Quando il fucile lo prendemmo per davvero

Si fa presto oggi a dire prendiamo il fucile, che i sacrifici di Monti non ci piacciono ed è pure di destra. E a dare del vigliacco a chi non è d’accordo.

Il fucile me lo diedero, un moschetto modello 38 e mi mandarono in Russia con l’ARMIR a “portare la libertà”. Poi le cose non andarono così, e dovemmo tornare a casa in fretta, per i pochi che ci riuscirono.

Andando in Russia avevo visto altri popoli opporsi all’invasore, organizzandosi in gruppi clandestini, gli slavi, i francesi, i russi stessi nelle varie sacche che i tedeschi avevano fatto, erano riusciti a creare un’organizzazione di militari alla macchia. Perchè anche in Italia non si costituiva qualcosa di simile?

Ed effettivamente si formò il Comitato di Liberazione Nazionale, un organismo del quale facevano parte tutte le rappresentanze politiche antifasciste: Democrazia Cristiana, Partito d’Azione, partito Socialista, Partito Comunista, Partito Repubblicano… ne era comandante il gen. Cadorna, vice comandante Longo.

Tornando a Persiceto, pensavo di seguire quella stessa strada, anche se ardua per mancanza di esperienza.

Il viaggio verso Persiceto non fu facile, vi era una calca tremenda, per due o tre volte il convoglio fu fermato dai tedeschi che cercavano militari italiani anche in borghese, da inviare poi nei campi di concentramento in Germania.
Io esibivo il congedo di esonero e un documento della ditta che ormai lavorava per loro, mi facevano un saluto e via: altri, trovati sprovvisti di documenti validi, alla prima stazione li facevano scendere.
Il treno si fermò a Bologna – S. Rufillo, oltre non si andava perchè pochi giorni prima era stata bombardata la stazione. Scesi e, con la mia valigia, attraversai la città; molte bombe erano cadute sull’abitato, mucchi di pietre, travi e calcinacci a volte ostruivano completamente la via, altre volte una grossa voragine interrompeva la strada, ogni tanto si vedeva qualche persona frugare tra le macerie, per cercare qualcuno o qualche cosa; il resto di Bologna era deserto.
Senza intoppi arrivai a Borgo Panigale e mi diressi verso Persiceto a piedi.
Dopo alcuni chilometri mi trovai dietro ad un carrettiere con un cavallo tanto scalcinato che l’avevo raggiunto, chiesi dove andava e se mi concedeva un passaggio; acconsentì, anche lui era diretto a Persiceto.

Ora il compito di tutti era organizzarsi per una sollevazione generale che, prima o poi, si sperava di realizzare ma trovare gli agganci a Persiceto non era facile: si era dei clandestini e bisognava legarsi ad altri clandestini.

Per giorni e giorni si frequentavano ex amici, cercando di sondare il punto di vista di ognuno senza sbilanciarsi troppo, per non correre inutili rischi.
Alla fine di settembre ’43  i primi contatti erano a buon punto, ci si era incontrati più volte di nascosto con i primi giovani:
Vecchi Enrico, Bussolari Bruno (Bevero), Cotti (La Mòsa), Bonfiglioli (Pezal), Drusiani, Colombo, Lucchi Tonino.
Poi venivano gli anziani, che si erano posti il compito di organizzare questi ragazzi in gruppi, a compartimenti stagni, legati ad una cerchia ristretta, per evitare che lo scoprire uno di essi da parte fascista, significasse svelare tutta l’organizzazione.
Comunque in poco tempo in tutto il Comune si formarono questi gruppi, più o meno numerosi, ma in ogni rione di case, anche piccolo, si era costituita una S.A.P. (Squadre di azione patriottica) o un G.A.P. (Gruppi di azione patriottica). Ognuno aveva vita autonoma, anche se legato ai vari comandi tramite staffette.

Qui è bene sottolineare che l’80-90% di esse erano donne, sorelle, madri o anche partigiane senza legami di parentela con gli uomini e che tanti di loro offrirono e persero la loro giovane vita per quell’ideale di libertà.

Davvero quella democrazia conquistata allora col sangue, la possibilità che abbiamo ancora oggi di manifestare liberamente, organizzarci e scrivere senza censure le nostre opinioni e … votare, possono essere ritenute inutili?

E siete proprio sicuri che parlare oggi di fucili non sia non solo un voler fare a chi è più duro, ma anche l’ammissione di non aver ancora imparato ad usarla, la democrazia?


Commenti
Sono stati scritti 2 commenti sin'ora »
  1. avatarGabriele Tesini - 13 dicembre 2011

    Hai ragione compagno Dartagnan, le guerre e le rivoluzioni sono sempre dolorose e il cercare fino allo spasimo di evitarle è doveroso per il bene di tutti.

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  2. avatarLauro De Bosis - 13 dicembre 2011

    Penso che in una Italia liberata dal fascismo,  e dico liberata, perché non siamo riusciti a farlo da soli, altrimenti non saremmo quì a piangerci addosso, l’unica cosa spiacevole che può capitare a chi dice di imbracciare i fucili, è che egli stesso si spari un colpo in testa. 
    Credo più a queste parole di un noto giornalista: Che cosa può fare il cittadino per cambiare questo stato di cose?
    -Niente.In democrazia niente… la vera scelta del cittadino e fra queste due possibilità: o si infeuda in qualcuna di queste oligarchie,partiti lobbies, mafie, promettendo l’obbedienza in cambio di vantaggi, oppure la sua sorte è quella di vivere ai margini rinunciando a realizzare le proprie legittime ambizioni .
    Saluti 

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