La riforma costituzionale Renzi : “un operazione di ristrutturazione della governance.”

La riforma costituzionale prevista dal ddl Boschi, sulla quale  è stato posto il referendum confermativo (perché sia valido il risultato non occorre raggiungere il quorum) giunge a conclusione di un percorso avviato con le politiche di Fiscal compact imposte dalla troika ai paesi europei, e con l'introduzione, nel 2012, del perseguimento del pareggio di bilancio nella Costituzione.
Tutto ciò, si è concretizzato attraverso tagli alle politiche sociali e alla spesa pubblica, a danno dei cittadini europei, per garantire il salvataggio  di banke e finanza speculativa, nel ruolo di artefici e carnefici della crisi economica, (la più grave del dopoguerra).
Napolitano, che è stato il rappresentante e referente  principale della troika e fautore delle politiche di Fiscal compact in Italia , si è detto offeso da chi dice di voler votare No per salvaguardare la Costituzione.
È lui che ha dato il mandato a Renzi per conto delle grandi lobby finanziarie e bancarie internazionali di portare a termine l'operazione di ristrutturazione della governance.
Le Costituzioni rappresentano infatti l'ultimo argine formale alla finanziarizzazione e al liberismo selvaggio.
Non a caso, Jp Morgan Chase  colosso della finanza globale, tra i responsabili della bolla finanziaria del 2008 , condannato dal tribunale federale americano per i mutui subprime, ha suggerito ai governi europei in un documento del 28 maggio 2013: liberatevi delle «Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione europea».
Tutto ciò deve essere visto  alla luce del TTIP , un trattato tra l'Europa e  gli Stati Uniti ,  che mira ad istituire una immensa “free zone” di libero commercio di merci e servizi. Con esso,  non saranno più validi i limiti imposti dai singoli Stati, ma le regole saranno dettate da organismi tecnici sovranazionali sulle esigenze dei grandi gruppi transnazionali.
Va in questa direzione pure il "Jobs acts", che formalizza la precarizzazione, la flessibilità del lavoro e lo smantellamento dello statuto dei lavoratori, adattando il mercato del lavoro alle esigenze del neoliberismo.
La riforma Costituzionale, si inquadra quindi, come una controriforma più complessiva di stampo neoliberista, che instaurerà la finanziarizzazione completa della società, in tutti i suoi aspetti. Con essa la costituzione non sarà più un patto sociale , ma uno  strumento di potere, nelle mani di governi " forti", nominati o eletti da esigue minoranze,  che cureranmo non più gli interessi generali, ma gli interessi particolari delle grandi oligarchie finanziarie.
“Queste riforme sono state avviate dall’esecutivo con l’impulso di quello che, per debolezza e compiacenza, è potuto essere per diversi anni il vero capo dell’esecutivo, il Presidente della Repubblica (Napolitano); sono state recepite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all’approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari, caducazione di emendamenti), di trasformismo parlamentare (passaggi dall’opposizione alla maggioranza in cambio di favori e posti) fino ai voti di fiducia, come se la Costituzione e le istituzioni fossero materia appartenente al governo, fino a raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta addirittura agli elettori, sull’approvazione referendaria della riforma (o me o la riforma).” Il “governo costituente”, in democrazia, è un’espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos e dei colonnelli sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno la propria costituzione: costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza ma come strumento, armatura del proprio potere. Il popolo e la sua rappresentanza, in democrazia, possono essere “costituenti”. I governi, poiché sono espressione non di tutta la politica, ma solo d’una parte, devono stare sotto la Costituzione, non sopra come credono invece di stare d’essere i nostri riformatori che si fanno forti dello slogan “abbiamo i numeri”. (Gustavo Zagrebelsky).
Diceva, a tal proposito, uno dei padri costituenti :«Ma nella preparazione della Costituzione il governo non ha alcuna ingerenza: il governo può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma, nel campo del potere costituente, non può avere alcuna iniziativa neanche preparatoria. Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana» (dot.Calamandrei).
Con Renzi, nasce un'altra "diversamente" Repubblica Costituzionale, di un leader non eletto che stabilisce il primato del governo sulla maggioranza parlamentare. Non è,   un caso, che l’ Italicum preceda la riforma costituzionale, adeguando l’ intero sistema ad un governo del premier, dove il partito che vince si piglia tutto.
La legge elettorale che entra in vigore nel 2016 è infatti una via traversa per giungere di fatto all’elezione diretta del premier.
Quando si arriva al ballottaggio (per il quale non c’è quorum, e dunque le due liste più votate partecipano a prescindere dal seguito elettorale che hanno avuto), l’elettorato deve necessariamente schierarsi a favore di uno dei contendenti. Chi vince, poi, si prende tutto, e senza, che a una simile trasformazione si accompagnino i necessari contrappesi.
Una cosa non nuova, visto che già, nel progetto di riforma del 2006,  Berlusconi aveva parlato esplicitamente di premierato.
Ora apparentemente la forma di governo non viene modificata; ma nella sostanza – grazie al combinato disposto di Italicum e riforma Boschi – l’effetto è proprio quello di trasformare la forma di governo. È una forma d’investitura popolare per chi guida il governo.
Appare chiaro, quindi, che  non si tratta di una semplice riforma, ma di un vero e proprio stravolgimento della costituzione, che accentrerebbe il potere nelle mani di una esigua maggioranza, che potrebbe deliberare,  per esempio, da sola sullo stato di guerra, potrebbe eleggersi il Presidente della Repubblica, nominare  i giudici della Corte Costituzionale e i membri del Consiglio Superiore Magistratura.
La riforma, poi, contrariamente a quello che viene fatto credere, non abolisce il senato (e con esso i costi della politica)  come sarebbe auspicabile, e come da tanti anni si parla, ma ne istituisce un altro.
Un senato territoriale non elettivo, composto da consiglieri regionali e sindaci. Così, oltre ad alterare l'equilibrio tra Parlamento e Governo, svilisce ( a proposito di  autonomie regionali),  la forza e il ruolo costituzionale degli enti territoriali, togliendo competenze e materie ad esse riservate. Viene modificato, inoltre, anche l’articolo 119 Costituzione,  che finora garantiva formalmente agli enti locali l’autonomia di spesa.  Per i Comuni e le Regioni diventa obbligo costituzionale rispettare il Fiscal compact, i patti di stabilità e le direttive della Troika .
L' autonomia dei Comuni e delle Regioni  non esiste più in nessun ambito di spesa, e il compito principale di chi sarà eletto a dirigere quelle istituzioni sarà di tagliare le spese sociali e privatizzare il privatizzabile.
Sui poteri del senato "territoriale",  poi,  la confusione regna sovrana.
La concentrazione di potere
nelle mani dello stato  pare ancora più grave, in un Parlamento "con vista su Camera" ipermaggioritaria, dove da una democrazia rappresentativa passiamo ad una di investitura, con logica ipermaggioritaria, seguita dal dominio del governo sul Parlamento”.
A nulla valgono i richiami dei neoliberisti-controriformisti, a chi in passato ha auspicato l'abolizione del senato, quando, all'epoca vigeva un sistema di rappresentanza proporzionale.
Del resto, renzi all'apertura della campagna elettorale sul referendum lo aveva annunciato che, per vincere, è disposto ad «usare anche argomenti demagogici». Il che non è una novità,  la «demagogia», coniugata al «cialtronismo», è la caratteristica della sua azione e comunicazione politica, fatta di citazioni fuori contesto, annunci, promesse, elargizioni.
A conferma di ciò, dice il Presidente del consiglio:
"La maggior parte dei partigiani, mi dicono Matteo vai avanti", "i veri partigiani votano si". Gli risponde Carlo Smuraglia (presidente dell'Anpi): "Abbiamo appena fatto un congresso che ha coinvolto tutti i 124mila iscritti della nostra associazione: la linea è chiara ed è per il no alla riforma".
Non è vero, quindi, che la stragrande maggioranza dei partigiani, e soprattutto dell'associazione che ne porta avanti l'eredità, sta con Renzi.
La demagogia e il cialtronismo, dunque con Renzi e la Boschi, assumono rilevanza costituzionale. Essi, non esitano a bollare come "professoroni del no", intellettuali, costituzionalisti ecc.. che si oppongono alla riforma , e più in generale la loro demagogica propaganda ha l'obbiettivo di far credere alla collettività che il SI rappresenti il nuovo, il cambiamento, la semplificazione, la riduzione dei costi della politica, e che il NO sia contro il cambiamento.
  La continuità con Berlusconi è completa, e sottovalutare gli aspetti demagogici, cialtroneschi e populisti della propaganda renziana sarebbe un grave errore.
Così, come sarebbe un errore pensare alla macchina renziana  come un fenomeno di superficie al di sotto della quale ci sarebbe il vuoto.
La sostanza della riforma Boschi-Verdini, infatti, sono i trattati  di libero scambio (Ttip ) «sono fondamentali»  non si possono lasciare i parlamenti arbitri della loro approvazione.
Il TTIP è libertà, ma sempre e solo per il capitale, le Costituzioni rappresentano un limite al capitalismo avanzato e finanziarizzato, perché riconoscono "diritti" ai lavoratori e ai cittadini nel campo della, sicurezza , sanità,  servizi pubblici ,agricoltura, tutela e integrità del territorio  ambiente,  materie prime, proprietà intellettuali.
Le Costituzioni , presentano "elementi protezionistici e di socialismo", che  vanno rimossi, per non essere d'intralcio a quelli, che sono gli "interessi supremi"della grande finanza globale.
Non ci sarà più spazio, se passa la controriforma, a repliche od obiezioni contro le leggi liberticide imposte dall'alto,  sarà ancora più difficile la difesa dei beni comuni. La reale partecipazione democratica dei cittadini sarà  ulteriormente compromessa, ci riporterebbe sulla cattiva  strada di un  passato tragico e non molto lontano, quando un governo forte con uomo forte al comando, aveva fatto precipitare l'Italia in uno dei periodi più bui della sua storia.
 

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