La Grecia piange l’Italia non ride

debito pubblico ItaliaMentre sul fronte italiano si accende la competizione elettorale realizzata per lo più a mezzo di insulti e rifiuti, sul fronte europeo la situazione si fa decisamente più incandescente nonostante le rassicurazioni del Fondo Monetario, il quale sostiene che in Europa la ripresa globale sta guadagnando forza ed è in attesa di consolidarsi. Per il Fondo Monetario il Pil europeo sarà dell’1,8% quest’anno e del 2,1 il prossimo, purtroppo non può non ricordarci che continua ad incombere su di noi la spada di Damocle della crisi dei debiti sovrani, crisi che si è intensificata e rischia di diffondere il proprio contagio dalla periferia verso le economie cosiddette più forti.
Il direttore dell’FMI, quindi, sparge ottimismo a piene mani nonostante le nuvole si  addensino all’orizzonte, e sostiene che le proiezioni per i prossimi mesi siano positive. Però ovviamente aggiunge che non è ancora il momento di tirare il fiato e che gli sforzi di risanamento dei conti pubblici degli Stati europei devono essere portati avanti senzaalcuna incertezza.

Il problema, come ben sappiamo, almeno in questo momento è dato principalmente dalla Grecia. In realtà i paesi che preoccupano l’economia europea sono ben più di uno, anche se nelle cronache economiche e finanziarie la Grecia la fa da padrone. Un recente documentario della regista Katidi, denominato “Debitocrazia”, ha cercato di spiegare in maniera chiara le ragioni per le quali la Grecia è sull’orlo del fallimento.
In realtà non sarebbe molto difficile scovare tali ragioni se solo si andasse a ricontrollare i valori che la Grecia fornì al momento del suo ingresso nell’euro, che probabilmente erano leggermente sovrastimati. Qualcuno ha addirittura sostenuto che la Grecia non rispettasse i criteri europei per poter entrare nell’euro e che le sue statistiche fossero false. Se così fosse allora dovremmo puntare il dito verso chi ha effettuato i controlli, e quindi verso i più accesi sostenitori della Grecia, che nel 2001 erano la Francia e la Germania. Infatti, questi due paesi oggi possiedono oltre l’80% del debito ellenico, e questo è un elemento fondamentale per comprendere la situazione effettiva, sul quale poi torneremo.
Un semplice sguardo ai conti delle amministrazioni centrali del paese ellenico consentirebbero di rilevare come si siano moltiplicati negli anni gli acquisti di armi, principalmente dalla Francia (ma va?), e come i costi fossero lievitati oltre i livelli di guardia, specialmente in occasione delle Olimpiadi del 2004. Confrontando i costi sostenuti con la disponibilità di bilancio, sarebbe stato molto semplice comprendere che il debito ufficiale forse era leggermente sottostimato.

Che la situazione sia più grave di quanto ci raccontino lo si ricava da numerosi indizi sparsi un po’ ovunque. Ad esempio, qualche tempo fa il ministro delle finanze tedesco si è lasciato scappare alcune frasi interpretate come un via libera a un default greco, al punto che lo stesso Fondo Monetario Internazionale è dovuto intervenire smentendo queste voci. Il punto è che al momento solo la Banca centrale europea accetta i titoli greci, a garanzia del debito, e questo è indicativo di come in realtà dovrebbe essere la situazione.
Secondo l’agenzia di rating internazionale S&P, la Grecia dovrebbe tagliare il suo debito addirittura del 50 o 70%, e non del 30. Forse siamo arrivati al momento in cui verrà finalmente testata la veridicità del vecchio adagio inglese secondo il quale gli Stati sono troppo grandi per poter fallire.

I recenti dati europei di Eurostat sul 2010 hanno dimostrato come i conti greci siano taroccati, infatti il deficit è risultato essere il 10,5% invece che il 9,4 previsto. In realtà la situazione greca è abbastanza facile da comprendere se solo si guarda alla sua storia recente, con un governo che non ha fatto altro che mettere in pratica in maniera esagerata quello che fanno molti altri Stati.
Per anni la Grecia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità e, sfruttando la bolla economica realizzata in occasione delle Olimpiadi del 2004, ha aumentato la spesa pubblica in maniera così forte che oggi rimettere i conti a posto è praticamente impossibile. Stiamo parlando di una commistione di interessi pubblici e privati che per anni ha coperto crescenti buchi nei conti pubblici greci arrivando ad utilizzare i derivati per riuscire a nascondere il più lungo possibile il reale andamento dell’economia greca. In effetti l’invenzione dei derivati, nati nella City di Londra, ha la sua ragion d’essere proprio nell’esigenza di dover coprire i buchi nei bilanci statali.
Il derivato non è altro che una scommessa verso il futuro o più esattamente, per spiegarlo in maniera più semplice possibile, uno strumento finanziario con il quale si sposta in avanti negli anni un debito attuale. Insomma, i vari governi ed enti locali utilizzano questo strumento per avere a disposizione dei soldi subito a fronte di una aumento esponenziale del debito per il futuro, così scaricando i debiti sulle spalle delle future generazioni.

La domanda è: chi ci guadagna da tutto ciò?
Ovviamente chi gestisce l’operazione, prima di tutto tramite le commissioni, e poi accollandosi il debito. Quindi, le principali banche private.
Ed infatti quando abbiamo detto che la quasi totalità del debito greco è nelle mani della Francia e della Germania, intendevamo le mani delle banche private. Se consideriamo che in realtà la stessa BCE è controllata dalle banche nazionali, le quali a loro volta sono spesso controllate dalle banche private, vediamo che i conti tornano, per così dire, e a guadagnarci alla fine sono sempre i soliti noti.
Quindi, non ci dobbiamo stupire se nel momento in cui la Grecia è sull’orlo del fallimento si crea un fondo speciale per poter salvare la Grecia, salvataggio che consiste essenzialmente nel girare alla Grecia fondi europei che vengono a loro volta utilizzati per pagare i debiti della Grecia verso le banche private.
È quindi risulta perfettamente plausibile sentire il presidente del fondo di emergenza europeo, che ancora tiene in vita Atene, sostenere che la ristrutturazione governativa consentirebbe alle banche di fare un mucchio di soldi. Questo genere di operazioni, ha detto il presidente, condotte in America Latina ed in Asia negli anni ’80 e ’90, ha permesso agli istituti di incassare commissioni molto alte, un vero affare che le banche vorrebbero ripetere.

Il quadro è anche più complesso, perché l’intervento del fondo di salvataggio non consentirà, quindi, alla Grecia di risanare il suo bilancio, quanto piuttosto di sollevare le banche private da rischi di fallimento del paese, ciò vuol dire che alla fine alla Grecia rimangono due alternative: o uscire dall’euro adesso, prima di esaurire tutte le riserve valutarie in cassa, oppure rassegnarsi a svendere l’intero paese per poter risanare i debiti. Ecco quindi che appare sullo sfondo un quadro decisamente più fosco che fa propendere alcuni per la tesi in base alla quale l’indebitamento continuo di un’intera nazione è in realtà una mossa programmata e tesa ad acquisirne il controllo. In pratica è lo strumento per una privatizzazione forzata di un’intera nazione.
Purtroppo non si vedono vie di uscita, perché la ristrutturazione del debito imposto dall’FMI comporta le solite misure: cioè la riduzione dei salari, l’abbassamento del costo del lavoro, la privatizzazione selvaggia dei servizi pubblici. È chiaro che l’abbassamento dei salari comporta l’impossibilità assoluta di far ripartire le spesa interna, e quindi taglia inevitabilmente le gambe di una futura ripresa economica.

I governi ellenici, alla ricerca di facile consenso, per mantenere la pratica del clientelismo, hanno aumentato la spesa e il numero dei dipendenti pubblici fino a far diventare il settore statale responsabile per oltre il 40% del PIL, cioè per ogni euro che oggi circola in Grecia 40 centesimi provengono dalle casse statali. L’Europa ha cercato in più modi di mascherare questi dati con un piano di aiuti e un prestito emergenziale che è servito solo a ripagare le banche straniere invece di salvare il popolo greco. Si è quindi sacrificato un’intera nazione per salvare i conti di poche banche. E questa operazione di sciacallaggio è stata compiuta da tutti paesi europei anche da chi, come l’Italia, non aveva un’esposizione considerevole al rischio greco.

È per questo che, nonostante nessuno ve l’abbia ancora detto e nemmeno i greci lo sappiano, di fatto la Grecia è fallita, e questo bubbone finanziario molto probabilmente si estenderà al resto dell’Europa.

Lo stesso settimanale tedesco Der Spiegel a fine aprile ha raccontato che i negoziati sull’uscita dell’euro da parte della Grecia erano già in atto. Ovviamente a questa notizia è seguito un comprensibile panico sui mercati finanziari, nonostante le stesse smentite del governo di Atene, ed è per questo che il Fondo Monetario è dovuto intervenire smentendo a sua volta la notizia. Il motivo è evidente, in condizioni di panico sarebbe ben difficile far accettare un’operazione di “salvataggio”, per così dire, della Grecia, ovverosia il ripianamento dei debiti delle banche private.
Solo quando quest’operazione sarà completata, sarà possibile far trapelare la notizia del reale stato dei conti greci.

Ovviamente la Grecia non è da sola in questa situazione, ed al fallimento della Grecia probabilmente seguiranno a catena i fallimenti di altri paesi, a cominciare dall’Irlanda e dal Portogallo. Gli economisti più scafati sono sempre più convinti che le istituzioni europee abbiamo messo in piedi un gigantesco schema Ponzi, cioè la classica vendita piramidale in base alla quale i primi a tirare fuori i soldi, cioè le banche private, sono gli unici che riportano a casa i capitali, mentre gli ultimi rimangono col cerino acceso in mano.
È forse questo il motivo per il quale i greci scendono in piazza da oltre un anno manifestando, in modo anche estremamente violento, contro il cosiddetto salvataggio. Lo slogan è chiaro: “non pagheremo noi i vostri debiti”.

Immagino già l’obiezione dei lettori, al ricordo delle rassicuranti asserzioni del nostro super ministro dell’economia, quando ci ha intrattenuto con la favoletta che l’Italia sta meglio degli altri paesi. Da mesi ce lo dicono e ripetono, sperando che finiamo per crederci sul serio. E tanti di noi in effetti, digiuni totalmente di economia, o ci abbiamo creduto, oppure non ci siamo nemmeno posti il problema, che di queste cose non ci capiamo nulla. Però qualcuno alla fine ha avuto l’ardire di porre la domanda: ma se noi stiamo tanto meglio degli altri, perché la crescita economica italiana è da anni la peggiore in Europa?
Le prospettive di crescita dell’Italia, secondo l’FMI, sarebbero realmente deboli per il 2011,  infatti è prevista una crescita del prodotto interno lordo dell’1,1% e per il 2012 dell’1,3%. La stima di crescita quindi è bassissima a confronto del resto dell’Europa, e probabilmente questa stima è anche eccessiva. Secondo l’Istat il Pil italiano è a +0,1% nel primo trimestre del 2011, rispetto dell’ultimo trimestre 2010, a fronte di un +0,5 del Regno Unito, +1,5 della Germania, +1 della Francia e +0,3% della Spagna.

Ebbene, a questo punto il super ministro della fantaeconomia ha dovuto inventarsi una scusa sostenendo che l’Italia ha tenuto grazie alle famiglie. Il succo del suo ingarbugliato discorso sta nel fatto che il debito pubblico italiano, uno dei più elevati al mondo e sicuramente il più alto in Europa, sarebbe detenuto per lo più dalle stesse famiglie italiane.

Questo elemento in effetti è fondamentale perché c’è una grande differenza se i debitori sono i propri cittadini oppure soggetti stranieri, e in effetti, secondo quanto certificava la Banca d’Italia, nel 1995 il 90% del debito pubblico era nelle mani di investitori italiani.
Dal punto di vista economico questo tipo di rapporto rappresenta un forte legame tra gli Stati e i loro popoli, perché i cittadini, essendo creditori del loro stesso Stato, sono interessati alla gestione delle finanze pubbliche, e d’altro canto lo Stato è in certo qual senso obbligato a fare buon uso dei fondi, per cui interessi di governanti e governati finiscono così per coincidere. Purtroppo ad un certo momento questo rapporto si è rotto.

Infatti in Italia, per coprire il deficit senza aumentare il debito, si è preferito non aumentare le tasse perché è chiaramente un provvedimento impopolare che avrebbe fatto perdere voti al governo in carica, per cui, lasciando in tasca agli italiani i loro soldi, si è preferito indebitare maggiormente lo Stato. Purtroppo così facendo le tasse aumentano lo stesso perché nel contempo bisogna pagare sempre maggiori interessi sul debito, con l’aggravante di appesantire il bilancio statale con un onere che ad oggi supera gli 82 miliardi di euro annui. Ovviamente l’aumento del debito pubblico comporta la possibilità da parte dei ricchi (banche e privati) di acquisire questo debito arricchendosi maggiormente sulle spalle del paese, grazie agli elevati interessi dei titoli di Stato che finiscono a carico dei contribuenti ed in particolare di quei lavoratori (dipendenti) che non sono assolutamente in grado di evadere le tasse.
Questa rendita sicura si aggancia ad un altro elemento propugnatore di forti disparità sociali, cioè la tassazione sulle rendite finanziarie bassissima, del 12,5%, fissata come quota unica dalla riforma Visco del 1997, mentre invece la tassazione del reddito da lavoro è decisamente molto più alta, spesso anche più che doppia rispetto quella della rendita finanziaria. Quindi sostanzialmente in Italia abbiamo una situazione in base alla quale, rispetto ai poveri, i ricchi pagano meno tasse, quando le pagano!

Ad un certo punto, sopraggiunta la povertà delle famiglie italiane, queste ultime hanno necessariamente dovuto ridurre non solo la loro spesa, danneggiando qualsiasi ripresa economica da parte del paese, ma nel contempo anche la loro percentuale di risparmio in titoli di Stato. Ciò significa che è aumentata la quota di debito pubblico italiano in mano agli stranieri rompendo così quel patto del quale parlavamo prima. Infatti, il bollettino statistico della Banca d’Italia del 2011 sottolinea che la percentuale del nostro debito pubblico detenuto da soggetti non residenti è cresciuto dal 10 al 50%.
Ed esattamente a chi appartiene oggi il debito pubblico italiano? Questo ce lo dice uno studio del New York Times che ha chiarito come attualmente sia la Francia a detenere circa il 30% del debito pubblico italiano e cioè esattamente 511 miliardi. Di seguito abbiamo la Germania con 190 miliardi ed infine la Gran Bretagna con 77.

Alla sottoscrizione del debito pubblico di un paese sovrano segue un doppio vantaggio, da un lato garantire un flusso di cassa costante, dall’altro fa acquisire la possibilità di influire sulle scelte decisionali di quel paese. Infatti negli ultimi tempi abbiamo potuto notare che in più occasioni di scontro tra aziende italiane e francesi, queste ultime hanno avuto la meglio. Basti ricordare la recente battaglia sull’affare Parmalat che ha visto l’Italia cedere letteralmente nel confronto con la Francia. Il lancio dell’opa di Lactalis su Parmalat, avvenuto lo stesso giorno del faccia a faccia tra Berlusconi e Sarkozy, ha avuto un indubbio sapore della beffa per gli italiani, i quali hanno perso un altro pezzo di industria nazionale per colpa di una classe politica assolutamente incompetente ed incapace. Certo, gli invasori non hanno avuto la strada spianata, ed anzi attualmente pare che ci siano anche delle indagini in corso sull’operazione, ma al momento il risultato è che l’Italia non ha saputo fare “sistema”, come si suol dire, e che il governo ha ingannato i cittadini parlando di una difesa dell’italianità delle aziende che semplicemente non esiste.
Il presidente del consiglio italiano, tra l’altro sconfessando il suo stesso ministro dell’economia, per giustificarsi ha sostenuto di aver voluto addivenire un accordo con i francesi perché rispetta le regole del mercato, da vero liberale. Peccato che è l’ennesima barzelletta delle quali è maestro, visto che mal si concilia con il blocco dell’offerta vantaggiosa di Air France su Alitalia, il cui “salvataggio” ha avuto un costo enorme per il contribuente italiano, nonché un’indagine attualmente in corso sull’intera operazione per turbativa dei mercati finanziari.

Il dilettantismo del governo però non giustifica da solo la resa ai francesi, poichè c’è, a questo punto lo avrete capito, l’altro aspetto del quale non si può non tener conto, e cioè il fatto che la Francia ormai è sempre più padrona in Italia detenendo buona parte del nostro debito pubblico. Per comprendere quanto possa pesare una situazione del genere possiamo ricordare che la Cina, sottoscrivendo una parte del debito greco, ha chiesto ed ottenuto l’uso del porto del Pireo e che le future navi in dotazione alla marina di Atene siano comperate da loro.
Pensiamo, inoltre, che la sottoscrizione del debito altrui ha l’effetto di incrementare le esportazioni dal paese creditore verso il debitore, favorendo la competitività delle industrie del primo, ed orientando le scelte commerciali e strategiche del debitore a vantaggio del paese creditore.
È quindi più facile comprendere perché, nonostante il disastro di Fukushima, tuttora il governo italiano stia continuando a perorare per il ritorno al nucleare acquistando centrali della francese EDF. È ovvio che di questa situazione ne faranno le spese proprio le famiglie italiane, a partire dalle loro pensioni. 511 miliardi di debito stanno portando l’attuale governo a svendere il futuro e la sicurezza dell’Italia.
Del resto l’ingresso dei francesi in Italia non è cosa nuova, anzi si può dire che i francesi sono un po’ dappertutto, compreso i treni di Montezemolo partecipati al 20% dalle ferrovie francesi, l’acqua ed anche l’elettricità di Acea, per finire all’Alitalia partecipata al 25%. Addirittura i francesi sono anche dentro il salotto buono di Mediobanca, dove però i rapporti sono sempre tesi proprio perché lì dentro ci sono in ballo gli interessi del paese, quelli dei ricchi.

Le conclusioni alle quali possiamo tendere, alla fine di questo tediante discorso, e che i governi mentono, lo fanno tutti, chi più e chi meno, mentono sullo stato delle loro finanze, perché se i cittadini sapessero esattamente come stanno le cose probabilmente non accetterebbe le finanziarie da “lacrime e sangue” che periodicamente vengono loro imposte, al fine di salvare il fondoschiena dei ricchi banchieri!
È così, come è già accaduto in Argentina, è quasi certo che la Grecia arriverà entro un paio danni al default finanziario, e ad essa seguiranno altri paesi, e l’Italia non è affatto salva da questo rischio perché, a dispetto di quanto ci racconta il nostro super ministro dell’economia, non è affatto vero che il nostro debito è tutto nelle mani degli italiani.

Se proprio vogliamo essere precisi, il debito pubblico italiano è stato realizzato principalmente negli anni 80 (governi Craxi), quando la spesa pubblica è aumentata a dismisura. Negli anni 90 si è venduto tutto il vendibile, come i gioielli di famiglia tipo la Telecom, per cercare di ridurlo, ma si è ottenuto soltanto una svendita ai privati di aziende di grande valore, poi ridotte a spezzatino e portate sull’orlo del fallimento. Nel 2004 il debito pubblico era sceso al 103% del prodotto interno, in seguito purtroppo è ricominciato ad aumentare. Tale aumento non risulterebbe giustificato visto che sono decenni che c’è un continuo taglio sui conti a discapito di tutti i servizi possibili ed immaginabili, compreso quelli essenziali come la salute, ma il problema italiano purtroppo è dato proprio dal PIL che è in caduta come conseguenza della crisi del cliente italiano. Questa conseguenza ovviamente nasce dalle continue e costanti erosioni dei redditi da lavoro.
Allora, come non andare con la mente alle riforme effettuate a partire dal 2007 in Cina? Si, proprio quella Cina costantemente additata come il regno dello schiavismo, dove invece il governo ha triplicato ed anche quadruplicato gli stipendi più bassi. La Cina si sta preparando alla crisi dell’Occidente, ed è ben conscia che l’Occidente non potrà più accettare la stessa quantità di prodotti cinesi di prima, e quindi si crea il proprio mercato interno. Noi occidentali di contro abbassiamo i redditi per fare un favore delle aziende, così riducendo il potere di acquisto di una massa enorme di individui, distruggendo il nostro mercato interno e, in ultima analisi, tagliando il ramo sul quale noi stessi siamo seduti.

Ovviamente la soluzione per risolvere il problema esiste, e non ci vuole un genio per capirla. Basterebbe cominciare a spendere meno di quanto si produce e nel contempo utilizzare i fondi a disposizione per far partire la ripresa, con investimenti in ricerca e sviluppo principalmente, il vero volano dell’economia.
Ma ciò vorrebbe dire innanzitutto smettere una politica assurda di sacrificio del pubblico a favore del privato. Per salvare il disastro realizzato in tutti questi anni, si è invece preferito far affondare il pubblico e scaricare il costo di operazioni fallimentari e di finanza allegra sull’intera cittadinanza europea. In Europa si dovrebbe finalmente riconoscere che il risanamento deve colpire non solo le finanze pubbliche dei paesi periferici, ma anche le banche dei paesi più ricchi, in particolare Francia Germania e Regno Unito, addossando loro una parte del costo della ristrutturazione sotto forma di perdite immediate e di regole più severe per il futuro. Questo è l’unico modo per salvare il salvabile, ma sappiamo per certo che questa strada non sarà mai intrapresa.

Per quanto riguarda l’Italia, la forma di riduzione del debito accettata c’impegnerà per oltre 10 anni, ma riguarda solo il debito pubblico, e sarà sostenibile solo e soltanto se il prodotto interno lordo aumenterà stabilmente del 2% all’anno, il che vuol dire una crescita doppia di quella attuale, una crescita che negli ultimi 16 anni abbiamo toccato solo tre volte, l’ultima nel 2006. È evidente che un piano del genere è pura fantascienza. Ma tanto le conseguenze le subiranno le nuove generazioni!


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