Una riforma contro

Scuola riformataCome paventato, subito dopo aver incassato la fiducia, il governo in carica passa ad approvare la riforma della scuola, anche detta Gelmini dal nome della ministra dell’Istruzione. C’era da aspettarselo, in considerazione del fatto che questo governo ha davvero poco interesse ad ascoltare le parti in causa, per cui riforma la giustizia senza sentire i magistrati, riforma il lavoro senza sentire sindacati e lavoratori, riforma la scuola senza ascoltare studenti ed insegnanti. E così, mentre la protesta studentesca dimostrava indubbia capacità strategica e notevole maturità, scorazzando liberamente per la capital con i giornalisti che non riuscivano a star loro dietro, e mentre gli anziani parlamentari si erano rinchiusi nella zona rossa, paurosi ed astiosi al stesso tempo, protetti dietro un cordone di poliziotti, il governo ha mostrato per l’ennesima volta che le leggi si fanno nonostante i cittadini, anzi, spesso si fanno contro di loro.
È vero che per dare un giudizio complessivo della riforma ci vorrà tempo, e che molte cose, come è ovvio, dipenderanno dalla buona volontà di chi dovrà applicarle quelle leggi. Ma un primo riscontro, en passant, è possibile farlo, quanto meno per sfatare alcuni miti sui quali si è basato, per lungo tempo, il dibattito sulla necessità della riforma in questione.

L’argomento principe è che una riforma radicale sia necessaria, dato il pessimo stato in cui versa l’istruzione italiana. In realtà tale pessimo stato non è affatto provato, perché se consideriamo gli organismi di ranking internazionale che giudicano e valutano le università, anche se solo una università si piazza tra le prime 200, l’Italia è, nonostante tutto, sempre in buone posizioni. Nel 2008 il Times Higher Education Supplement  realizza anche una classifica dei sistemi di istruzione superiore, accanto alla solita per singola istituzione, e l’Italia ottiene la dodicesima posizione nel mondo in termini di qualità complessiva, e prima in Europa per la probabilità che uno studente ha di ricevere una buona istruzione.
Rapporti analoghi sono stati prodotti dal’Unesco e dal CNRS francese, a testimonianza del fatto che il sistema istruzione italiano non è così tanto male come ci raccontano, e che i paesi che ci precedono sono quelli che spendono più di noi per l’istruzione universitaria. L’Italia, invece, si trova al trentaseiesimo posto dei paesi OCSE in relazione alla spesa per l’istruzione universitaria sul Pil, al ventiseiesimo per il rapporto docenti-studenti, e tra gli ultimi (si gli ultimi!) in relazione al numero di studenti che beneficiano di sussidi e borse di studio.
Il sistema di tagliare la spesa per l’istruzione, come si sta facendo oggi in Italia con la riforma Gelmini, fu attuato in Gran Bretagna e i risultati disastrosi conseguenti portarono ad una inversione della politica in materia dagli anni ’90, quando si ritornò ad investire nell’istruzione, con una crescita del 50% tra il 2000 e il 2007, a fronte di investimenti per solo il 12% in Italia. Interessante notare che nel 2008 la Gran Bretagna si classifica seconda nel rapporto del  Times Higher Education Supplement!
La stessa cosa si può dire degli altri paesi europei, specialmente Francia e Germania, che continuano a finanziare l’istruzione pubblica, mentre in Italia si continua solo a tagliare.
Allora, forse, questa riforma non è proprio così necessaria come ci raccontano, e forse la strada percorsa, dei tagli, non è la strada migliore.

I soliti “informati” dicono che la riforma è una buona cosa, perché serve a sopprimere le baronie, serve ad introdurre finalmente la meritocrazia nella scuola, e chi protesta, lo sentiamo ogni giorno e lo leggiamo sui giornali, in realtà difende lo status quo, appunto i baroni.
La meritocrazia è il fine a cui tendere, ma per avere davvero una scuola basata sui meriti si dovrebbero garantire uguali condizioni di partenza a tutti, ma è proprio in questo che la riforma manca clamorosamente, innescando quella che si potrebbe definire, invece, una redditocrazia, dove chi ha i soldi va avanti, gli altri si devono fermare.
La meritocrazia dovrebbe realizzarsi innanzitutto dirottando fondi verso le scuole pubbliche, e non verso quelle private come invece accade oggi, dove, in percentuale queste ultime, per lo più rette dalla Chiesa, ottengono più soldi delle scuole pubbliche. Chi si può permettere di pagare le rette degli istituti privati ottiene anche, ad incentivare la sua scelta verso questo tipo di istituti, un sussidio dallo Stato, cosa che invece spessissimo non accade con le scuole pubbliche. Se consideriamo che moltissime scuole pubbliche oggi si reggono sulle regalie dei genitori, che si prodigano in tutti i modi per dare un aiuto alla scuola del proprio figlio, vediamo che il costo reale per frequentare una scuola pubblica, in proporzione al reddito, è più alto per un figlio di operaio che per il figlio di un professionista od un imprenditore.
Meritocrazia vuol dire, invece, più borse di studio ai meritevoli, più sussidi a chi ha meno soldi, e non certo sussidi invece a chi ha un reddito elevato come accade oggi. Meritocrazia vuol dire borse tali da consentire allo studente di studiare, anche fuori sede volendo, in modo da poter scegliere realmente dove formarsi, perché se per studiare fuori sede devi fare un lavoro, casomai fino alle due di notte, le uguali condizioni di partenza rispetto al figlio del ricco, che può pensare solo a studiare, non esistono. Meritocrazia è anche controlli per evitare che siano i figli degli evasori fiscali ad incamerare le borse di studio, e in tal proposito sappiamo come è la situazione in Italia.

La cosa davvero grave è che i costi dell’istruzione superiore oggi gravano anche su coloro che non possono farvi accedere i proprio figli, e questo è decisamente ben poco meritocratico, con i figli degli operai, delle classi medio basse che pagano per consentire ai figli dei ricchi di studiare, mentre i loro figli, non avendo fondi a sufficienza, sono costretti ad inserirsi nel mondo del lavoro, semmai ne troveranno uno, si intende!

Ma, nonostante i tanti dubbi e i tantissimi contrari ad una riforma di tale tipo, è stata approvata lo stesso. Così sono cambiate le regole della composizione dei Cda delle università, che assume maggiore potere, e due o tre membri saranno reclutati dall’esterno, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale. Sappiamo bene le “comprovate competenze” come si intendono in Italia, è facile giustificarle a posteriore in centomila modi diversi, e la norma potrebbe facilmente determinare una deriva privatistica e una lottizzazione politica degli atenei. Pensate ad un governo che deve sistemare un po’ di gente che lo appoggia, quale modo migliore per pagare il suo debito?
I ricercatori diventeranno figure a tempo determinato, con contratti di 3 + 2 anni, e se supereranno all’abilitazione potranno diventare professori, ma se l’ateneo avrà le risorse per assumerli, ovviamente. Questo comporta, però, che i circa 25mila ricercatori a tempo indeterminato, e la cosiddetta terza fascia docente, verranno meno e saranno mandati ad esaurimento. Alcuni potranno accedere ad un concorso (con finanziamento solo parziale per il momento) da professore associato.
Ed infine l’articolo 4 della riforma, che disciplina il diritto allo studio con delega del governo e ha fatto imbufalire gli studenti. Il ministro dell’Istruzione “di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze” stabilirà i “criteri e le modalità” di attribuzione, ed il timore è che trascurando le condizioni economiche di partenza dello studente, l’università diventi un bene di lusso.

In sintesi l’impressione è che la tanto decantata meritocrazia sia più che altro una scusa per tagliare i fondi, in modo che le università saranno costrette a reperirli altrove per rimanere pubbliche. Ma alzando le rette i meno abbienti non potranno più frequentarle, con ovvie ricadute sullo sbandierato diritto allo studio. Ovviamente una università che perde studenti perderà anche soldi, e quindi o dovrà offrire necessariamente servizi più scadenti, come accade oggi per le scuole pubbliche, oppure dovrà diventare privata. A quel punto le rette saranno accessibili solo per i figli dei ricchi.

Quello che, invece, la protesta degli studenti propone è di rendere uguale il figlio dell’operaio e il figlio del professionista!!!!


Commenti
Sono stati scritti 2 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrez - 25 dicembre 2010

    Ottima sintesi di  quanto abbiamo scritto in questi giorni, soprattutto nel topic di Max.

     

    Buon Natale.  sbav

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  2. avatarUna riforma contro | Informare per Resistere - 27 dicembre 2010

    […] […]

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