Per chi lavora il Senato?
Ultimo aggiornamento: lunedì, maggio 24, 2010
La domanda potrebbe sembrare strana, ma non troppo se ci si sofferma su alcuni particolari. Negli ultimi tempi sia i rappresentanti della Camera che del Senato hanno ridotto notevolmente il tempo dedicato al lavoro, generalmente sono occupati per 2 al massimo 3 giorni la settimana (la media statistica è di 9 ore settimanali!), al punto che qualche tempo fa il presidente della Camera pensò bene di chiuderla per qualche giorno non avendo, i deputati, nulla da fare. E questo, non dimentichiamolo, a fronte di uno stipendio di 15-17 mila euro al mese, oltre i vari benefit, senza trascurare che per un parlamentare è sufficiente mezza legislatura per ottenere una pensione di tutto rispetto.
Però, stranamente, negli ultimi giorni al Senato si stanno dando fin troppo da fare, al punto che il presidente del Senato ha fissato addirittura delle sedute notturne per consentire l’approvazione di leggi. Qualcuno direbbe: “era ora!”. Ma di quali leggi esattamente stiamo parlando ?
Di recente si parla molto di “cricche”, di indagini su appalti, di corruzione, ovviamente si tratta di “casi singoli” come ci ricorda il nostro presidente del Consiglio, diciamo tantissimi casi singoli al punto da realizzare un “sistema gelatinoso”, come è stato definito da qualcuno, col quale alcuni soliti noti ottenevano favori di vario tipo, alcuni ricevevano appalti, altri case, altri ancora favori sessuali, e così via. Abbiamo quindi una inchiesta sull’acquisto della casa del ministro Scajola, indagini sui favori sessuali coi quali, sempre secondo la magistratura, sarebbe stato ripagato il sottosegretario Bertolaso, poi ulteriori inchieste sui lavori del G8 in Sardegna e per la ricostruzione a L’Aquila, con la famosa intercettazione a carico di Piscicelli e Gagliardi che “ridevano” mentre un terremoto distruggeva L’Aquila.
E alla fine il conto di tutto ciò viene girato sempre ai cittadini, che nei prossimi mesi saranno chiamati a pagare una manovra correttiva dell’ordine di 25 miliardi di euro, anche se qualcuno vocifera che i miliardi dovrebbero essere molti di più.
Allora, forse stanno cercando di approvare in tempi brevi il disegno di legge anti corruzione, qualche ingenuo potrebbe pensare. Purtroppo non è così, il lavoro a tappe forzate del Senato riguarda il disegno di legge sulle intercettazioni (potremmo definirlo anti intercettazioni) che ridisegna tutta la normativa sulle intercettazioni minando sia le indagini giudiziarie che la possibilità, da parte di giornali e televisioni, di parlare di queste indagini. Quindi, da una parte si impongono notevoli limitazioni alle intercettazioni giudiziarie, dall’altra si puniscono giornalisti ed editori che pubblicano tali intercettazioni, al punto che non saranno pubblicabili le intercettazioni fino all’inizio del processo, quindi per anni e anni vista la lentezza della giustizia italiana. E, si badi bene, in realtà le intercettazioni sono già pubbliche ben prima che si abbia un rinvio a giudizio, cioè sono pubbliche nel momento in cui il magistrato le deposita per consentire alle parti (compreso l’indagato) di prenderne cognizione.
Il disegno di legge sulle intercettazioni addirittura impedisce di pubblicare nei libri parti di atti giudiziari o testi di intercettazioni telefoniche, anche se non coperti più da segreto istruttorio, così il giornalismo di inchiesta viene bloccato. Pensiamo al libro che ha disegnato un possibile scenario sulla morte di Enrico Mattei, si tratta di un caso di decenni fa, ma poiché non si è mai avuto una verità giudiziaria (il procedimento si è chiuso con archiviazione), cioè non si è mai giunti a processo, gli atti di indagine non possono essere raccontati, secondo il nuovo testo di legge.
Ogni accadimento umano offre varie possibili interpretazioni, potremmo dire anche varie forme di verità, una giudiziaria, che deve essere il più possibile certa e verificata per portare ad una condanna, ma anche una umana, e raccontare i retroscena, l’ambiente nel quale si è svolto un evento, i personaggi che si sono mossi in quell’ambito, è un modo per far conoscere ai cittadini una parte della verità, ed eventualmente consentire loro un giudizio morale ed etico.
Per molte vicende giudiziarie non si sono mai raggiunti dei colpevoli, come per la strage di Piazza Fontana, eppure di quegli eventi si sa molto grazie alle inchieste giornalistiche spesso basate su atti giudiziari, ma con il nuovo disegno di legge non si potrebbe raccontare che ben poco.
E così, con la nuova legge non si potrebbero raccontare le registrazioni della D’Addario nella villa di Berlusconi, non si potrebbero raccontare le intercettazioni di Berlusconi col fin troppo disponibile dirigente della Rai Saccà, tutti eventi che raccontano un modo di essere, una spaccato della politica italiana, anche se poi non costituiscono, forse, un vero e proprio reato.
Invece di preoccuparsi del disegno di legge anti-intecettazioni, il Senato potrebbe invece preoccuparsi di scrivere leggi per impedire la corruzione, come hanno fatto di recente in Spagna, o come fanno in altri paesi. Dopo il fallimento della Enron negli Usa si inasprirono le pene per i reati societari, mentre in Italia si è ben pensato di ridurre dette pene in concomitanza con il fallimento della Parlamat. Dopo una ondata di atti corruttivi in Spagna si è scritta una nuova legge contro la corruzione. In Italia, invece, si pensa alle intercettazioni, per limitarle però, cioè si vuole spuntare le armi dei magistrati che combattono la corruzione.
Eppure ci sarebbe anche un testo di legge sulla corruzione, fermo dal 2009, che andrebbe approvato, quando meno perché il Parlamento possa mostrare ai cittadini che si preoccupa di questi avvenimenti scandalosi. Ebbene, a ben vedere, quel provvedimento non avrebbe comunque un grosso impatto sulla situazione attuale perché, come argomentato egregiamente da Piercamillo Davigo, il problema è che difficilmente si riescono a prendere coloro che violano le norme che regolano gli appalti, coloro che vendono commesse contro favori o tangenti, ecc… Davigo sostiene che solo l’l% di questi reati viene realmente punito, prima di tutto perché non c’è nessun interesse a denunciare questo tipo di reati (se le parti sono d’accordo solo con intercettazioni si riesce a scoprire il reato), ma anche perché molto spesso non c’è un vero e proprio reato, o quantomeno non si riesce a dimostrare che quella dazione (tangente) è ricollegata ad un determinato favore politico.
Il punto è che le norme italiane non sono aggiornate. Pare strano, in quella che una volta era la culla del diritto, ma la verità è che noi siamo molto indietro rispetto agli altri paesi in materia di leggi anticorruzione.
Tanto per fare qualche esempio, il reato di auto riciclaggio non è presente nel nostro paese, pur sollecitato dal ministro Tremonti nel 2008, ed è quel reato che punisce il reimpiego di fondi frutto di altro reato. Per cui chi riutilizza soldi dovuti a tangenti o ad evasione fiscale non commette reato in Italia, mentre lo commette negli Usa, in Francia, addirittura in Svizzera.
Poi ci sarebbe il reato di “corruzione tra privati ”, e il “traffico di influenza ” (trading in influence ), che caratterizzano proprio quei comportamenti che le recenti inchieste giudiziarie stanno portando a galla. In particolare il reato di traffico di influenze illecite punisce colui il quale prende soldi per far ottenere a terzi dei favori da un politico, cioè funge da intermediario. Infatti, mentre la Tangentopoli degli anni ’90 era caratterizzata dalle dazioni che passavano direttamente dagli imprenditori ai politici, oggi tutto ciò non accade più, ci sono vari intermediari che si frappongono così il politico, che commette l’atto contrario ai doveri di ufficio, non prende direttamente soldi, e spesso viene ricambiato con favori, case (come i magistrati ipotizzano nell’inchiesta nella quale è stato implicato Scajola), posto per un parente, favori sessuali (come i magistrati ipotizzano per Bertolaso)…., e l’imprenditore non versa direttamente i soldi al politico. Quindi diventa difficile, se non impossibile, dimostrare che il tale pagamento è ricollegabile a quel favore. Un esempio lo possiamo vedere nella sentenza di assoluzione del giudice Renato Squillante, dove la Cassazione, nel 2006, assolveva il giudice del caso Imi-Sir solo perché “il caso in esame è inquadrarle nel ‘traffico di influenza’, di cui parlano la Convenzione penale europea del 1999 sulla corruzione non ancora ratificata nel nostro ordinamento ”.
Infatti, il reato di traffico di influenze illecite è previsto nella convenzione di Strasburgo del 1999 (firmata anche dall’Italia ma mai ratificata), e dalla convenzione di Merida del 2003. Mentre nel resto d’Europa questi comportamenti costituiscono reato, in Italia non sono punibili perché da ben 11 anni quelle convenzioni non vengono ratificate dal nostro paese! E di questi reati non c’è nemmeno alcuna traccia nel recente disegno di legge anticorruzione presentato dal governo.
Questo “sistema gelatinoso”, quindi, spesso non costituisce reato, o comunque è difficile provare il reato di corruzione se non si riesce a ricollegare il favore alla dazione, anche in presenza di prove certe che ci sia stato un lievitare dei costi e quindi la concorrenza delle imprese sia stata falsata, e i contribuenti siano stati derubati.
Di tutto ciò non c’è nulla nella recente iperattività del Senato, tutto impegnato ad approvare un progetto di legge che non farà altro che impedire di raccontare fatti che stanno portando l’Italia a dover eseguire una nuova manovra correttiva (nonostante Tremonti appena un mese fa avesse dichiarato che non ce ne sarebbe stato bisogno).
Per dirla in breve, se l’introduzione del Patriot Act americano ha provocato parte della crisi finanziaria Usa, determinando l’uscita dal paese dei capitali frutto di riciclaggio per convergere verso lidi più favorevoli come l’Europa (i narcotrafficanti colombiani sono stati costretti a cercare nuove rotte, finendo per stringere alleanze con la ‘ndrangheta calabrese, al punto che tra il 2001 e il 2004 il riciclaggio di denaro in Italia aumenta di oltre il 70%), adesso pare che l’Europa stia cercando di porre un limite a ciò, avviando comportamenti virtuosi, ma l’Italia sembra non avere l’intenzione di seguire il resto dell’Europa, ponendosi in controtendenza e mantenendo i meccanismi che in qualche modo favoriscono il riciclaggio dei soldi frutto di reato.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, l’economia reale si sta lentamente arrestando a favore di quella sommersa ed illegale che man mano prende il sopravvento. Prevedere una conclusione è difficile, anche se si potrebbe guardare alla vicina Inghilterra che per un certo periodo (dopo il Patriot Act appunto) cercò di diventare una sorta di paradiso fiscale, attraendo capitali, ma proprio per questo l’Inghilterra è uno dei paesi che più degli altri ha avvertito la crisi mondiale.
Adesso abbiamo la Corte dei Conti che evidenzia l’enorme costo della corruzione italiana, circa 60 miliardi di euro l’anno (come 2 finanziarie), Transparency International che ci pone, nel suo rapporto sulla corruzione, poco sopra la Malesia, precisando come la corruzione comporti sempre una condizione di vita peggiorativa per i cittadini. Secondo il Worldwide governance indicators l’Italia è assieme alla Grecia (e abbiamo visto cosa è accaduto in Grecia) in coda ai Paesi UE in quanto a lotta alla corruzione, la Banca Mondiale sostiene che la lotta alla corruzione in Italia è in discesa, tanto che in fatto di trasparenza è stata superata da paesi dell’Europa dell’Est quali Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Repubblica Ceca, l’Alto commissario anticorruzione qualche tempo fa scrisse: “chiusa la stagione di Mani pulite non si è proceduto alle necessarie riforme strutturali che agendo sulla prevenzione avrebbero potuto arginare il fenomeno, intervenendo sulle opportunità di corruzione ”, per cui se i reati di concussione e corruzione sembrano in diminuzione nelle statistiche, il fenomeno in realtà è dovuto alla parziale depenalizzazione e alla perdita di consistenza dell’azione della polizia e della magistratura, oltre che ad una differenziazione delle pratiche illegali contro le quali non si sono ancora prese, almeno in Italia, le adeguate misure.
Dopo questo excursus , un quadro soltanto tratteggiato giusto per chiarire alcune idee, la domanda di partenza torna prepotente: per chi lavora il Senato?
Io la risposta non la so, ma mi sembra sempre più evidente che, di certo, non lavora per noi cittadini.
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