Marco Travaglio

travaglioMARCO TRAVAGLIO: dalla sacrestia a Montanelli, schegge di vita di un pilastro della sinistra.

Bentrovati a tutti coloro che vorranno leggere questa scheda biografica sui generis del giornalista, scrittore, blogger e com’altro si voglia definirlo, Marco Travaglio.

E’ necessaria una premessa – a mio modo di vedere sempre necessaria quando si affrontano argomenti, siano essi l’ultima hit di successo o la metafisica dei costumi.
Ovvero: quale sia la questione che si dibatte, o l’argomento di cui si vuole parlare, si capisce meglio conoscendo la visuale di chi la espone, anche per evitare tendenziosità e captatio benevolantiae che, su questo nuovo blog, non avrebbero alcun senso.
Dunque, io sono una semplice cittadina, di qualche anno più grande di MT; il mio curriculum di (modesto) pubblico interesse è su Google. Parto con occhio benevolo nella valutazione di MT perché in gioventù mi affascinava la prospettiva liberal montanelliana ( non scevra da sessismo) che viene attribuita anche al suo epigono più famoso, che è l’oggetto della presente.
Dunque questa è una biografia di parte.

Ora, chi, come me, a diciassette anni, leggeva la collana ” Storia d’Italia” del grande giornalista di Fucecchio (firmata inizialmente da solo, poi con Mario Cervi, in seguito con Roberto Gervaso), o ne ascoltava i sapidi e sarcastici interventi televisivi, o ancora ne leggeva articoli, occhielli e rubriche, ebbene chi lo faceva è cresciuto alimentando una mitologia di quel tipo di linguaggio, diretto, tagliente ma, sopra ogni cosa, libero.

La storia di Marco Travaglio è ben nota e reperibile in rete , a cominciare da Wikipedia. Nato a Torino nel 1964, liceo classico dai Salesiani, laureato in storia contemporanea, iniziò il suo percorso professionale in ambito cattolico – tale era il primo giornale cui collaborò, per proseguire con altri periodici, come Il Borghese, giornale di destra specializzato in leggendarie fustigazioni dei vizi democristiani e beffarde canzonature del popolo comunista.
L’ incontro con Giovanni Arpino, che gli presentò Indro Montanelli, modificò decisamente il corso degli eventi: arrivò l’assunzione al Giornale, seguì la migrazione, con altri colleghi, a “La Voce”, nuovo quotidiano fondato da Indro quando Berlusconi decise che, acquisita la storica testata, il vecchio direttore non gli serviva.
E’ evidente che la sorte della carriera di Travaglio, in questa prima fase, non è dipesa da lui: qualche motivo di malanimo verso l’attuale premier sarebbe perfino giustificato.

Dunque, se il torinese Marco Travaglio, con determinate predisposizioni dialettiche e sintattiche, ci è nato, è ipotizzabile che la maturazione sotto l’ala di Montanelli le abbia rafforzate. L’educazione dai Salesiani pare averne puntellato la delicatezza quasi stilnovista di forma, che , all’inizio del suo successo mediatico, occultava la mazza di ferro che dietro si nasconde e colpisce. Questa è la prima differenza con il suo mentore, il quale mostrava i canini già alla prime parole e ostentava un cinismo toscano che qui, viceversa, non si intravvede. Travaglio mostra un furore legalista, poggiato su una montagna di ricerche, puntigliose, diremmo matte e disperatissime.

Travaglio dispone di un curriculum di tutto rispetto e i suoi detrattori poco possono, se non ricordare qualche condanna, di quelle in cui un giornalista investigativo specializzato in scenari politici incappa regolarmente; anzi, qui colpisce il buon numero di volte in cui, dai processi intentati dai presunti diffamati, è uscito assolto.Non manca la capacità di chiedere scusa (al collega Socci), né il coraggio di definirsi di destra, ma di collegarsi alla stampa di sinistra nel momento in cui in Italia si identifica la destra con Berlusconi, quella vera non esistendo più (primo omicidio culturale perpetrato dal berlusconismo).

Evidentemente, quando arriva il diluvio, si chiede riparo e, in base a normali criteri di accordi tra gentiluomini, la sinistra l’ha offerto, credo senza illusioni sull’obiettività del nuovo arrivato. Infatti Travaglio non fa sconti e bacchetta chiunque, con un debole per D’Alema.

Sfiorato da editti bulgari come ospite di Luttazzi, diventa celebre con “Il colore dei soldi”. Chi scrive assistette alla presentazione a Genova e ricorda il clima surreale nella affollatissima saletta, dove un pezzo di verità importante, praticamente sconosciuto ai più, su quello che di lì a poco sarebbe divenuto, per la seconda volta, presidente del consiglio, veniva raccontato con la massima naturalezza, sulla base di documenti inoppugnabili.

E allora? Si dirà. Travaglio non è il primo né l’ultimo giornalista impegnato nel suo lavoro. Tuonano gli avversari ( ma di che, della verità?): si è arricchito scrivendo su Berlusconi.
Curioso: nessuno ha mai accusato Bernstein e Woodward di essersi arricchiti su Nixon, nemmeno quando sul loro libro venne girato un film interpretato da attori di grido, e le responsabilità di Nixon – sulle cui qualità di presidente ognuno può pensare ciò che vuole – non erano lontanamente accostabili a quelle di Berlusconi.
Per un’operazione di spionaggio quasi di routine, rivelata però in un periodo di sfiga in cui era giusto fustigare gli USA ( il Vietnam stava per chiudersi con l’ammissione di una disfatta , iniziata da Kennedy, ma pervicacemente continuata da amministrazioni repubblicane), il quacchero ex maccartista Nixon fu pure un pelo sfortunato, ma diciamolo, francamente, la questione italiana è tutta diversa – e più grave. Qui Berlusconi pare alzarsi la mattina con l’unico scopo di fabbricare notizie per Travaglio, e quest’ultimo lo accontenta…

Rimane poi il controverso capitolo delle impopolari posizioni su Giovanni Falcone. E’ un fatto che , è l’ accusa di Travaglio, negli anni si sia formata un’antimafia di maniera, un arcimboldo di quella che avrebbe dovuto essere in origine. Se si potesse dibatterne senza che, come accade oggi nel nostro paese, ogni argomento diventi un spot pro o contro il governo, probabilmente Travaglio sarebbe lieto di partecipare.

Per il resto, egli non ha risparmiato critiche allo stesso Di Pietro, non ha mostrato sfumature riguardo alla (complessa e da non banalizzare) vicenda di Bruno Contrada, insomma, nel momento in cui ha deciso di lavorare sul serio nel ruolo che altrove assumono giornalisti coraggiosi ( e a volte sfortunati fino a rimetterci la vita), è come se l’opinione pubblica, pro o contro, lo avesse spinto ancor più ai confini del suo possibile, laddove ormai questo ci si aspetta da lui, niente di meno, sempre di più.

Oggi l’onusto di gloria giornalista torinese è colonna portante de “Il Fatto Quotidiano” diretto da Antonio Padellaro, quotidiano definito con sprezzo dagli scherani di governo ” mattinale delle procure”. Per logica (di costoro) se ne dovrebbe dedurre che i quotidiani “dell’altra parte” lo siano di San Vittore o Regina Coeli o l’Ucciardone?

Non è molto importante, ormai, sapere, quale sia l’idea politica di Travaglio. Nessuno lo chiede più a un premier barzelletta ( sia detto per l’attitudine al joke del nostro ineffabile mister B), uno che si è definito liberale, ha scalato l’etere e il potere con l’aiuto dei socialisti, è andato ospite dai comunisti, ha detto ai radicali “mi avete convinto”, poi si è messo con la chiesa mentre la sera si dava convegno con le escort e ha stretto un patto d’acciao con la lega che lo definiva mafioso, oggi fa l’amico di Israele dopo aver finanziato Arafat. Perché dovrebbe interessare come la pensa Marco Travaglio?

[di Carmen Gueye]


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