La finanziarizzazione dell’economia: da Reagan a Genova!

finanzaIdentificare un punto di svolta nella storia è sempre difficile, e quasi mai c’è l’accordo degli studiosi, poi, specialmente quando si tratta di teorie un po’ fuori dai classici schemi, avere una concordanza di opinioni è praticamente una chimera. Ma se proprio si volesse stabilire un possibile punto di inizio della nostra storia, lo potremmo collocare nel corso degli anni ’80, durante la presidenza Reagan negli Usa.
Era il periodo in cui il volume degli scambi di borsa crebbe a dismisura, fino a divenire equivalente al bilancio annuale di uno Stato di medie dimensione, quando banchieri e finanzieri passarono dalle loro scrivanie nelle stanze buie del potere economico direttamente nelle più ariose sale del potere politico, assumendo in tutto l’occidente funzioni direttive e scalzando i politici di professione. Era il periodo in cui l’Unione Europea, che inizialmente doveva essere una unione prettamente politica, cominciò ad essere considerata in chiave esclusiva mentre monetaria, e i governatori delle banche nazionali assunsero il potere a livello europeo, una posizione di leadership assoluta e sottratta ad ogni tipo di controllo. Era anche il periodo in cui si ridisegnò la mappa geografica del mondo, cancellando le nazioni che erano poco interessanti, tranne per la presenza di materia prime, principalmente zone dell’Africa ricche di coltan (utilizzato negli smartphone di nuova generazione), ma anche parte dell’Asia e dell’America Latina, insomma era il periodo in cui iniziò lo spostamento globale dall’economia produttiva all’economia finanziaria, quando si diffuse l’idea che il denaro potesse produrre altro denaro in maniera del tutto svincolata dalla produzione di beni materiali, il periodo dell’astrazione monetaria ormai svincolata da ogni processo di produzione e di scambio di beni, il periodo in cui iniziò, o comunque si sviluppò, la circolazione di beni immateriali quali la comunicazione, l’informazione, e si sostanziò l’idea della merce svincolata dal materiale.

Questo periodo di passaggio, dove assunse il comando chi creava moneta immateriale a suo arbitrio, come gli Usa, ed era padrone incontrastato del mercato dell’immateriale, nel quale faceva da padrone la fabbrica delle illusioni di Hollywood, trovava ovviamente degli oppositori che dovevano essere abbattuti e ricondotti nell’orbita del piano di colonizzazione globale, per cui si realizzarono operazioni che portarono alla scissione e alla distruzione delle sacche di resistenza, come accadde per la Jugoslavia e per l’Iraq, od anche la Somalia e l’Afghanistan.
Principalmente i due paesi asiatici si trovano in un area di importanza colossale, un area di passaggio per le pipe lines del terzo millennio, e quindi di rara importanza strategica, paesi che oggi sono costantemente sotto l’attenzione dei media internazionali per eventi di vario respiro, ma nei quali in realtà la guerra sottesa è tutta regolata da chi vuole la realizzazione del South Stream, tra i quali l’Italia (con Eni e Saipem) e la Russia, e chi vuole invece il North Stream, principalmente il resto d’Europa e gli Usa.
Stiamo parlando di una guerra che parte da lontano, e che giunge fino ai nostri giorni, una guerra materiale ed immateriale, della quale fu bistrattato profeta l’ormai dimenticato Marx quando prevedette l’instaurarsi della dittatura del capitale sul lavoro, l’astrazione assoluta della moneta svincolata dalla produzione, la dematerializzazione dell’economia, la vittoria della finanza.

Non è dato sapere se le basi di questa nuova era dell’economia sono davvero ritenute valide dai neo-liberisti, oppure se essi stessi ne vedono le falle, tra l’altro evidenti ad un approfondito esame, ma ne continuano a professare la bontà solo per poter mantenere le loro posizioni elitarie, e quindi continuare a drenare profitti al resto della popolazione. Il punto è che quello che potremmo definire l’establishment, la classe dirigente, il potere, ha imposto, all’inizio del periodo di finanziarizzazione dell’economia, alcuni brevi assiomi che regolano l’economia medesima e, quindi, la società tutta.
Questo perché, secondo il primo e principale di questi assiomi, l’economia è la scienza che governa la società nel suo complesso, alle quali tutte le altre scienze devono essere subordinate. Infatti, secondo tale dottrina, è l’economia che decreta l’efficacia delle altre scienze, e dei suoi strumenti, quali università, centri di ricerca, sistemi sanitari, beni culturali, arte e religione. Tutto è sottoposto alla ferrea legge del mercato che, ed è il secondo assioma, decreta il successo o l’insuccesso di ogni attività e della vita umana in genere, successo che viene misurato in beni mobili ed immobili. Ecco, quindi, che tutto, secondo un pensiero espresso anche dal nostro ministro dell’economia (“la cultura non si mangia”), è soggetto all’economia, ed è regolato in base ad esso, per cui si può dire che l’arte, la cultura, la sanità, non sono altro che beni, e come tale misurabili e commerciabili. E nel momento in cui il loro rendimento è scarso, possono, anzi devono essere ridimensionati, tagliati, in ultima analisi anche soppressi.

Le ovvie conseguenze di questo modo di pensare, se applicato a persone che hanno la tendenza a ritenersi al di sopra degli altri, è che il mancato successo di questa miracolosa ricetta può essere attribuito solo a colpa soggettiva, spesso all’infingardaggine dei perdenti che minano la stabilità della moneta e dello Stato, principalmente utilizzando la spesa pubblica, facendo concorrenza illecita alle aziende private e con ciò ingerendosi nelle scelte del mercato che, appunto, si autoregolamenta senza errori: la spesa pubblica non è altro che un mezzo per rompere l’equilibrio ottimale del mercato.
Questi perdenti sono definiti “comunisti”, indipendentemente dall’ideologia a cui credono, e che hanno la spiccata, ed erronea, tendenza a non credere all’efficacia del mercato di autoregolarsi, e quindi vogliono porre un freno all’egoismo privato che è, ovviamente, presupposto del bene collettivo. Chi pone limiti al mercato, regole, “lacci e lacciuoli”, o si ingerisce in esso illecitamente, è contro il bene collettivo, e quindi va soppresso, può quindi essere invaso, perché il suo modo di pensare e di agire è contrario al bene collettivo e quindi la sua azione è una sorta di aggressione al bene collettivo, per cui legittima azioni preventive, può essere bombardato, può essere arrestato, può essere manganellato, come accadde per gli aquilani che protestarono a Roma, o i cittadini al G8 di Genova, oppure agli studenti in piazza.
È ovvio quindi che lo sviluppo dei servizi, la dematerializzazione, sono cose buone e giuste, e la crescita dei paesi o delle zone depresse, come il terzo mondo, devono essere non aiutate ma lasciate all’autoregolamentazione del mercato, che inevitabilmente, se quella crescita è un bene per la collettività, la coadiuverà. Se un paese, oppure una zona, non riescono a svilupparsi, è ovvio che tali paesi, o tali zone, sono illiberali, sono un “peso morto”, come dichiarato di recente da un noto esponente della Lega Nord per il terremotato Abruzzo, e gli aiuti vanno bloccati (FMI) fin quando non si adoperano in maniera seria ad adattarsi alle regole della dottrina del neo-liberismo, cioè procedono a diminuire il peso dello Stato, a liberalizzare, a privatizzare, tutto in nome del bene comune.

Questo è quello che è avvenuto negli ultimi decenni, in fasi diverse a seconda delle varie regioni, secondo modalità diverse, ma il credo di base, la dottrina che muove il tutto, è la dottrina neo-liberista che ha portato immancabilmente dappertutto alla riduzione dello Stato ai minimi termini per non consentirgli di fare concorrenza alle imprese private e, quindi, al mercato. Il metro di giudizio di tale dottrina è sostanzialmente uno solo, il valore della moneta, e quindi i suoi corollari sono il Dow Jones o la borsa in genere, come per la Fiat che, nonostante perda di continuo quote di mercato, sale in borsa per cui è opinione comune che stia facendo bene.
L’unico elemento al quale i neo-liberisti guardano con orrore è la svalorizzazione del proprio capitale, per cui tutto è lecito purché tale capitale continui a crescere, come accade per il mai troppo lodato AD della Fiat, sempre più americana e sempre meno italiana, il quale investe il suo megamilionario stipendio in azioni estere. Ecco perché si sono studiati, col tempo, nuovi strumenti per impedire tale svalorizzazione, come la teoria del moltiplicatore.
Un inglese inventò tale teoria, dopo aver convinto tutti che l’economia era ripartita dopo la Grande Depressione, e la sua teoria sfociò nello realizzazione dello strumento definito da alcuni come warfare, per similitudine col welfare. Secondo il warfare un dollaro investito in armi determina un aumento del PIL, il nuovo dio dei neo-liberisti, di circa 2,5 dollari.
Ecco che si cominciò ad applicare la dottrina del warfare un po’ dappertutto, ai conflitti regionali principalmente, intervenendo un po’ in tutto il mondo, ma si scoprì che non era strettamente necessaria una guerra, era sufficiente in certi casi una semplice crisi, che avrebbe portato ad investimenti per eventuali azioni preventive, come nel caso dello scudo stellare di Reagan, od anche, e fu l’intuizione di Milton Friedman ex consigliere di Pinochet in Cile, catastrofi naturali od artificiali, come l’inondazione di New Orleans, il terremoto in Abruzzo.
L’importante è organizzarsi per tempo, avere i piani già pronti, in modo da agire senza concedere il tempo alla popolazione di riorganizzarsi e di pensare, bisogna imporre un mutamento rapido ed irreversibile prima che la gente possa opporsi. Il tempo utile è di 6-9 mesi al massimo, come spiegato bene nei manuali della Protezione Civile che applica il famigerato metodo Augustus. S non si coglie l’opportunità in questo breve lasso di tempo, non si avrà altra occasione. Così avvenne in Abruzzo, dove il piano C.a.s.e. era già pronto da prima del terremoto, fermo in un cassetto in attesa dell’evento a cui potersi applicare.

Lo Stato, secondo Friedman, non ha altra funzione che proteggere la libertà dai nemici esterni ed interni, mantenere legalità ed ordine, cioè garantire il servizio di polizia e l’esercito, e non, si badi bene, la giustizia, ma solo l’ordine pubblico attraverso la polizia, in poche parole difendere il capitale dalla popolazione. Tutto il resto deve essere lasciato al mercato, cioè alla legge del più forte. L’istruzione gratuita e uguale per tutti è solo una indebita ingerenza nel mercato, un danno per il capitale, e per la grandi multinazionali. Così a New Orleans si passò, grazie all’inondazione, da 123 scuole pubbliche a solo 4: “Katrina ha ottenuto in un giorno ciò che i riformatori scolastici della Louisiana non erano riusciti ad ottenere in anni di tentativi”, cioè quello che alcuni definirono “un esproprio educativo”.
Per comprendere meglio i possibili guadagni a seguito di operazioni di warfare possiamo prendere come esempio l’attacco alle torri gemelle del 2001. Nonostante il crollo della borsa immediatamente successivo all’evento, in poche settimane la borsa aveva ampiamente recuperato. Non solo, chi avesse investito in azioni legate alle tecnologia e alla difesa, nei giorni immediatamente seguenti avrebbe ottenuto più che lauti guadagni: l’indice delle società tecnologiche guadagnò, infatti, il 35% in un mese; la Lockheed Martin (produce aerei da guerra) crebbe del 19% solo in un giorno, quello successivo alla riapertura della borsa; la Raytheon (produce missili Tomahawk) crebbe del 43% in un mese. Paul Krugman, infatti, ebbe a dire che i fatti dell’11 settembre avevano prodotto politiche più espansionistiche, aprendo la porta ad un vasto aumento della spesa pubblica con stimolazione dell’economia impensabile prima: “non sarebbe così strano se l’attacco alla torri si trasformasse in un beneficio per l’economia”.

Il neo-liberismo imperversa da decenni, spesso secondo modalità diverse, o sotto nomi diversi, ma ha sempre la stessa caratteristica, ha rovesciato il mondo dove ora i rapporti tra uomini divengono rapporti tra cose, e tutto diventa merce.
Ma la teoria del moltiplicatore aveva un baco, un evidente errore di base che minava tutta la costruzione dalle fondamenta. La bontà di tale sistema economico è misurabile in ultima analisi a mezzo del PIL, il prodotto interno lordo, dove tutto finisce addizionato nel PIL. Il PIL tiene conto solamente delle transazioni in denaro, e trascura tutte quelle a titolo gratuito, per cui sono escluse le prestazioni nell’ambito familiare, quelle attuate dal volontariato (si pensi al valore economico del non-profit). Il PIL, trattando tutte le transazioni come positive, considera anche i danni provocati dai crimini, dall’inquinamento, dalle catastrofi naturali: se compri un auto il PIL cresce, ma cresce anche se rimani in coda e consumi più benzina senza muoverti di un metro, se subisci un incidente, se sei ospedalizzato, persino se muori il PIL cresce, per i servizi connessi ai funerali!
Il PIL cresce se si realizza un’autostrada che non porta da nessuna parte, un’opera inutile, perché comunque il lavoro c’è stato, anche se di fatto si sono sprecati milioni di euro inutilmente, che potevano essere usati in tanti modi migliori.
Quindi, il PIL non fa distinzione tra le attività che contribuiscono al benessere (il famoso bene collettivo?!) e quelle che lo diminuiscono, il PIL calcola il deprezzamento sociale come una cosa positiva, per cui se una zona agricola di pregio, oppure un parco nazionale, vengono trasformati in un parcheggio o un supermercato, il PIL vede questa trasformazione positivamente, se si costruisce un inceneritore, questo è positivo, perché genera lavoro, produce energia elettrica, il fatto poi che dall’inceneritore nascerà un crescente inquinamento, e gli abitanti della zona soffriranno di tumori, questo non fa calare il PIL, anzi lo fa salire ulteriormente perché gli ospedali, le cure, il lavoro dei medici, entrano tutti nella produzione calcolata dal PIL.
Ancora, quanto minore è la propensione al risparmio, tanto più cresce il PIL. Ciò spiega perché al giorno d’oggi c’è la tendenza a incentivare tutte le forme di consumo, inventando tanti tipi di pagamenti rateali, proprio per impedire il risparmio. Ormai comprare le cose a rate conviene, ovviamente per le aziende non per i consumatori, perché la gente si indebita, quasi senza accorgersene, e rimane legata all’azienda venditrice per tantissimo tempo, come schiavi moderni.
La fallacia dei misuratori dei neo-liberisti si mostra in tutta la sua crudezza in questi giorni, con una Fiat che da anni risale in borsa perché rende di più per gli azionisti, dove di contro i lavoratori prendono stipendi sempre più bassi, lavorano di più, con meno diritti (e meno sicurezza, quindi).
Quando si cominciò a parlare di globalizzazione c’era chi sosteneva che l’apertura dei mercati avrebbe portato i diritti civili conquistati dai popoli anche in quei Paesi dove tali diritti ancora non c’erano. Invece accadde il contrario, i paesi che li avevano li stanno perdendo!
La vicenda Fiat è il classico indicatore del metodo neo-liberista, che prevede il trasferimento del rischio di mercato dall’impresa ai lavoratori, in modo da rendere tutto più flessibile alle esigenze del mercato stesso. Se qualcosa non va bene si sbaracca subito, tanto chi ci perde sono solo i lavoratori. L’impresa, almeno quelle medio-grandi, non dipendono più da un imprenditore, bensì dagli stock holders, gli azionisti, e questo anonimo padrone vuole solo le rendite finanziarie, non ha alcun interesse alla crescita dell’azienda, anzi spesso le smembrano per poterle vendere più facilmente.
E così, mentre il rischio si sposta dall’impresa verso il lavoratore, la ricchezza prodotta si muove in direzione opposta, a garantire la rendita finanziaria. In tal modo il conflitto di classe diventa un conflitto intergenerazionale, tra chi ha una pensione legata alla rendita finanziaria, e chi no.

Nei modelli semplificati detti a “partita doppia”, invece, non tutto va nel calderone del positivo, come anche un ubriaco perso sarebbe in grado di capire. Non si può addizionare la produzione di un bene e la morte del lavoratore, non si può addizionare l’estrazione del petrolio e la spesa per ripristinare il danno ecologico, non si può addizionare la produzione ed una catastrofe naturale, ma nel PIL tutto ciò, assurdamente, accade, per magico officio dei sacerdoti del dio PIL che ogni giorno offrono sacrifici alla loro divinità: morti sul lavoro, morti in guerra, distruzione ecologica ed ambientale, terremoti, guerre….
Tutto ciò viene addizionato per misurare la ricchezza delle nazioni!

Ma, ad un certo punto i nodi vengono al pettine, e sono anni che la crisi, nonostante le dichiarazioni ridicole di ometti che ben poco capiscono di economia (al massimo si intendono di finanza, specialmente creativa!), morde imperiosa e non consente vie di uscita. Si è voluto creare denaro dal denaro, ma in realtà non si è fatto altro che prenderlo a prestito dal futuro, spostando in là negli anni il debito, in modo da scaricarlo sulle generazioni future, ipotecando ogni loro speranza di vita normale, appunto il conflitto di classe che diventa intergenerazionale!
Si è ipotecato in tal modo tutto, compreso lo stesso pianeta Terra, inquinando tutto il possibile, cementando ogni spazio libero, con la scusa che occorre per la crescita delle nazioni.
Ed è per questo che oggi si spinge sul warfare, per restituire al capitalismo l’ultima chiave per poter, forse, uscire da un ciclo recessivo che si annuncia ancora molto lungo. Ed il warfare, come dicevamo sopra, non è inteso solo come guerra, che pure occorre ogni ventina d’anni per smaltire le scorte di armamenti ma anche per far ripartire la produzione, quel warfare che funziona molto meglio del welfare, in quanto permette di distribuire i soldi solo tra selezionati amici, stimola l’innovazione tecnologica, evita politiche sociali imbarazzanti, e consente di indirizzare la domanda dei paesi sottosviluppati verso le armi, cosa che comporta il doppio vantaggio di far guadagnare i soliti amici, ma dimostra all’opinione pubblica l’assurdità e l’inutilità delle politiche umanitarie di aiuto ad un terzo mondo che si presenta guerrafondaio, barbaro e crudele.
C’è da chiarire che warfare è un termine in uso nell’America neo-liberista, ma poco conosciuto in Europa, dove, per tradizioni antiche, perché l’Europa ha vissuto in prima persona, e nel suo territorio, gli orrori della guerra, parlare di guerra è ancora un tabù, o quasi (infatti noi non facciamo guerre, ma solo missioni di pace!!!).
È difficile far accettare ad un popolo europeo l’idea che si deve andare in guerra, a meno che non la sia nasconda sotto il manto di una operazione di pace. Ed è per questo che generalmente nei paesi europei, come l’Italia, il neo-liberismo si presenta con una faccia diversa, non warfare, non incentivazione delle spese militari, bensì qualcosa d’altro. Se negli Usa si agita la bandiera del liberismo ma in effetti si realizza un vasto programma di spesa pubblica, a favore delle aziende di armi e sicurezza, nell’Europa il catalizzatore è diverso, in Italia la spesa pubblica si incentiva a favore di specifici settori, oltre a quello degli armamenti (vedi Finmeccanica) si finanzia il settore delle costruzioni in genere, si cementa l’Italia. La ricchezza dell’Italia è la cementificazione selvaggia, il 65% del territorio è costituito da abitazioni e terreni, ma gli immobili, diversamente dalle imprese, non producono redditività, il cemento non aiuterà le nuove generazioni, anzi le renderà sempre più povere.
La spesa pubblica non è altro che un trasferimento di ricchezza, un modo per togliere ai poveri per dare ai ricchi, per consentire ai ricchi di ottenere quello che i poveri, i cittadini comuni, non gli darebbero mai. Un po’ come la pubblicità che impone ai cittadini di pagare beni che non comprerebbero mai, la spesa pubblica obbliga i cittadini a finanziare imprese che non finanzierebbero mai.
Anche qui la spesa pubblica ha il solo ed unico scopo di finanziare imprese specifiche in specifici settori a bassa concorrenza, se non addirittura in regime di monopolio o quasi. Pensiamo all’Impregilo, in affanno dopo il maxi sequestro di circa 700 milioni di euro (in parte comunque dissequestrati in seguito) a seguito dei fatti relativi alla gestione dei rifiuti a Napoli, fu sostanzialmente salvata a mezzo dell’operazione Ponte sullo Stretto, la classica cattedrale nel deserto che nessuno vuole, che nessuno avrebbe mai finanziato, ma che rende circa 300 milioni di euro l’anno, nonostante non sia stata posta nemmeno una pietra, alle società che se ne occupano. Un vero e proprio salvataggio in stile neo-liberista!

Ma quanto potrà durare questo gioco al massacro? Quanto dovrà crescere la spesa militare (o pubblica in genere) per poter coprire una domanda di beni e servizi “non militari” in costante diminuzione? E quando non ci sarà più nulla da privatizzare? E quando saranno finite le risorse della Terra?

Più si insiste nell’applicazione della dottrina della crescita perpetua, che non tiene conto della finitezza delle risorse, sia umane che materiali, sia sociali che geopolitiche, e più si riscontra che i conti non tornano. Il dogma neo-liberista prevede che la crescita possa continuare all’infinito, del resto dal punto di vista cartolare ciò è ovvio se si somma tutto, sia il più che il meno vanno nella stessa colonna. Ma dal punto di vista umano qualcosa non va più come prima, perché la new economy fatica sempre di più a controllare le crisi economiche regionali. Tanto che sempre più spesso si passa alla repressione cruenta!
Emblematica è la crisi dell’Argentina, quando Domingo Cavallo decise di rinunciare alla sovranità monetaria del proprio paese agganciando il peso argentino al dollaro. Da quel momento la politica monetaria del paese veniva di fatto delegata alla FED, ma l’adozione del dollaro rese impossibile le esportazioni argentine, perché non si poteva svalutare la moneta, a differenza del Brasile e del Cile che in tal modo diventavano più competitivi. Ciò comportò un crescente squilibrio della bilancia commerciale, che determinò l’avvio delle privatizzazioni, rendendo il paese di Menem agli occhi del mondo come il paese del miracolo economico, dove le dottrine della FMI venivano applicate al loro massimo grado.
Poi… non ci fu più nulla da privatizzare!
Lo squilibrio commerciale rimase, l’Argentina dovette chiedere prestiti e ad ogni giro i tassi aumentavano. I tassi alti scoraggiavano l’economia e gli investimenti, e il paese entrò in recessione. Quindi: blocco della spesa pubblica, taglio dei salari, più o meno come oggi in Italia, e alla fine l’FMI prestò 8 miliardi di dollari a patto che l’Argentina entrasse nell’FTAA, l’accordo di libero scambio con gli Usa che fece aumentare il deflusso di dollari e rimandò solo di qualche mese la crisi finanziaria, giusto per dare il tempo alle grandi banche di cartolarizzare i loro crediti in sofferenza e gettarli nel calderone dei fondi comuni, scaricandoli sui risparmiatori, più o meno come la Parmalat in Italia.
Quando la crisi giunse con violenza inaudita non ci fu molto da fare, si dovette limitare la possibilità di ritirare soldi, tagliare ancora gli stipendi, mentre i ricchi portavano i soldi all’estero, e nelle strade cominciò a scorrere il sangue, con i cittadini che assaltavano i supermercati. Il sogno del neo-liberismo si infranse contro la nuda realtà.

Da quel momento, poco prima o poco dopo, si cominciò a vedere un nuovo attore sulla scena internazionale: il movimento. Il movimento non è altro che una definizione all’interno della quale si può ricondurre la generica protesta verso la dominazione e la tirannia del capitale: il popolo di Seattle, i no global, gli studenti in piazza…
Il movimento è la risposta, talvolta violenta, al ricatto del capitale, che resosi conto che le risorse non sono infinite e quindi la crescita perpetua è solo un utopia di un pazzo economista ben poco creativo, per impedire la svalutazione della sua quota di torta vuole sottrarre al resto del pianeta le sue misere fette. Parliamo del 3% della popolazione mondiale che consuma oltre il 50% delle risorse, che guadagna, come Marchionne, 1000 volte di più dei loro dipendenti. L’amministratore della Fiat, esempio emblematico del neo-liberismo, ha perfettamente compreso che per guadagnare di più lui (e gli azionisti) deve pagare meno i dipendenti, e nel contempo farli lavorare di più. La ricetta è di una semplicità disarmante, eppure se ne discute come se si trattasse del “dialogo sui massimi sistemi”.

Ma le scelte del capitale vanno imposte, se del caso con la forza dei manganelli, per ricacciare indietro, ad esempio, gli “ingrati” aquilani che protestano a Roma per il mancato rispetto delle promesse, e quale tattica migliore che l’antico “divide et impera”, inserendo provocatori all’interno dei cortei per poi far intervenire le forze dell’ordine che, come detto più sopra, non hanno tanto funzioni di giustizia quanto di controllo sociale? Genova, dove nella catena di comando c’erano tutt’altro che “inesperti”, compreso un colonnello che aveva preso parte alle operazioni in Somalia, dove si dice che si divertissero a collegare cavi delle batterie ai genitali dei presunti terroristi, fu il battesimo del fuoco in Italia, ma Napoli ne fu la logica premessa, quando si affilarono le armi, ed è sintomatico che due governi di ideologie apparentemente opposte diressero i due eventi.
Passano gli anni, eppure il “movimento” non cede, è sempre lì, talvolta assopito, talvolta diviso, ma c’è ancora, e non potrebbe essere altrimenti perché ogni volta che un cittadino viene scippato di tutto, egli diventa necessariamente un altro aderente del movimento, forse anche inconsapevole. E quindi i ragazzi di Genova che restano per ben due giorni sotto le manganellate, ma non calano la testa, anzi persistono, fino a continuare la loro lotta nelle aule dei tribunale, nelle quali ottengono la loro parziale vittoria, la prima vera sconfitta dell’establishment capitalistico. E non finisce lì, il movimento si riaffaccia alla scena pubblica in altre occasioni, come le proteste degli studenti che mostrano inequivocabilmente, semmai ve ne fosse ancora bisogno, che il movimento non ha davvero alcun rappresentante nei parlamenti nazionali. Sono tutti contro, tranne qualche generica attestazione di stima giusto per cavalcare temporaneamente l’onda del consenso.

Si vedrà in futuro come andranno a finire le cose, ma il vero problema è che ben pochi hanno capito davvero cosa ci aspetta nel futuro, spesso anche i neo-liberisti, come i ministri che stanno lì da anni eppure continuano a cercare scuse per la loro incapacità di risolvere i problemi, non hanno compreso esattamente di cosa si tratta, e continuano a seguire ricette stantie e blaterare di cose che non hanno alcun senso, di un crisi che è alle spalle, ma poi ritorna come in un videogame, forse in attesa di un alto evento da warfare, che dia un po’ di respiro all’economia disastrata, forse un terremoto del quale poter ridere alle 3 di notte!
Eppure è lì, proprio davanti ai nostri occhi, quella che gli esperti definiscono come “trappola di liquidità”. Tradotta per i profani vuol dire che se si aumenta la produttività, alla Marchionne per intenderci, grazie all’uso di nuove tecnologie e nuove organizzazioni di lavoro,
e contemporaneamente non si aumenta la domanda aggregata, alla Marchionne appunto (se i lavoratori si vedono ridurre lo stipendio, chi le compra le auto prodotte dalla Fiat?), i prezzi crollano, la gente non compra, e tutto si avvita su se stesso come in un vortice che cancella le illusioni del potere.
Si chiama deflazione, ed è il caso in cui anche a costo zero, con i tassi di interesse abbassati al minimo, la gente preferisce non comprare ma tenere liquidità, i soldi in tasca, casomai nel materasso, piuttosto che consumare i beni prodotti. Detenere liquidità a questo punto è ritenuto così importante (si chiama appunto premio di liquidità) che qualsiasi altro investimento od acquisto è ritenuto non conveniente, oppure troppo incerto. È quello che accade da anni in Giappone, e segna il limite maggiore del neo-liberismo economico, quell’invariante che la dottrina della superiorità del mercato non riesce a spiegare in nessun modo, o che semplicemente preferisce ignorare, ritenendo che i giapponesi siano troppo lontani da noi, troppo alieni, troppo giapponesi.
Eppure sono stati i primi ad applicare le ricette del neo-capitalismo. Forse è solo che quel che accade in quel non troppo lontano paese dell’Asia, fa troppo paura, perché costringe gli economisti, i tecnici della “scienza triste” che preferiscono immaginare la realtà a loro immagine e consumo, almeno per una volta a fare i conti con la realtà, quella vera!
Sarebbe interessante se qualche analista economico facesse una proiezione sul futuro dell’Europa, un continente senza produzione di beni, di sole attività commerciali, un minimo di ricerca e ben poca agricoltura.

La realtà è li sotto gli occhi di tutti. Diceva Marx che “ogni crisi è crisi da sovrapproduzione”, alla quale si può sopperire, aggiunse Keynes, sul breve periodo iniettando denaro, tramite spesa pubblica, civile o militare. I modelli econometrici dicono che la seconda è più efficace della prima. Ma sul lungo periodo? Nel lungo periodo saremo tutti morti, glissava Keynes.
Oppure, nascono nuovi mercati, il ciclo della produzione si allarga, e si tratta solo di rendere la domanda aggregata, quella dall’Asia, dall’Africa, ecc….
Ma le risorse naturali ad un certo punto finiscono, e così anche la produzione non può essere infinita. E torniamo al punto di prima. Quando i nuovi mercati si esauriscono il problema di ripropone, e rimane da osservare solo il deserto alle nostre spalle, tutto ciò che questa incessante corsa alla produzione ha distrutto in nome del dio mercato.
Ed a quel punto rimane, forse, solo un opzione, che l’egemonia economica sfoci in egemonia militare, come è sempre accaduto in passato, la storia insegna. E in questa grande corsa all’accaparramento delle risorse in via di esaurimento ci sono tutti, dagli Usa alla Cina, dalla Russia all’Europa…


Commenti
Sono stati scritti 9 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrez - 22 gennaio 2011

    Grande lavoro Bruno.  :)

    Lo Stato, secondo Friedman, non ha altra funzione che proteggere la libertà dai nemici esterni ed interni, mantenere legalità ed ordine, cioè garantire il servizio di polizia e l’esercito, e non, si badi bene, la giustizia, ma solo l’ordine pubblico attraverso la polizia, in poche parole difendere il capitale dalla popolazione. Tutto il resto deve essere lasciato al mercato, cioè alla legge del più forte. L’istruzione gratuita e uguale per tutti è solo una indebita ingerenza nel mercato, un danno per il capitale, e per la grandi multinazionali.

    Non sarebbe male iniziare a mettere a fuoco un’altra forma di Stato, diversa da quella di Friedman e magari non basata sulla crescita del Pil.

     

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  2. avatarcarmengueye - 22 gennaio 2011

    Latouche parla da tempo di decrescita, ma è difficile che si applichi una teoria, più facile che un evento shock determini cambiamenti. I quali però cozzano contro la natura umana, prima, e contro un know how di gestione del potere che alcune classi etnico sociali hanno e non mollano .

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  3. avatarAndrez - 23 gennaio 2011

    Ho finito ora di leggere le tue interessantissime considerazioni e torno a commentare.

    Ma quanto potrà durare questo gioco al massacro? Quanto dovrà crescere la spesa militare (o pubblica in genere) per poter coprire una domanda di beni e servizi “non militari” in costante diminuzione? E quando non ci sarà più nulla da privatizzare? E quando saranno finite le risorse della Terra?

    Il gioco al massacro dura dall’inizio della storia dell’uomo. E così temo che sarà sempre, con i suoi alti e bassi dettati dalle variabili esigenze dell’economia.

    Privatizzazioni e risorse saranno inventate, se ce ne sarà bisogno. Usando il sottosuolo, i fondali marini e lo spazio, ma temo che nulla arresterà questo processo, già peraltro iniziato a Dubai.


    A fasi alterne questo sviluppo dell‘economia genererà situazioni favorevoli per le masse, alternandole ad altre di riorganizzazione (le crisi), durante le quali alcuni ricchi si arricchiranno sempre più a scapito del livello di vita delle masse.
    E se qualcosa sfuggirà loro di mano o qualche progetto andrà storto, come una guerra nucleare che costringerebbe i detentori della globalizzazione a continuare a confrontarsi con archi e frecce, l’obiettivo ed il metodo resteranno comunque gli stessi.

    … eppure il “movimento” non cede, è sempre lì, …

    Da Spartaco ai Ciompi, dalla rivoluzione francese al ’68, i sommovimenti popolari non hanno portato a nulla; quando non sono stati repressi immediatamente, sono stati fagocitati e fatti propri dal sistema.
    Dalla seconda metà del ‘900 sino ad oggi il Movimento appare una realtà più consapevole ed emancipata, meglio in grado di ipotizzare una sua autogestione.  Ma come sappiamo, solo perchè l’economia capitalistica in questa fase ha avuto necessità di maestranze e quadri intermedi preparati, e questo ha generato l’anomalia.
    Ora la fase è finita, l’economia necessita d’altro ora, e per le masse è tempo di tornare nell’oblio ignorante e disorganizzato.
    Questo appare all’orizzonte. Assieme alle metacittà più o meno spaziali, alle produzioni di derrate popolari automatizzate sottomarine ed altre carinerie di questo tipo.  :mrgreen:
    ______________________________________

    Il villaggio di Dumbar
    Il villaggio di Asterix era autosufficiente e basato sulla famosa regola dei 150 di Dumbar, il numero ideale di una comunità.
    Un druido/medico e un capovillaggio/guerriero,  un fabbro, un sarto e un falegname, un pescivendolo e un fornaio, e poi una decina di pescatori e cacciatori ed una ventina di contadini.  Un musico e una scuola con maestra.  :mrgreen:

    Leggiamo che è in arrivo la moda della residenza speciale ed esclusiva per ricchi. Antiche corti lussuosamente ristrutturate e completamente chiuse all’esterno, con guardie che controllano gli ingressi, dove per poter divenire proprietari di una residenza tocca dimostrare di avere caratteristiche (economico-culturali) compatibili con lo standard fissato dai proprietari.

    Forse non è necessario essere ricchi per fare questo, tirarsi fuori e vivere in modo quasi autosufficiente, e confesso che è un’idea che covo da tempo. 😀

     
     

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  4. avatarcarmengueye - 23 gennaio 2011

    Sei in vantaggio, però.

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  5. avatarcarmengueye - 23 gennaio 2011

    Andrez! Cos’è questa novità? Ultimamente condivido un articolo su FB  e mi compare l’ultimo commento.

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  6. avatarAndrez - 23 gennaio 2011

    Sei in vantaggio, però.

    :mrgreen:  Ti confesso che il Resort inizialmente era una trentina di cottage a 2 camere  per un affiatato gruppo di amici che aveva pensato bene di cambiare vita.

    Era da tempo che meditavamo la fuga.

    Agli inizi degli anni ’90 arrivai ad Ao Nang e visto il posto e le sue opportunità (spiagge e jungla vergini/incontaminate) mandai a casa il seguenta messaggio:

    -” Qui ho trovato una mezza valle molto carina; che faccio?”

    E la risposta che arrivò in poche ore fu: “tu friggi senza paura.”  (davvero così, dove per friggere si intende agisci decisamente)

    E io frissi, acquistando 10 Raj (16.000 m.q.) di valle con jungla, a 400 m. dalla spiaggia.

     

    Fatto il villaggio, arrivarono tutti con moglie e figli e, appena le mogli compresero l’aria che tirava con le donne indigene (le Thai sanno esprimere una gentilezza ed una devozione sconosciuta alle europee) riempirono di schiaffoni i rispettivi mariti i quali non tornarono mai piu, lasciandomi quasi solo (Zeit è uno dei pochi che ha tenuto duro) a gestire l’ambaradan.

    Sei mesi dopo aprirono un aeroporto internazionale a 25 km. dal villaggio e fiotte di turisti carichi di money pretesero camere.

    E così nacque  Emerald Garden Resort.  :)

    _______________________________________

    … condivido un articolo su FB  e mi compare l’ultimo commento.

    Perchè entri nella pagina cliccando [commenti] invece del titolo o di [leggi tutto]

    Puoi avere la prova controllando l’url; se c’è il titolo:
    http://www.andrez.cotti.biz/la-finanziarizzazione-dell%E2%80%99economia-da-reagan-a-genova-4761.html
    linkerà la pagina; se c’è il titolo+/commnet etc.
    http://www.andrez.cotti.biz/la-finanziarizzazione-dell%E2%80%99economia-da-reagan-a-genova-4761.html/comment-page-1#comment-1968
    ti linkerà l’ultimo commento.  :)

     

     

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  7. avatarBsaett - 16 febbraio 2011

    Loretta Napoleoni sull’economia sommersa italiana e sulla finanziarizzazione delle economie europee.

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  8. avatarBlog di Andrez » Blog Archive » Good morning capitalism - 8 marzo 2011

    […] consumano più di quanto producono. E questo tocca tutta l’Europa, ormai preda di una eccessiva finanziarizzazione, un’Europa che ha sostanzialmente abdicato al ruolo di produttore di beni. Con la scusa della […]

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  9. avatarBlog di Andrez » Blog Archive » Se l’Asia compra l’Europa - 19 settembre 2011

    […] che la Gran Bretagna è uno dei paesi più colpiti dalla crisi, in quanto è stata fortissima la finanziarizzazione del paese, con delocalizzazioni della produzione effettiva un po’ dappertutto. Il succo del […]

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