“La grande bellezza” è normale

E’ stato definito un film sulla “decadenza romana”, ma io direi su quella nazionale e anche mondiale. L’ho visto qualche settimana fa e mi è piaciuto ma non credevo vincesse l’oscar.
Non mi ha emozionato o meravigliato. Ha mostrato cose che io già sapevo, aspetti e realtà che già conoscevo e che detestavo.

Mi ha ricordato molti altri film anche datati, magari poco conosciuti come “Il fascino discreto della borghesia” di Luis Bonuel.
Piersilvio Berlusconi che lo possiede, ha detto che “La grande bellezza” sarà oggi in prima serata a canale 5. Inizia alle nove e probabilmente finirà a mezzanotte.
Un film che denuncia la merda di una società di cui lui e il babbo sono fautori e protagonisti, questo si chiama davvero avere la faccia come il culo.

E’ un film che mostra aspetti e tendenze di una società di merda, ma io direi che la tendenza è mondiale e irreversibile. Se i personaggi alla Servillo ballano alla musica della Carrà tirando coca, i loro figli lo fanno a ritmo tecno-ska, mangiando extasy e facendo stupro di gruppo.
Anche se ci sono film come questo, o film catastrofisti come Waterworld o Matrix o Wall-e, il mondo comunque si autodistruggerà nel nome del profitto, dell’estetica, del potere, dell’individualismo.

Le multinazionali del petrolio e delle ricerche minerarie si stanno già scannando a vicenda per perforare gli oceani e accaparrarsi i territori che si stanno scoprendo ai poli a causa dallo scioglimento dei ghiacci.
Poco importa se fra qualche anno i tonni si saranno estinti, se saranno sparite le barriere coralline, vorrà dire che mangeremo le alghe.
E noi stiamo qui a ribattarci perchè la nostra squadra ha perso la qualificazione al pallone d’oro o dal lanz d’lumbrèla.

Oggi hanno detto tranquillamente al telegiornale che in Russia si è scoperto un nuovo virus che si è conservato per milioni di anni ed è uscito dai ghiacci liquefatti… un pò come il film con Tom Cruise “La guerra dei mondi” dove un virus uccide gli alieni invasori.
Chissà, forse sarà proprio un virus “alieno” a salvare la terra dal flagello rappresentato dal genere umano.
L’uomo sta distruggendo la vita sulla terra, è giusto che la vita tolga di mezzo il virus,  come volevano fare le macchine di “Matrix”.


Commenti
Sono stati scritti 8 commenti sin'ora »
  1. avatarPiergiorgio Chinaglia - 4 marzo 2014

     Volendo, si può dare anche un’interpretazione teologica sulla quale rimango distante e non prendo posizione. Una persona che conosco bene e che ha studiato teologia e approfondito più religioni… sostiene: venuti meno alla nostra vita terrena…non c’è più nulla. L’essere umano è sempre più interpretazione del male. Infatti, il mondo in cui viviamo…. è l’Inferno!

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  2. avatarAndrea Cotti - 5 marzo 2014

    “…il mondo in cui viviamo…. è l’Inferno!”

    Ho pensato spesso questa ipotesi.

    E’ (era) una bella terra la nostra, da vedere e da gustare, ma i suoi abitanti, tutti, sono costretti per vivere a passare la vita a sbranarsi l’un l’altro; o tu o io, mors tua vita mea, a passare le giornate cercando qualcuno da sbranare e con l’ansia costante di esserlo a loro volta. E in più, per gli umani, costantemente mortificati dalla consapevolezza della propria morte imminente-immanente, unica soluzione possibile all’esistenza, recepita in modo ancor più devastante nei rari momenti cheti, quando diviene possibile la riflessione e il pensiero.

     I tanti stravaganti personaggi descritti nel film mostrano in modi differenti i segni di questa sofferenza, nonostante la loro apparente agiatezza economica e per alcuni culturale.  

    Godiamoci dunque i rari momenti sereni, e le piccole (e brevi) isole di felicità che i più avveduti e fortunati di noi riescono a costruirsi attorno.  😉

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  3. avatarYari Deserti - 5 marzo 2014

    Condivido il pensiero di Fausto tranne il “mi è piaciuto”. No, a me non è piaciuto. Come invece ugualmente a Fausto non mi ha ne meravigliato ne emozionato. Film che vorrebbe rappresentare la decadenza ed essere lo specchio (ma poi neanche tanto) di una parte della società umana: “virus” di questo pianeta (per dirlo alla Matrix – trilogia questa si, spettacolare e geniale metafora della vita umana sulla terra, adoro Matrix!) Condivido altrettanto la recensione di Dario Zonta su mymovies.it dove, con un voto “normale” di 3,07 su 5 alla faccia degli Oscar americani, scrive impietosamente:
    Anche Paolo Sorrentino, come molti registi dalla sicura ambizione, cade nella tentazione fatale di raccontare Roma e lo fa affondando le mani nel suo cuore nero, scoperchiandone il sarcofago da dove fuoriescono i fantasmi della città eterna, esseri notturni che spariscono all’alba, all’ombra di un colonnato, di un palazzo nobiliare, di una chiesa barocca. Un carnevale escheriano, mai realmente tragico ma solo miseramente grottesco, una ronde impietosa ritratta con altrettanta mancanza di pietà. A nessun personaggio di questa Grande bellezza è dato di evadere, e anche chi fugge lo fa per morte sicura o per sparizione improvvisa (ad esclusione del personaggio di Verdone, una sorta di Moraldo laziale, che si ritrae dal gioco al massacro tornando nella provincia da cui è venuto). Le figure di Sorrentino non hanno vita propria, sono burattini comandati da mangiafuoco, eterodiretti da una scrittura tirannica, verticale, sempre giudicante. Non hanno spazio di manovra, sembrano non respirare. Come fossero terrorizzati di non piacere al loro demiurgo, sembrano creature soprannaturali, evanescenti, eterne macchiette bidimensionali, schiacciate dall’imperativo letterario che le ha pensate. Con l’eccezione di quei personaggi cui è dedicato uno spazio più congruo come la Ramona di Sabrina Ferilli e il Romano di Carlo Verdone, gli altri animatori di questo circo hanno diritto a pochi concisi passaggi. Il domatore Jep Gambardella li doma tutti dispensando frusta e carota. La crisi di cui si dice portatore è senza convinzione, come i trenini delle sue feste, non porta da nessuna parte. Ma questa condanna sconfortata che cade su tutto e tutti, alla fine è assolutoria; e il ritratto di questa società decadente che si nasconde dentro i palazzi romani, mai visibile agli occhi di un comune mortale, sempre staccata dalla realtà, diventa solamente pittoresca. Il Fellini della Dolce vita, cui si pensa immancabilmente, aveva una pietas profonda verso i suoi personaggi, e quella compassione permetteva allo spettatore di allora come di adesso, di agire una qualche proiezione emotiva. La grande bellezza di Sorrentino è invece abissale, freddissima, distanziata, un ologramma sullo sfondo. A favorire questo distanziamento c’è anche l’approccio volutamente anti-narrativo, già sperimentato inThis Must Be the Place, ma qui ancora più evidente. Citando Celine e il suo Viaggio al termine della notte, Sorrentino sperimenta una narrazione errante, fatta di continue effrazioni, smottamenti, deliberati scivolamenti da un piano all’altro, da una situazione all’altra, lasciando tracce, abbozzi, improvvisi vagheggiamenti. Alla storia preferisce l’elzeviro, l’affondo veloce, la critica sferzante e sempre erudita. Al dialogo preferisce un monologo straordinariamente punteggiato (e nel film si monologa anche quando si dialoga). La grande bellezza sembra essere un film geologico, come fosse l’affioramento improvviso di una stratificazione con i suoi tanti livelli sovrapposti e confusi; sembra essere un film archeologico, come fosse il ritrovamento di un’antica stanza romana con i suoi patrizi e le sue vestali. Sembra essere un film senile, come fosse la lettura postuma del diario di un vecchio dandy che ha vissuto nella Roma degli anni duemila. Sembra essere un film di fantasmi usciti dalla penna di uno scrittore fin troppo compiaciuto della sua arte e del suo mestiere. Infine, sembra essere la risposta erudita e d’autore al To Rome With Love, contraltare e vendetta alla cartolina di Woody Allen, con qualche traccia di troppo dell’impeto trascendentale di un Terrence Malick cattivo maestro.

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  4. avatarFausto Cotti - 5 marzo 2014

    C’è un errore nell’articolo, ma non riesco a correggere, non è Paolo ma piersilvio
     

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  5. avatarAndrea Cotti - 5 marzo 2014

    LA GRANDE BELLEZZA

    Ho visto “la Grande Bellezza” ieri sera, infilata nel tritacarne pubblicitario di Mediaset che pur essendo un socio di minoranza nella produzione si è evidentemente accaparrata i diritti televisivi. E già questo conferma tutto il tema del film. Non essendo preparati alla bellezza, non avendo gli strumenti culturali e intellettuali per apprezzarla, cerchiamo con ogni mezzo di sfregiarla.
    La bellezza è un fardello pesante da portare.
    In questo Paese ti ci confronti tutti i giorni, in ogni città in ogni borgo e nel rapporto con la propria miserabile vita perdi orientamento, misura.
    Qualcuno prima di noi ha lasciato la Storia in eredità ai figli ed è una storia che spalanca precipizi di inadeguatezza. Siamo miseria, rilevata ogni giorno nel confronto con la bellezza delle nostre città e questo maggiormente vale per Roma che tutto riassume.
    Roma è un luogo dell’anima.
    All’alba la luce radente trafigge i mercati di Traiano, riverberando in un pulviscolo dorato fino giù ai Fori. Si può sentire nell’aria il fiato del mare che è lontano ma non troppo e si può piangere per la sproporzione nel confronto con la nostra vita.
    Il film di Sorrentino parla di questo, della nostra incapacità di relazione con la bellezza, sprofondati come siamo nella perdita di identità. Non siamo popolo, comunità, siamo semplicemente massa. Individualismo informe, ignorante e cafone. Ignoriamo il significato di bene collettivo, concentrati come siamo nel saccheggiarlo per trarne vantaggio personale. Ci siamo fatti ammaliare per vent’anni dall’idea che la ricchezza di chi ci governava potesse trasformarsi, nel miracolo biblico della moltiplicazione del pane e dei pesci e abbiamo lasciato campo aperto all’inettitudine, alle scorrerie di predatori insaziabili.
    Pompei viene giù come un castello di sabbia, nemmeno il Vesuvio è riuscito a fare tanto danno, anzi paradossalmente l’ha conservata perché noi potessimo conoscere le nostre radici e da quelle far crescere una bellezza aggiuntiva e contemporanea. Nell’idea che ogni epoca e ogni generazione debba lasciare alla successiva qualcosa di se, memoria di ciò che è stato, arricchimento ulteriore per renderci migliori. Al contrario pare dirci Sorrentino ci sentiamo talmente sopraffatti da tanta bellezza che reagiamo distruggendola, non prendendocene cura.

    La consapevolezza di ciò che ci è stato lasciato non ci viene insegnata, non ci sono più materie a scuola che possano indicarci una strada. L’educazione civica attualizzata alla contemporaneità, perduta negli anni dell’oblio delle riforme scolastiche, la storia dell’arte non si fa quasi più nemmeno nei Licei artistici, la musica è sparita dagli spartiti del ministero. Tutto ciò in nome e per conto di una modernità che rifiuta il passato ” con la cultura non si mangia” come non ricordare l’affermazione di Tremonti.

    Questo è ciò che è passato come vettore culturale e politico in questi vent’anni e la responsabilità non è soltanto di chi ci ha governato, è anche e soprattutto nostra che abbiamo lasciato fare, che non ci siamo ribellati, che abbiamo acconsentito che al governo non ci andassero i migliori, ma i più fedeli, i portatori di borse di qualche capobastone, i reggitori di code coloro che non avendo un mestiere, hanno fatto della politica l’unico loro sostentamento.

    Sorrentino ha filmato tutto questo, un Paese e una politica immersi nella decadenza di un nuovo medioevo e un popolo abbruttito che si aggira inane nella straordinaria bellezza della più bella città del mondo.

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  6. avatarAndrea Cotti - 6 marzo 2014

    Marco Travaglio..

    Dopo gli Oscar per i migliori film, ci vorrebbe un Oscaretto per i migliori commenti italiani agli Oscar. Provinciali, retorici, cialtroni, pizzaemandolineschi. Un po’ come dopo le partite dei Mondiali quando vince l’Italia: il patriottismo ritrovato, l’orgoglio tricolore, il riscatto nazionale, l’ottimismo della volontà, la metafora del Paese che rinasce, il sole sui colli fatali di Roma. Questa volta però, con l’Oscar a La grande bellezza, c’è un di più: l’esultanza di chi s’è fermato al titolo, senza capire che è paradossale come tutto il film. Ecco: quello di Sorrentino è il miglior film straniero anche e soprattutto in Italia. Il Corriere fa dire al regista che “con me vince l’Italia”, ma è altamente improbabile che l’abbia solo pensato: infatti ha dedicato l’Oscar alla famiglia reale e artistica, al Cinema e agli idoli adolescenziali (compreso – che Dio lo perdoni – Maradona, inteso però come il fantasista del calcio, non del fisco).

    Eppure Johnny Riotta, sulla Stampa, vede nel film addirittura “un monito” e spera “che la vittoria riporti un po’ di ottimismo in giro da noi”. E perché mai? Pier Silvio B., poveretto, compra pagine di giornali per salutare l’’”avventura meravigliosa” sotto il marchio Mediaset. Sallusti vede nell’Oscar a un film coprodotto e distribuito da Medusa la rivincita giudiziaria del padrone pregiudicato (per una storia di creste su film stranieri): “Ci son voluti gli americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati”. Ora magari Ghedini e Coppi allegheranno l’Oscar all’istanza di revisione del processo al Cainano.

    “Oggi – scrive su Repubblica Daniela D’Antonio, moglie giornalista di Sorrentino – ho scoperto di avere tantissimi amici”. Infatti Renzi invita “Paolo per una chiacchierata a tutto campo”. Napolitano sente “l’orgoglio di un certo patriottismo” per un “film che intriga per la rappresentazione dell’oggi”. Contento lui. Alemanno, erede diretto dei Vandali, Visigoti e Lanzichenecchi, vaneggia di “investire nella bellezza di Roma e nel suo immenso patrimonio artistico”. Franceschini, ex ministro del governo Letta che diede un’altra sforbiciata al tax credit del cinema, sproloquia di un “Paese che vince quando crede nei suoi talenti” e di “iniezione di fiducia nell’Italia”. Fazio, reduce da un Sanremo di rara bruttezza dedicato alla bellezza, con raccapricciante scenografia color caco marcio, vuole “restituire” e “riparare la grande bellezza”. Il sindaco Marino rende noto di aver “detto a Paolo che lo aspetto a Roma a braccia aperte per festeggiare lui e il film, per il prestigio che ha donato alla nostra città e al nostro Paese”. Ma che film ha visto? È così difficile distinguere un film da una guida turistica della proloco?

    In realtà, come scrive Stenio Solinas sul Giornale, quello di Sorrentino “è il film più malinconico, decadente e reazionario degli ultimi anni, epitaffio a ciglio asciutto sulla modernità e i suoi disastri”. Il referto medico-legale in forma artistica di un Paese morto di futilità e inutilità, con una classe dirigente di scrittori che non scrivono, intellettuali che non pensano, poeti muti, giornalisti nani, imprenditori da buoncostume, chirurghi da botox, donne di professione “ricche”, cardinali debolucci sulla fede ma fortissimi in culinaria, mafiosi 2.0 che sembrano brave persone, politici inesistenti (infatti non si vedono proprio). Una fauna umanoide disperata e disperante che non crede e non serve a nulla, nessuno fa il suo mestiere, tutti parlano da soli anche in compagnia e passano da una festa all’altra per nascondersi il proprio funerale. Si salva solo chi muore, o fugge in campagna. È un mondo pieno di vuoto che non può permettersi neppure il registro del tragico: infatti rimane nel grottesco. Scambiare il film per un inno al rinascimento di Roma (peraltro sfuggito ai più) o dell’Italia significa non averlo visto o, peggio, non averci capito una mazza. Come se la Romania promuovesse Dracula a eroe nazionale e i film su Nosferatu a spot della rinascita transilvana.>

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  7. avatarFausto Cotti - 6 marzo 2014

    Bè Yari, certo  mi è piaciuto.  Ma come ho detto non certo da oscar.  La verità è che bei film italiani non ne arriva da un pezzo. Una delle  caratteristiche di quelli vecchi sta nel fatto che almeno si capiva quello che dicevano. Sono anni che non vedo un film italiano dove gli attori non farfugliano mangiandosi le parole.
    Forse l’ho gradito proprio perchè da come sono abituato alla merda, questo non puzzava. E poi non c’era la pubblicità che un film del genere , lo rende sicuramente una sbobba.

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  8. avatarYari Deserti - 6 marzo 2014

    Non sono un cineasta, ma che di bei film italiani non ne arrivano da un pezzo non sono d’accordo. Piuttosto spesso vengono sottovalutati, non li passano in TV e bisogna andarseli a spulciare tra download internet e seconde serate digitale terrestre o io OnDemand piattaforma Sky. Sono stanco di sentire film italiani? Boldi DeSica cinepanettone! che schifo, non ne ho visto uno, anzi si, il primo. Se vuoi un esempio, fra gli ultimi che ho guardato ti consiglio “Tutti i santi giorni” senza attori famosi, trama carina ed interpretato decisamente bene. 😉

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