Motoclub La Bora; Crimea
Obama avverte Mosca: “Kiev non può vivere con la pistola puntata alla testa”

Anche il G-7 ha chiesto alla Russia di “cessare ogni sforzo per cambiare lo status della Crimea”. Inoltre il referendum che si terrà tra pochi giorni viene considerano “illegale”.  

Crimea proclama l’indipendenza da Kiev

 

” … Lasciando la Romania ed entrando nell’area frammentata e non ancora ben definita di staterelli ex URSS che assieme alla Moldavia fasciavano l’Ucraina, cominciarono i guai, o meglio, non proprio i guai, i fastidi, che ci avrebbero accompagnato per tutto il resto del viaggio:  le appiccicose Forze dell’Ordine ex Bolsceviche tipo Vopos–Kgb, alle quali noi poveri turisti–motociclisti occidentali non eravamo proprio abituati.

In effetti l’area Moldavia-Ucraina, al di là  dei Ghestapos, già  per conto suo appariva un paese decisamente bizzarro e non facile da interpretare; dopo aver percorso per un paio d’ore una grande strada deserta, 150 km senza un’auto, un cartello, nessuno,  di colpo ci è apparsa una trincea di sassi che attraversava la strada e al di là di essa una fossa di 2 metri fonda 2, e alla fine della rocambolesca frenata, subito arriva il vopos che ti chiede 10 dollari, così, come un’elemosina, e tu che ti stai riprendendo dal panico da staccata alla morte con doppio derapamento carpiato per non finire nella fossa lo guardi indeciso tra il riso e il pianto disperato.

Proseguendo in una specie di pista ad ostacoli e tombini di un metro aperti arriviamo all’ennesimo posto di blocco, dove dopo averci chiesto di esibire tutti i documenti possibili a cui non danno nemmeno uno sguardo, dopo aver trattato con il kaghebe  fino a 2,5 dollari a testa la gabella di turno, dopo aver perso almeno un’ora, 10 metri più avanti ( giuro, 10 metri ) dei vopos  con un colore della divisa diverso ci rifermano e ci dicono:  “dogana“, in russo naturalmente, che non so neanche come si dice.

Naturalmente non è servito a molto cercare di fargli notare che  frontiere all’interno della Moldavia a noi non ne risultavano e che non sapevamo neanche in che strano paese stessimo per entrare; anche loro hanno preteso di vedere tutti i nostri documenti (senza guardarli naturalmente) e alla fine anche a loro abbiamo dovuto dare la consueta decina di dollari. Persa un’altra ora.

Era agosto e le nostre tute Spidi erano adeguate al viaggio in moto, ma quando si era costretti a fermarsi il caldo diventava presto insopportabile con il sudore che scendeva subito a rivoli dalle maniche. Una volta fermati, l’ordine era:  togliersi i guanti, poi occhiali e casco, poi scendere e mettere in cavalletto, poi tirare fuori i documenti, tutti, poi i soldi, poi rimettere via i documenti (negli appositi sacchettini di plastica ermetici) e i soldi (nascosti nella tasca interna dei pantaloni) rimettersi casco, occhiali e guanti ed infine rimettere in moto ( ! ) le 600R, calciando mezz’ora con delle botte della Madonna.

L’URSS era implosa da pochi anni ed il mastodontico sistema poliziesco di quel regime, divenuto inutile, doveva in qualche modo essere smaltito dai nuovi governi, i quali si son0 limitati a non aumentare gli stipendi degli agenti quando il costo della vita è presto sestuplicato. La maggioranza di quei poliziotti ha lasciato, trovandosi altri impieghi, mentre i superstiti sopravvivevano vessando i cittadini con multe fasulle estorte a forza, con argomentazioni fantasiose specialmente con i malcapitati forestieri. Attraversando quell’area ex URSS di queste soste abbiamo dovuto subirne una dozzina, due degne di nota;

la prima, – ci fermano i kgb e ci dicono di entrare in uno stanzino a guardiola vuoto e arroventato, dove una decina di vopos sonnecchiano appoggiati a vecchi mobili in stile realsozialism, poi uno di loro tira fuori tutto un armamentario di registri e bolli e moduli ed infine ci fa pagare 10 dollari per la tassa per l’ecologia, (…giuro, per l’ecologia);

la seconda, – ancora il kaghebe di turno ci ferma questa volta a pochi passi dalla frontiera, vera,  con la Ucraina e ben armato ci chiede, coadiuvato da civili sghignazzanti, la carta verde, dove possiamo constatare che quella strana provincia della Moldavia che loro chiamano il loro stato indipendente non è ovviamente compresa nella lista dei paesi coperti dall’assicurazione:   10  dollari.

Alla frontiera, vera, con l’Ucraina le cose non vanno tanto meglio; usciamo a mezzanotte, dopo aver riempito una ventina di moduli e contromoduli che sono stati tutti adeguatamente firmati e controtimbrati da squadre di nullafacenti in divisa, tra sciami di enormi zanzare; ad Odessa arriviamo alle 3 di mattina.

I ristoranti degli alberghi dell’est, dove consumiamo striminzite prime colazioni, ricordano i refettori delle colonie estive anni 50, dove da piccoli passavamo le vacanze estive; nel torpore del mattino gli odori, gli echi di chiacchiericci negli enormi stanzoni vuoti e l’inflessibilità e il disinteresse delle cameriere, anche loro un po’ vopos ci fanno tornare bambini.  Ma la mattina, il caffè vero è la vista delle moto, e constatare che hanno passato indenni anche l’ultima nottata. Tolti lucchetti e catene, un rapido controllo all’olio ci permette di verificare consumi medi estremamente contenuti del nostro Valvoline; meno di un etto ogni 500 km.! Diversa invece l’usura dei pneumatici. I Pirelli MT 70 da 130 e 70 che abbiamo montato degradano di circa un millimetro ogni 1000 km, ed è subito chiaro che prima di entrare in Cina ed affrontare i passi Himalaiani dobbiamo trovare dei nuovi pneumatici.

Ucraina. Partiamo in direzione Rostov na Donu, in Russia, dove alcuni giorni prima, riportato dai nostri telegiornali, alcuni terroristi erano stati trovati morti in un albergo (senz’altro il nostro, ovviamente) perché si erano rovesciati addosso, sembra senza volere, alcune provette contenenti batteri trafugati in una base militare Russa e contagiando di seguito  in modo mortale una ottantina di persone.

Corroborati da questo gaio pensiero attraversiamo interminabili colline coltivate a girasoli che ci accompagnano per tutta la giornata; un infinito mare verde punteggiato di giallo che avrebbe sconvolto  Ligabue, interrotto ad intervalli di 20 km. da monumentali quanto diroccati portali ancora in stile realsozialism, segnalavano i vari ingressi dei Kolkoz che coltivavano quelle aree a nord della Crimea.

moto (1)Arriviamo alla frontiera Russa al tramonto e Rostov dista solo 150 km., ma alla dogana timbriamo bolli e riempiamo moduli per 4 ore e mezza, e una volta entrati in Russia cominciamo a trovare i primi niet sulle pompe di benzina, il primo a rimanere secco è Valter, poi pian piano anche gli altri che gli avevano dato della benzina per ripristinare il livello malato dei suoi serbatoi,  così all’albergo infetto di  Rostov arriviamo alle 3 di notte.

Ovviamente alle 3 di notte non è possibile mangiare nulla, e siamo già fortunati ad ottenere le chiavi delle camere (camere che abbiamo prenotato e pagato dall’Italia, condizione imprescindibile per ottenere il Visto d’ingresso) ottenuta la quale Cesira scompare subito su per le scale con una matriosca dalle tette a tubo.  Noi invece andiamo a letto soli e staccato il telefono dopo la 5° proposta di non meglio specificate forme di collaborazione di altre Olghe locali, inizia il via vai direttamente nei corridoi, in quanto dette signorine sembrano non voler rinunciare ad erogare i loro servizi.

La tappa successiva per Volgograd è breve, meno di 500 km, ancora  di immenso mare di girasoli, e alle 3 del pomeriggio siamo già nel cortile dell’albergo prenotato–prepagato alle prese con una generale manutenzione delle nostre 600 e delle signorine locali che, organizzatissime, giungono fin nel cortile ed iniziano a massaggiarci durante la manutenzione. Cesira, pur ancora allo stremo per la matriosca della notte precedente, riscompare con 2 slave inciampando, per via dei zampirlini corti, in un tappeto finto tipo caucasico.

I consumi di olio e gomme sono confermati a 1 etto x 500 km. e 1 mm. x 1000 km; rassicurante l’uno ma preoccupante l’altro. Ripariamo tra l’altro un serbatoio in vetroresina che perdeva, semisfondato dal dolce peso di Valter; più o meno a sua insaputa, riusciamo finalmente ad indurirgli le sospensione; lui che è 130 kg, con 50 di benzina e 30 di valigia, girava morbido.

L’albergo realizzato apparentemente nella seconda metà dell’800, è ancora molto bello e porta i segni evidenti di un antico splendore che ricorda la vecchia nobiltà russa alla Dottor Zivago. I corridoi si congiungono in salotti ovali e lo stile dei mobili e dei tappeti è consono al periodo, anche se sono copie recenti fatte a macchina. La hall ed il salone ristorante è davvero bello e notiamo subito le numerose immancabili signorine sole ben distribuite in tutte queste salette.

Riusciamo, (noi 3, perché Cesira sparito scapuzando con le 2 slave non si è più visto) per la prima volta appena a cenare, quando siamo letteralmente investiti, ospiti quasi unici dell’albergo, da uno sciame di Svetlane di  tutte le età assolutamente decise a concludere. Quindi rapida ritirata in camera, barricata la porta, staccato il telefono e amen.  Prima di dormire ci ricordiamo che quel giorno doveva esserci stato l’eclissi totale, ma impegnati nella guida non ci eravamo accorti di lui, poi non sapevamo bene a che ora doveva essere, non sapevamo neppure esattamente quale fosse il fuso orario locale e ci siamo addormentati un po’ dispiaciuti.  Cesira non deve essersi addormentato per niente, dalle occhiaie che aveva la mattina dopo.

Quando il sole è sorto eravamo già sulla strada; la tappa quel giorno era di quasi 900 km e in più dovevamo attraversare la frontiera del Kazakstan.

modelliIl fresco del mattino ha subito lasciato il posto ad una giornata calda ed afosa. Attorno il paesaggio era completamente cambiato, i girasoli avevano lasciato spazio alla steppa, una infinita distesa di terriccio misto a sabbia chiara dal quale sbucavano radi cespugli, bassi e irsuti.  Verso le 10 mi affianca Mauro e mi dice che Cesira ha sete e di fermarmi al primo kiosk,  io annuisco e diligentemente mi fermo al primo kiosk che troviamo …dopo 160 km.  Appena spenta la moto ho sentito arrivare gli improperi di Cesira che coprivano il motore della sua 600 che urlava: – …Va bene, dai pure, adesso mi metto dei chicchi di sale sotto la lingua così soffro di più, anzi me ne metto anche sotto le palpebre a vedere se siete contenti…- stava bestemmiando da un’ora, ma io da davanti non lo sentivo.

Continuano i cartelli niet ai distributori di benzina e continuano, ovviamente, i controlli di polizia da 10 dollari. All’ultimo di questi il poliziotto per intimorirci, ci spiega naturalmente in russo, che qualcosa non va nei nostri visti e che se non andiamo immediatamente all’ufficio immigrazione di Astrakan a sistemare tutto rischiamo l’arresto, e ci mostra i polsi uniti in un soave gesto.

E’ l’una del pomeriggio e la temperatura è di quasi 40 gradi, dentro le nostre tute con stivali ecc. la trattativa con l’ennesimo vopos ci appanna e sfianca e ci caschiamo.

Dopo aver vagato per Astrakan alla ricerca dell’ufficio immigrazione e dopo averlo trovato con l’aiuto di un taxista, siamo avvicinati da un funzionario che ci spiega che la situazione è grave e che dobbiamo seguirlo in auto con lui dall’altra parte della città. Ci caschiamo ancora, ma solo in parte, e dopo una lunga trattativa accettiamo di seguirlo solo in 2, mentre gli altri 2 restano con le moto.

Alle 6 del pomeriggio finalmente ritornano, accompagnati da 2 diversi e giovani funzionari che mi spiegano in un buon inglese di come ovviamente avevamo subito una truffa, costata solo 150 dollari dai 500 chiesti inizialmente, che poi tutto sommato era andata bene in quanto oltre le moto avevamo salvato i passaporti, trattenuti in un attimo di lucidità prima che il funzionario-truffatore si dileguasse abbandonando i miei 2 amici nel centro di un ufficio sconosciuto di una città sconosciuta.  I 2 giovani funzionari hanno cercato, scusandosi, di spiegarci che in Russia non tutti erano truffatori, e che qualcosa stava cambiando, o almeno loro ci credevano davvero e li abbiamo lasciati ringraziandoli.

moto (6)La mia moto e quella di Mauro a quel punto hanno iniziato ad avere problemi di accensione, rendendo indispensabile l’accensione a spinta, non facile per una 600R con il traino a mano sulla spalla; Valter, che tirava Mauro, ancora nel panico per la storia del poliziotto è partito sgasando e in inpennata, per poi sbandargli addosso e sboccando entrambi in terra; 2 lividi ed una leva rotta.  Partiamo infine con il pensiero già alla vicina frontiera con il Kazakstan che abbiamo raggiunto e superato alle 11 di sera dopo la tradizionale montagna di controlli e timbri e moduli, e gabelle, dopo aver attraversato il delta del Volga tra dune, traghetti e paludi durante le quali la mia moto ha cominciato a tossire sempre più.

Atyrau, la città che dovevamo raggiungere, dove c’era il nostro hotel prepagato, distava circa 400 km. e appena lasciata la dogana nel buio, la strada asfaltata (si fa per dire) è scomparsa, lasciando il posto ad una pista indefinita di terra e sabbia, fortemente deformata dai Tir; tutt’intorno il nulla chiamato steppa.

E qui la mia moto ha deciso di fermarsi.

La temperatura era fresca e gradevole, e una leggera brezza muoveva i radi cespuglio attorno a noi nel silenzio e nel buio più totale.

motoCambiata la candela con l’aiuto di Mauro (la persona più giusta in queste occasioni) abbiamo constatato che il guaio era di diversa origine, statore o centralina che avevamo di ricambio, e mentre ci accingevamo alla sostituzione è arrivato un enorme camion il cui autista, in un buon inglese ci ha informato che era pericolosissimo fermarsi in quanto la zona era infestata da bande di fuoriusciti dalla guerra civile del Tajikstan che depredavano i passanti, e si è offerto di trasportarmi gratuitamente all’albergo di Atyrau dove ci consigliava di effettuare la riparazione in sicurezza. …”

:mrgreen:


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