Personaggi Persicetani, Tam al fòm

Personaggi Persicetani:

 

TAM AL FOM

 

Mai avrebbe immaginato Antonio Vandini classe 1890 nato ad Amola frazione di Persiceto che quella frase  «A me cpiés a tàm al fòm» (mi dispiace, ma mi dà fastidio il fumo) pronunciata al comandante dei pompieri per ringraziarlo che lo aveva invitato a far parte del corpo di San Giovanni in Persiceto informato di quanto lui adorasse quella divisa, sarebbe diventato suo malgrado, il soprannome che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

Da quel momento Antonio fù per i persicetani TAM AL FOM, e siccome già da subito lui fece chiaramente capire quanto lo odiasse, mai fu detto in sua presenza se non si volevano evitare guai seri, essendo lui per giunta un accanito fumatore.

Dovette attendere di essere chiamato alle armi a causa dello scoppio della prima guerra mondiale per incontrare persone e luoghi diversi da quelli di Amola, dove era nato e vissuto fino allora. A quei tempi vivere in una frazione di un piccolo paese, non è come oggi, significava veramente “vivere” fuori del mondo.

La guerra Antonio la fece tutta, compreso Caporetto, e la sua fortuna fu oltre a quella di portare la “pelle” a casa, anche di non essere mai stato ferito.

Dopo la fine del conflitto e il conseguente ritorno, Antonio si ritrovò, oramai trentenne di nuovo a Pesriceto disoccupato senza un mestiere, e con la salute cagionevole.

Allora si inventò un “lavoro”, chiese ed ottenne di diventare “procaccia volontario” alle poste, lavoro che consisteva nel portare e ritirare quotidianamente la corrispondenza e i pacchi che arrivavano in stazione con i treni.

Per quel lavoro occorrevano abiti consoni che purtroppo Antonio non aveva, per fortuna si ricordò che gli era rimasta seppure in precarie condizioni, la divisa da soldato e con quella facendo piccole “modiche” la fece diventare la divisa “ufficiale” del procacciatore volontario. Ogni mattina fiero della sua uniforme raggiungeva la stazione con il carretto che si era costruito personalmente.

Antonio era un uomo buono e mite, e tale restava anche quando qualche “stupidotto” locale gli rivolgeva delle offese, lui si limitava a rispondere senza mai arrivare all’insulto.

Per arrotondare il magro stipendio che percepiva dalle poste, che più di stipendio erano mance che di tanto in tanto riceveva, si era inventato diversi lavoretti, per esempio aiutava quando c’era da scaricare lo zucchero, il tabacco, o il sale, oltre a collaborare con una piccola ditta locale di conceria. Passarono gli anni, e finalmente la Regia Amministrazione delle Poste ufficializzò la nomina a stabile di Antonio,  con la qualifica di addetto alle funzioni di Procaccia Postale, assegnandogli anche una nuova e VERA  divisa. Era una normale divisa, ma per lui era molto di più, era straordinaria. Così quando percorreva le vie del centro con questa uniforme e con il berretto a visiera, dire che si stimava era limitativo.

L’amministrazione delle poste non aspettò molto a capire che Antonio era veramente una persona seria e affidabile, tanto che subito dopo gli consegnò in sostituzione del suo vecchio e malandato carretto un nuovo mezzo di trasporto, era un triciclo nuovo di zecca con addirittura lo stemma sabaudo sul davanti.

Da buon accanito fumatore preferiva fumare la pipa, e anche se questa era oramai consumata, per lui rappresentava una compagna inseparabile nei suoi viaggi da e per la stazione ferroviaria, non disdegnava neppure fumare i toscanelli famosi per l’acre odore di trinciato che emanavano.

In stazione dove, di fatto consisteva il suo lavoro, Antonio godeva della simpatia di tutti i ferrovieri, nonostante che alcuni amavano burlarsi di lui facendogli scherzetti vari, aveva comunque con loro un ottimo rapporto.

Una volta per esempio, gli sequestrarono il suo amato cagnolino Pitèn che portava sempre con sé e lo spedirono di nascosto col primo treno fino alla stazione di Ostiglia. D’accordo con i colleghi di quella stazione fu stabilito che il ritorno di Pitèn sarebbe avvenuto solo con l’ultimo treno della sera. Per tutta la giornata il povero Antonio non si dette pace della perdita del suo amatissimo cane, cercandolo e chiamandolo ovunque, e quando all’arrivo dell’ultimo convoglio proveniente da Verona, vide sbucare improvvisamente dal portellone del treno, il suo Pitèn  che gli corse sulle braccia, Antonio si commosse. Potete immaginare la meraviglia e lo stupore. Tutto sarebbe finita l’ì se sul collo del cagnolino i ferrovieri di Ostiglia non gli avessero legato un cartello che diceva:

Pitèn can creten

quast l’è al nom

dal can et tàm al fòm

 

Quella volta Antonio si arrabbiò veramente minacciando fuochi e fiamme, ma sempre gli stessi ferrovieri già aspettavano le prossime occasioni per nuovi scherzi, che puntualmente arrivarono.

Successe quando una signora dopo essere scesa dal treno, chiese sempre ai soliti ferrovieri se in stazione c’era un servizio di facchinaggio per trasportare le sue valigie, e questi indicarono proprio Antonio che era intento a sistemare sul triciclo la posta appena arrivata, raccomandando però la “malcapitata” di rivolgersi a lui con gentilezza chiamandolo per il suo nome che, destino della sorte, si chiamava signor Tam al Fom. La signora seguì le direttive di questi buontemponi, e la reazione di Antonio fu tale che la signora scappò via terrorizzata.

Per non parlare dell’incendio che un giorno scoppiò nel vicino molino, Antonio vedendo la solerzia e la professionalità dei pompieri nel spegnerlo, lo fece notare ai soliti ferrovieri, ma uno di loro che aveva la risposta sempre pronta, gli fece notare che a Milano i pompieri erano molto più efficienti, in quanto arrivavano sul posto, ben cinque minuti prima che……… iniziasse l’incendio.  Antonio ci rimase a dir poco male, ma poi dopo una lunga riflessione interiore che durò tutta la giornata, rispose: non è vero!

Gli ultimi anni della sua vita Antonio li passò con frequenti e assidue visite all’osteria, e quando l’oste gli versava del vino veramente di qualità, lo ringraziava dicendogli: T’mè dè un vèin acsè bon ch’lè un pchè pisèral

Questo è stato Antonio Vandini  conosciuto come TAM al FOM morto nel 1963, un Persicetano che grazie a  questo strano soprannome, che i suoi concittadini gli avevano “ appiccicato”, ancora oggi è ricordato.

 

Liberamente tratto da Strada Maestra n° 33 II° semestre 1992 da un racconto di Gian Carlo Borghesani

 

 


Commenti
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  1. avatarAndrea Cotti - 21 dicembre 2012

    Non ricordo se Tam al fòm usasse uno dei soliti carretti a pedali, tipici della nostra zona:

    o proprio quelli ufficiali delle Poste Regie; 
    Tu Mauro lo ricordi?

     

     

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