Quando la ‘Sap Accatà’ si armò

Il gruppo di ragazzi che si riuniva nei pressi del ponte sulla bonifica di Via Permuta decise di costituire una Sap (Squadra d’azione partigiana).

Andammo così ad una riunione che si tenne oltre il Samoggia, nei pressi dei Forcelli e dal novembre al dicembre 1943 riuscimmo ad organizzare il gruppo ribelli Via Permuta S.A.P., composta da:
1. Scagliarini Mario
2. Cotti Alberto
3. Serrazanetti Alessandro
4. Zanetti Ariodante
5. Scagliarini Giorgio
6. Scagliarini Riziero
7. Ghèro
8. Vecchi Enrico
9. Cotti “La Mòsa”

Per sicurezza il gruppo non si riunì tutto al completo che poche volte, ma alla spicciolata, un massimo di tre per volta in quanto allora era un grosso pericolo anche solo uscire di casa, poichè, oltre al coprifuoco (per cui dopo una certa ora nessuno poteva circolare), in molte case coloniche sparse per tutto il territorio, vi erano accantonati dei tedeschi i quali svolgevano sia servizi di sorveglianza che azioni di pattuglia e non si poteva sapere dove.
In questo periodo eravamo armati di due pistole, ma occorreva armare veramente il gruppo, prepararlo per l’eventuale sollevazione, quando l’occasione si fosse presentata.
Si riunì il gruppo quasi al completo e forse fu l’unica volta, sull’argine della bonifica in Via Accatà, dietro casa Zanetti, la discussione fu ampia; argomento: le armi, dove prenderle?

Lungo la linea ferroviaria Bologna-Brennero, per evitare che i ribelli facessero saltare tratti di binari, i nazisti avevano istituito un servizio di polizia, con uomini armati di fucili con due caricatori ognuno.
Decidemmo di assaltare i poliziotti e prendere le loro armi.
Ma noi su cosa contavamo come armamento? Una pistola Beretta 7,65 con un caricatore e una vecchia rivoltella, dissepolta dopo tanti anni e che quindi presentava solo la sagoma che non avrebbe mai sparato (per fortuna), altrimenti il pericolo sarebbe stato per chi l’impugnava.

Nonostante l’armamento, l’azione si fece lo stesso, inutile però far partecipare tutto il gruppo. Si andò in cinque: Scagliarini Giorgio, Zanetti Ariodante, Cotti Alberto ed altri due.
Ci trovammo sul ponte della bonifica a mezzanotte io e gli altri compagni: era un buio perfetto, non ci si vedeva a mezzo passo di distanza. Dal canale usciva una nebbia grigia, che rendeva ancor più confusa la scena.
Prendemmo gli ultimi accordi.
Fu in questo momento che due dei nostri compagni ci lasciarono, perchè non se la sentivano di agire quella sera.
Restammo in tre, ma decisi come trenta.
Si trattava di disarmare cinque dei così detti “polizai”, che facevano la guardia alla ferrovia. Questi erano armati di moschetto con due caricatori ciascuno, mentre noi non avevamo che una Beretta con sei colpi, una pistola scarica e non funzionante ed un bastone tenuto sottobraccio a mo’ di mitra.

C’incamminammo lentamente con circospezione lungo la banchina della bonifica; l’erba era tutta bagnata e si scivolava maledettamente.

Camminavamo da circa una decina di minuti, quando giunti nei pressi del Cavamento un rumore di passi striscianti ci fece arrestare col cuore in gola. Ci immobilizzammo. I passi avanzavano verso di noi, incontro a noi; qualcuno camminava sull’argine del canale.
Presi il coraggio a due mani e gridai: – Chi va là? – Quella persona dovette prendersi un gran spaghetto, perchè lo sentimmo borbottare qualcosa, poi con una voce incerta disse più forte: – Sono io! – Io chi sarebbe? – Chiese uno dei miei compagni.
Era il casellante, che ritornava dal servizio.

Avute queste informazioni decidemmo di lasciarlo proseguire.
Il casellante s’incamminò, ma fatti alcuni passi, si volse: – Ma voi chi siete? – Polizia! – Lo sentimmo ancora brontolare chissà cosa. Proseguimmo il cammino verso il Piolino.

Giunti al ponte prospiciente la garitta, ove stavano di guardia “i polizai“, lo attraversammo carponi e scendemmo dentro l’argine del canale, poi, pian piano, fatte alcune centinaia di metri, risalimmo ed attraversammo, ventre a terra, la ferrovia e ci gettammo in un fosso laterale. Questo ci guidò proprio sotto la garitta dalla parte posteriore e lì, di nuovo riuniti, decidemmo il piano dell’ultima fase d’attacco. A me toccò la finestrella posteriore da guardare con la mia pistola scarica, all’altro la finestrella sinistra ed al terzo, che aveva la Beretta, la porta d’entrata.

Strisciando sull’erba, ci portammo ognuno ai propri posti e, già stavo per dare il segnale d’attacco, quando dalla strada vicina giunse un rumore di passi e di voci.
Ritornammo precipitosamente nel fosso provvidenziale (benchè fosse pieno d’acqua).
Era il cambio della guardia.
Per un buon quarto d’ora stettero a parlare ed a discutere, mentre noi con l’acqua al ginocchio sbuffavamo d’impazienza. Ma infine le guardie smontanti se ne andarono.
Tutto ritornò nel silenzio normale. Era giunto il momento di fare il colpo.
Ci dividemmo per andare ognuno al suo posto e quando vi giunsi m’affacciai al finestrino posteriore, già il mio compagno aveva raggiunta la porta e stava in quel momento gridando: – Mani in alto!
Vi fu un certo tramestio dentro la garitta e sentii uno che diceva sottovoce ad un altro: – Dàm al muscàt, dàm al muscàt! – Il buio era completo, non ci si vedeva un accidente ma, risoluto, misi la pistola dentro al finestrino e gridai: – Arrendetevi, siete circondati! – La violenta luce di una torcia elettrica mi investì in pieno, ma col cappello sugli occhi, il fazzoletto rosso sul resto del viso, la mia “terribile” pistola col grilletto alzato, feci certamente una brutta impressione sul malcapitato illuminatore, perchè subito la luce della lampada si volse al soffitto.
Prendemmo le armi e filammo.
Zanetti appoggiò alla garitta il ramo di pioppo dicendo: – Vi lascio il mitra.

Il colpo era riuscito! E mentre ci ritiravamo, Dante Zanetti ebbe un’uscita felice dicendo a mezza voce, ma che tutti sentissero distintamente: – Al camion! – Dando così l’impressione che si fosse in tanti e che si venisse da lontano.
Infatti il giorno dopo s’imparò che una grossa formazione di ribelli con automezzi, armati di mitra, mitragliatrice e bombe aveva assalito e disarmato un gruppo di “Polizai“.
Il gruppo si ritrovò al ponte della bonifica e ci distribuimmo le armi. Avevamo raccolto 5 fucili con i caricatori; la nostra Sap era finalmente armata ed in grado di agire.

Tornammo alle nostre case ed io nascosi il fucile sotto i coppi della porcilaia.


Commenti
Sono stati scritti 2 commenti sin'ora »
  1. avatarcrazy57 - 6 novembre 2011

    Ciao Fausto e ciao Andrea, già in Thailandia mentre qui pioviggina e che noia è…
     
    Ho finito di leggere il libro di vostro papà; è stato quasi imbarazzante leggere quelle pagine scritte in modo così… non so… disarmante, senza enfasi, senza inorgoglimenti che sarebbero stati assolutamente congrui e meritati.
     
    Mi è sembrato di entrare in una intimità a me non dovuta, come se avessi origliato dalla porta, senza essere invitata ad ascoltare la storia.
     
    Un racconto così, sottovoce, anzi, un elenco di cose fatte e ora ripetute a chi non le aveva vissute, come la lista di una spesa immaginaria, essenziale, MINIMALISTA (giàcche è di moda !) mi ha fatto gelare il sangue più di un thriller, con sbudellamenti, sangue, paura fottuta e musica appropriata.
     
    E soprattutto penso che chi scrive che il <cito> “Serrazanetti Alessandro (Tito di via Permuta) con Forni Dario (Leo dell’Accatà ) e Cotti Alberto (D’Artagnan, di via Permuta)…operarono…come truppe d’assalto”.
     
    -NOTA BENE: mette prima il cognome e poi il nome, si elenca come ultimo e sembra che parli di altri !! come se non raccontasse la sua Odissea…-
     
    Nonchè “vengo eletto all’unanimità comandante del 1° battaglione”.
     
    DICO:COMANDANTE, scusa se esisto…
     
    Non è altro che un ragazzo che ha l’età di mio figlio che non sa decidere fra giocare alla play station o col computer.
     
    Oh Dio bono, poi vogliamo fare la rivoluzione per detronizzare un nano impotente? E dove sono i nuovi partigiani? Quelli che dovranno trovare un lavoro, magari farsi una famiglia, magari vivere un pò meno braccati di come siamo noi ora, che queste cose gliele abbiamo raccontate come genitori o come nonni.
     
    Avrei tante domande da fargli, ma tant’è.
     
    Io non ho risposte.
     
    Forse che D’Artagnan sappia qualcosa che si è tenuto per sè ?
     
    Ciao ragazzi, siate orgogliosi di lui.
     
    Ale

    Lascia un Commento
  2. avatarAndrea Cotti - 8 novembre 2011

    Grazie cara Ale per il tuo bellissimo quanto sentito commento.

    In effetti come ho già scritto nel comento dell’altro articolo, ciò che stupisce di più è che avevano 20 anni questi “ribelli” e compivano scelte gravissime e cariche di profonde responsabilità.

    Ti confesso inoltre che i ventenni di oggi sembrano molto più responsabili dei 30-40enni, in quanto i primi usano internet e lì si informano, avendo rifiutato la TV lobotomizzante che ha invece mietuto la capacità critica ed il ragionamento dei loro fratelli maggiori completamente catodicizzati.

    Naturalmente mi riferisco alle tendenze più evidenti, che gente in gamba e stupidi sono da sempre da ogni parte.

    Lascia un Commento

Devi essere Registrato per poter laciare un commento!.