La Fiat lascia l’Italia?

FiatLo avevamo detto, non che fossimo gli unici, del resto non ci voleva la sfera di cristallo per capirlo, bastava semplicemente leggere i fatti, e raccontarli così come appaiono, invece di imbonire i cittadini di chiacchiere tese solo a non far capire di cosa realmente si sta parlando.
Lo avevamo detto che la Fiat “ha tutto l’interesse ad uscire dall’Italia, visto che il mercato auto europeo è fermo da anni, perché saturo, e la Fiat perde quote perché, appunto, non innova. Mentre invece ha interesse ad investire nella Chrysler, come finanziaria, perché lì c’è l’interesse da parte dei lavoratori, che sono anche i padroni, a rimettere in sesto l’azienda, oltre che mantenere la produzione in paesi in via di sviluppo, come il Brasile, dove le auto si vendono ancora.
È quindi abbastanza probabile che alla fine, dopo che avrà saputo tirare fuori un altro bel po’ di contributi statali, e aumentato le sue stock option, Marchionne vada negli Usa per occuparsi casomai della Chrysler
”.

Ed ecco che nei giorni scorsi ascoltiamo l’annuncio di Marchionne che la sede del gruppo che nascerà dalla fusione tra Chrysler e Fiat (fusione che ancora stranamente tarda a venire!) potrebbe essere a Detroit. Certo, qualche giorno dopo è stato convocato dal governo italiano, dai ministri competenti, i quali gli hanno chiesto spiegazioni: dopo l’esposizione del governo stesso a suo favore non doveva dargli questo colpo basso!
Certo, Marchionne ha in parte ridimensionato le sue affermazioni, che si tratta di progetti futuri, cose da stabilire, che ci saranno più centri direzionali, uno in Europa, uno a Torino e uno a Detroit, ecc…. ma davanti al pubblico americano è stato fin troppo chiaro.

Viene da chiederci dove sono ora i tanti che hanno appoggiato Marchionne e la sua resistibile rivoluzione, compreso Sacconi e Fassino, Romani e Bonanni.
In realtà da questo spostamento di direzione non ne uscirebbe poi una grande differenza, si perderebbero solo qualche centinaia di posti di lavoro a Torino, per il resto la produzione è in gran parte fuori dall’Italia, e prendere le decisioni a Torino o a Detroit cambia poco. L’Italia è solo uno dei tanti luoghi dove è dislocata parte della produzione, e nemmeno uno dei principali, dato lo scarso rendimento rispetto ad altre linee produttive (come quella del Brasile), ma soprattutto dato che anche un aumento della produttività in Italia non avrebbe praticamente nessuna conseguenza, perché le auto in Europa la Fiat ne vende sempre di meno, e anche quest’anno ha visto ridursi la sua quota di mercato, a differenza di Bmw, Volkswagen ed altre aziende che aumentano la loro quota.
Invece lo spostamento della direzione avrebbe la funzione di eliminare le duplicazioni di ruoli dirigenziali, e tra Detroit e Torino la scelta appare obbligata. Anche perché è negli Usa che il lavoro di progettazione della nuova società che nascerà dalla fusione tra Chrysler e Fiat si concentrerà, i centri di design sono sempre nei pressi del centro decisionale.
Rimarrebbe solo decidere il ramo camion e trattori, che dovrebbe essere venduto (già ci sono i compratori), e sistemare la partecipazioni storiche, quelle del Corriere della Sera e la Stampa, ad esempio. Ma sono tutte decisioni di poco conto.
Adesso Marchionne, dopo aver avuto quello che voleva dall’Italia, deve pensare ai suoi reali affari, e nei prossimi mesi ha molti appuntamenti importanti. La Chrysler sta negoziando con le banche per ottenere i finanziamenti che gli occorrono per ripagare i prestiti pubblici americani e canadesi, sta negoziando con il governo Usa 3 miliardi di contributi per la costruzione di modelli ecologici, poi entro la fine del 2012 la Chrysler dovrebbe tornare in borsa, e poi c’è il rinnovo del contratto di lavoro siglato coi sindacati.
Per questi motivi Marchionne si muove spandendo ottimismo a piene mani per convincere gli interlocutori americani, e in primis Obama, primo creditore della Chrysler, della sua affidabilità e del suo interesse a portare avanti la Chrysler, finendo anche per dare un premio agli operai americani. Insomma Marchionne sta cercando quel consenso che gli occorre per guidare la Chrysler, e la Fiat è solo una piccola appendice, niente di più.
Ed ecco che l’annuncio di Marchionne trova un senso proprio nella ricerca di questo consenso americano che è ancora non del tutto scontato, visto che la quota di mercato risulta ancora inferiore rispetto alle promesse del piano industriale, visto che la Chrysler è ancora in rosso di oltre 650 milioni. La Fiat invece è in utile, di 600 milioni, ma soprattutto grazie ai tassi di cambio che gonfiano i profitti brasiliani tradotti in euro, ma in ogni caso sono soldi utili per la nuova azienda che nascerà da questa fusione.
Quindi ancora molte incognite, e per convincere le grandi banche Usa ci vuole qualcosa di più, e l’annuncio di una direzione del gruppo posta a Detroit potrebbe essere un’allettante incentivo, quanto meno scongiurerebbe la paura americana che la Chrysler possa diventare italiana.
Lo slogan di qualche tempo fa, lanciato come fumo negli occhi dell’opinione pubblica italiana, di una Fiat che compra la Chrysler, si scioglie con i primi giorni di caldo, e Marchionne, come previsto, naviga verso la terra del sogno americano, dove lo aspettano sovvenzionamenti per 7 miliardi di dollari. Perché mai, con queste premesse, Marchionne dovrebbe restare in Italia?

Tutto ciò dovrebbe far riflettere, e non poco, chi dirige la nostra politica industriale ed economica, perché se è quasi obbligato che la Fiat se ne vada dall’Italia, per non morire, e diventi Chrysler, non è ancora chiaro il perché ciò accada. Ma forse potrebbe essere utile guardare non tanto, come erroneamente si fa quasi a voler trovare una giustificazione (dobbiamo competere con i cinesi che lavorano come schiavi), alle realtà cinesi o sudamericane, quanto piuttosto ad aziende a noi più vicine, come la Volkswagen che, a fronte di un orario di lavoro di 35 ore, offre uno stipendio decisamente più alto ai suoi dipendenti, mentre con 40 ore la Fiat ha i salari più bassi d’Europa. Nonostante ciò la Volkswagen continua ad erodere quote di mercato alla Fiat, in Europa.

L’idea di abbassare i salari, aumentare le ore di lavoro, diminuire i diritti sindacali, pare non avere alcun peso sulla produttività di un’azienda, al massimo serve ad aumentarne la redditività, come già abbiamo avuto modo di evidenziare. Quello che davvero manca alla Fiat, e non solo ad essa in mezzo a tante altre aziende italiane, è l’assenza di investimenti nella ricerca e nello sviluppo, perché oggi, in un mondo sempre più globalizzato, non è affatto vero che vince chi paga meno gli operai, piuttosto vince chi ha operai più specializzati, e riesce a garantire prodotti più avanzati. L’operaio specializzato si deve creare man mano, e costa molto, e qui veniamo al vero problema dell’azienda, l’assenza di investimenti, di coraggio, appunto di ricerca. E anche questo lo avevamo detto, evidenziando come la Cina sia riuscita prima ad attrarre aziende e capitali esteri, e poi sia riuscita ad impedir loro di andar via nel momento in cui i lavoratori, spalleggiati sempre dal governo, hanno iniziato a proporre delle rivendicazioni sindacali, per ottenere quei diritti che i lavoratori italiani stanno gradualmente perdendo. E così in Cina abbiamo visto la Foxxcon che si piega ai voleri degli operai cinesi, e non delocalizza in Vietnam perché il valore aggiunto della manodopera cinese è ancora imbattibile, e per produrre gli iPod di qualità non basta un operaio qualsiasi. E lo stesso accade alla Honda, e a tante altre aziende.
Se l’Italia perderà la Fiat, ancora una volta sarà colpa della miopia dei nostri dirigenti, sia quelli governativi che aziendali, per la loro incapacità di avviare un modello di sviluppo che consenta all’Italia di competere con gli altri paesi, specialmente quelli emergenti, trincerandosi invece dietro la solita ricetta del protezionismo economico che tra qualche decina d’anni lascerà l’Italia come un deserto industriale. La prima ad andarsene sarà, appunto, la Fiat!


Commenti
Sono stati scritti 4 commenti sin'ora »
  1. avatarcarmengueye - 10 febbraio 2011

    Credo che chi finge stupore lo sapesse benissimo.

    Lascia un Commento
  2. avatarCotti Fausto - 10 febbraio 2011

    Gran bella figura, la wolkswagen, adesso poi si aggiunga l’impegno della Merkel a modificare entro il 2013 gli orari di lavoro dei dipendenti, per dargli la possibilità di poter stare di più con la famiglia….siamo in un altro mondo.

    Lascia un Commento
  3. avatarZeitgeist - 11 febbraio 2011

    Sì, caro Fausto, siamo nel bel paese di Pulcinella e delle Banane.
    Infatti Sabato Minchionne si incontra con Culo Flaccido, ma a far cosa?
    Minchionne ha già pianificato tutto e non sarà certo un incontro tardivo a fargli cambiare idea, gli incontri devono essere preventivi, o no!  :roll:

    Lascia un Commento
  4. avatarCotti Fausto - 11 febbraio 2011

    Cosa vuoi che facciano, un dibattito?  Ambedue finalmente si incontrano con qualcuno che non gliene frega niente di quello che fa l’altro.  Stapperanno due bocce di champagne, mangeranno un pò di caviale, si racconteranno 2 barzellette e alla fine faranno salire una scamionata di busone.

    Lascia un Commento

Devi essere Registrato per poter laciare un commento!.