area caraibica, il Magreb ed il centro Africa.
    Ognuno di essi offriva la sensazione di un forte salto nel tempo, di come forse eravamo noi cento anni fa. La socializzazione ed i rapporti tra le persone, schietti, costanti e cordiali, mi ricordavano quelli che vedevo in Emilia da bambino, negli anni ’50, e scomparsi con l’industrializzazione ed il boom economico.

    Ma l’Asia non mostrava l’apatica indolenza comune agli altri paesi che avevo visitato, nè l’approssimativa furberia del Magreb;  pur mostrando in misura ancora maggiore cordialità e schiettezza, in Asia le persone apparivano quiete e riflessive, instancabilmente operose e … tolleranti.  Forse ispirate dalle loro religioni (che conosco pochissimo) basate sulla trasparenza e l’assenza di falsi ideali, che stimolano a vivere una vita reale priva di falsi miti, arrivismi ed egoismi.  (Un monaco una volta mi disse: “voi occidentali ambite ad alti traguardi e per realizzarli vi distruggete l’esistenza quotidiana; … ambite un pò meno e sarete felici.”)
    ___

    A volte forse in modo retorico, arriviamo a ritenere l’immigrazione come un’occasione di arricchimento, una risorsa per la nostra vecchia civiltà.  Personalmente non ho dubbi su questo concetto.  Lavorando duro assieme agli asiatici, per anni ho apprezzato l’arricchimento che entrambi ottenevamo con lo scambio quotidiano di esperienze, modi diversi di vedere e affrontare i problemi. Ogni giorno insegnavo loro qualcosa e loro lo insegnavano a me, ed erano davvero gratificanti gli sguardi di riconoscenza che ci scambiavamo ad ogni occasione, lieti e fieri di quella costruttiva collaborazione.

    Il futuro lo vedo grigio qui in Italia.
    In Europa, come hai ben evidenziato, vi sono numerosi tentativi, alcuni  con successo, di muoversi in questa direzione,  ma qui da noi, con l’attuale degenerazione della nostra antica civiltà come prendere il meglio dalle altre civiltà ?
    Come, se l’ideale corrente, (un edonismo diffuso, un cinismo imperante e una illegalità estesa indotti da 20 anni di berlusconismo),  ha fissato un modello di furbetto nullafacente che campa seguendo la moda e gabbando il prossimo, chiuso in modo xenofobo ad ogni confronto ?

    Da tempo penso (a volte con timore) che per la nostra degenerata debolezza (fondata sull’induzione di falsi miti) e per il soverchiante realismo operoso degli asiatici  “finiremo terreno di conquista”.  (e lo siamo già in gran parte, incapaci di competere con loro già qui in casa nostra).  E lo penso con un misto di timore e speranza, timore per una bella e colta civiltà che finirebbe e speranza di rivivere una realtà più umana e vera, basata su valori reali e trasparenti.

     

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  2. avatarRisico - 2 ottobre 2010

    una illegalità estesa indotti da 20 anni di berlusconismo

    Nostalgia della prima repubblica ?

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  3. avatarAndrez - 2 ottobre 2010

    Ti confesso che mi appare mortificante che da quanto ho scritto, dai concetti che ho riportato, tu abbia recepito (e sentito il bisogno di commentare) solo una nostalgia di prima repubblica.

    In altre parti del Blog abbiamo avuto occasione di esprimere le nostre perplessità su come si sia iniziata (circa vent’anni fa) la degenerazione della nostra civiltà con l’apparizione delle TV commerciali, e di quanto esse siano state sempre più espressione.

    Per prima repubblica si è inteso (di solito) il sistema del sottogoverno clientelare democristiano, (inclusi gli aspetti cattocomunisti) poi degenerato in tangentopoli.  Davvero il mio commento ti ha ispirato solo questo?

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  4. avatarBsaett - 2 ottobre 2010

    Sono contrario all’atteggiamento in base al quale se si critica qualcosa o qualcuno automaticamente si dovrebbe essere a favore di qualcos’altro o qualcun’altro identificato, dall’interlocutore, sulla base di una sua personale, soggettiva, acritica interpretazione.
    Se io sono contro, per fare un esempio, il partito A, questo non vuol dire che sia a favore del partito B, piuttosto potrebbe anche essere che sia a favore di un partito C, che casomai c’è ma può anche non esserci (ancora).
    Penso che il grande male del nostro tempo è il fatto di non riuscire a comprendere che per avere un mondo migliore bisogna saperlo prima di tutto immaginare. Ridurre tutto a ciò che abbiamo davanti porta (se critichi il pdl allora sei per il pd, o Di Pitro, fate voi!) all’accettare il meno peggio, a votare turandosi il naso, ad accettare il male minore. Sono 15 anni che i partiti invitano a votare il male minore. In merito a norme di legge mi sono scontrato sempre contro un atteggiamento piuttosto diffuso, c’è questa legge (lo si diceva della legge intercettazion), non è una gran bella legge, vediamo di migliorarla un pochino. E’ profondamente sbagliato, se è una pessima legge non si può migliorare, deve essere eliminata, se è un pessimo partito deve andare via, se è un pessimo governo deve andare a casa, se è un pessimo politico deve andare a casa (o in galera, se ruba). Invece no, stiamo qui in Italia a discutere da 15 anni se è giusto o meno salvare un pessimo politico, con la speranza che una volta salvato lui, si decida a governare l’Italia. Sono 15 anni che si votano pessime leggi perchè prima viene presentato un obbrobbrio (una porcata da 100) e poi la si migliora un pochino (una porcata da 50). Purtroppo alla tornata successiva si peggiora ancora quella già pessima legge, e si continua su questo andazzo, perchè non si è avuto il coraggio di dire all’inizio che quella legge non doveva passare.
    Questo perchè nessuno riesce ad immaginare che la mancanza di alternativa non nasce dall’inesistenza della medesima, ma dal fatto che questi politici di oggi la nascondono e la sopprimono.
    Il primo passo per salvare l’Italia è capire che si deve immaginare un futuro migliore, e che per far questo il peggio deve essere mandato via, a costo di andare incontro all’ignoto. Altrimenti rassegniamoci a vivere senza speranza, in attesa di un domani che sarà sempre costantemente peggiore dell’oggi.

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  5. avatarTiziana Bisogno - 3 ottobre 2010

    In Italia da tempo non si assiste a dibattiti intorno a grandi questioni che, se si esclude la dolorosa vicenda di Eluana, così brutalmente strumentalizzata dai nostri governanti. Ho nostalgia dei dibattiti vissuti, seppur da lontano e da ragazzina, sul divorzio, sull’interruzione della gravidanza. Sulle battaglie di civiltà.  Il tessuto sociale minato ormai nelle sue fondamenta, si sta sfilacciando, e pericolosamente a mio avviso. Si fa leva sulla paura per giustificare scelte e obiettivi politici mai dichiarati apertamente, ma subdolamente perseguiti e che si ha anche la sfrontatezza di chiamare riforme anzi, grandi riforme. Si polarizzano così opinioni che ci pare di aver sempre avuto, ma che sono solo il frutto di martellamenti mediatici. La decadenza morale fa il resto. Tutto questo mentre in Cina, ad esempio, si dibatte sul nuovo modello di welfare. In questi giorni mi è capitato di leggere alcune relazioni di giovani ricercatori italiani sui fermenti culturali che stanno interessando quelle aree. In Cina si dibatte del nuovo modello di assistenza sanitaria, pensionistica. Si dibatte del ruolo delle donne. Qui in Italia assistiamo, inebetiti, alle barzellette del primo ministro con bestemmia annessa, alla sua politica del cucù. Al ritorno ad una mentalità declinata al maschile che, portata all’estremo, vorrebbe reintrodurre il delitto d’onore.
    E’ vero, dovremmo avere il coraggio e la forza di immaginare un futuro migliore per quella riforma morale e intellettuale che per Enzo Santarelli rappresentava “la parola d’ordine di lungo periodo che si rivolge in profondità ad ogni italiano”.  

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