Italia arretra sul digitale

CervelloSul digitale continua l’arretramento dell’Italia

Quando nell’ottocento arrivò l’elettricità, all’inizio se ne poteva anche farne a meno. Ma si restava al buio.
Paolo Guerriero, docente di economia alla Sapienza e vicepresidente dell’Istituto di Affari Internazionali dipinge uno scenario piuttosto fosco.

In questi ultimi anni ci sono Paesi come Svezia e Finlandia, Francia e Germania che puntando su Internet hanno ridisegnato il modo di pensare la società, l’economia e la politica. Digitale non significa solo accendere un computer, ma vuol dire portare un Paese a superare gli schemi del passato e utilizzare nuove tecnologie e quindi nuove qualità della vita e del lavoro. L’Italia invece in questo ultimo lustro è addirittura arretrata sul digitale.

Il digital divide, (il muro invisibile che divide chi usa internet da chi non ha mai toccato un mouse) è una barriera pericolosa, e in  Italia è costantemente alimentata dall’attuale governo proiettato al mantenimento dello Stato Televisivo modello anni ’80 per ovvi interessi aziendali.
Si mantiene così un’Italia forzatamente divisa in due con gli utilizzatori della rete proiettati verso il futuro, e gli altri ancorati al tubo catodico.  Se agli inizi si riteneva che il digital divide avrebbe sempre più diviso i Paesi poveri e tecnologicamente arretrati da quelli ricchi e tecnologici, in realtà le cose si sono sviluppate in modo ben diverso; pur essendo l’Italia un Paese ricco presenta (e mantiene) gravi livelli di digital divide, e questo sia all’interno della propria popolazione che nel confronto con altri Paesi europei e persino con alcuni in via di sviluppo.

Qui è mantenuto completamente bloccato lo sviluppo delle infrastrutture, (cioé la diffusione capillare di una buona rete di connessione). Partendo dalla limitata diffusione della banda larga, le ragioni che ci separano dagli altri Paesi  sono prettamente l’utilizzo di internet da parte di cittadini e imprese e la qualità e quantità dei servizi offerti. Relativamente a questi due aspetti – “come fare” e “cosa fare” – fino a pochi anni fa l’Italia era in serie B: non eccelleva ma aveva le condizioni a portata di mano per passare alla categoria superiore,  ora invece è retrocessa in serie C.

E non poteva essere che così, in quanto trattandosi di internet l’innovazione corre così veloce che se non ci si aggiorna in fretta poi tutti gli altri ti superano.

Il problema è purtroppo politico. Il nostro Presidente del Consiglio ed il suo entourage hanno evidenti interessi nel modello televiso-pubblicitario anni ’80; essi appaiono in contrasto con lo sviluppo di internet e finchè avremo questo governo c’è poco da sperare. Si vuole restare al Novecento, e pertanto quello che stiamo facendo, cioè nulla, è perfetto.  Se volessimo teorizzare qualcosa di utopistico, vista la situazione, immaginando un governo differente,  potremmo cominciare a rimboccarci le maniche e valutare progetti ed azioni.

Innanzitutto toccherebbe reinvestire nel digitale.  I miliardi stanziati dal precedente Governo Prodi per questo progetto sono stati completamente azzerati dall’attuale.  Poi un differente governo potrebbe riconoscere le priorità su cui puntare le energie del paese. Non si può pretendere che le aziende si lancino da sole verso il futuro digitale: è tutto il sistema che deve andare in quella direzione, a  cominciare dallo Stato, nel senso di muovere il settore pubblico innescando un meccanismo che coinvolga tutti, dai cittadini alle imprese.

In questi ultimi anni abbiamo sentito parlare di grandi riforme, di innovazioni, di rivoluzioni digitali della Pubblica Amministrazione, ma poi nei fatti nulla si è mosso. Eppure  in questo campo si gioca una grossa battaglia per il cambiamento, in quanto la  Pubblica Amministrazione riguarda tutti, cittadini e aziende. Perché significa abbattere costi e tempi della burocrazia, aumentando l’efficienza di tutto il sistema e creando notevoli risparmi. Perché vuol dire creare nuove società specializzate nell’offerta di nuovi servizi digitali con inevitabile ricadute sull’occupazione. E infine perché si spingono cittadini e imprese a usare sempre più il computer e la rete. Si parla tanto di alfabetizzazione digitale: il modo migliore per diffonderla è cominciare a usarla.

Esiste ad esempio un’agenda digitale proposta dal Pd in cui si parla di definire una data per il passaggio della Pubblica Amministrazione dal mondo della carta a quello del digitale. Sarebbe un ottimo passo per obbligarci a cambiare, un po’ come è stato fatto con il passaggio dalla TV analogica a quella digitale: a un certo punto sono arrivati i decoder e abbiamo dovuto adeguarci. Qui si tratta di imparare a fare a meno della carta: significa abituarsi a richiedere e ottenere certificati online, registrazioni commerciali via computer, l’utilizzo delle firme digitali. Negli altri Paesi questo avviene già da tempo.

Dall’Italia di carta all’Italia digitale sarebbe un passaggio importante, ma non può essere l’unico; se si vuole cambiare la pubblica amministrazione gli investimenti sono indispensabili. Ma paradossalmente lo scoglio più alto non sono i soldi.  È una questione di riorganizzazione: negli ultimi anni siamo diventati un Paese catodicamente ingessato, che non sa cambiare perché non vuole cambiare, visti gli interessi personali televisivi del premier.

È questo il vero male dell’Italia.

Ed è qui che la sfida digitale potrebbe avere effetti per noi devastanti:  le tecnologie digitali sono quelle che gli economisti chiamiamo Gpt, general purpose technologies, cioè innovazioni che hanno ricadute su tutti i settori, non solo in quello specifico dell’elettronica e dell’informatica. L’energia elettrica era in fondo una di queste Gpt: certo, nacquero società specializzate nella produzione e veicolazione dell’energia elettrica, ma le ricadute economiche, sociali ed occupazionali avvennero in tutti i settori. Fu una rivoluzione appunto.

Il settore digitale è dinamico e in continua espansione: quello che oggi è innovativo, domani sarà obsoleto. Per questo bisogna avere una mentalità che sappia cogliere i cambiamenti, cercarli e produrli. Questa continua evoluzione delle tecnologie digitali premia chi ha una mentalità dinamica e penalizza chi ha una visione statica. Noi apparteniamo alla seconda categoria, per scelta dovuta agli interessi del nostro Presidente del Consiglio.

Questa in effetti è un’altra forma di digital divide, il più pericoloso, perché aumenta di mese in mese. La rivoluzione digitale è come un nuovo oleodotto: chi ha i motori pronti fa il pieno di benzina e parte; chi ha la bicicletta non si accorge di nulla.

Però fa poca strada.


Commenti
Sono stati scritti 7 commenti sin'ora »
  1. avatarLorenzoGT - 2 aprile 2011

    Tematica interessante questa del digital divide.
    Concordo con quanto hai scritto al 99%.

    Quell’ 1% non te lo concedo perchè, essendo della generazione anni ’80 non posso che ricordare con piacere quei tempi (son di parte e me ne vanto) :).
    E’ vero, anche allora c’erano programmi televisivi molto “leggeri”, e con la dovuta presenza di tette e culi: basti pensare a Drive In che con la giovanissima Lory del Santo e Tinì Cansino hanno segnato forse l’inizio di questa nuova figura di donna sylicon-style; per lo meno però in trasmissioni come quella hanno cominciato a percorrere i primi passi quei comici che si sono consacrati negli anni successivi e che oggi sono personaggi di rilievo, come Ezio Greggio o Giorgio Faletti.
    E’ altresì vero che quelli erano i tempi in cui andavano tanto di moda quelli che oggi chiamiamo “film trash”; basti pensare a Pierino, la Feneck, Lino Banfi, Pippo Franco, Er Monnezza e compagni.

    Premesso questo però, siamo sicuri di poter paragonare quell’epoca con questa, caratterizzata dai Grandi Fratelli, dalle Isole dei Famosi, dalle varie Marie de Filippi o le Varie Barbare D’Urso? O dai vari film per la tv strappalacrime delle nove di sera, che celebrano i nostri poeti, santi e navigatori, preconfezionati per le tue amate nonnine e cuginetti? (Se permetti meglio “Occhio Malocchio Prezzemolo e Finocchio” enhehe!)
    Non so; in quell’epoca eravamo più spensierati – magari meno agguerriti (almeno politicamente parlando) rispetto agli anni 70 – ma mi sembra meno lobotomizzati e berlusconizzati di adesso.
    Ps: ovviamente ho scritto queste righe visto l’affetto che ho per quegli anni, e non ho problemi a ritenermi “di parte”. :)

    Per quanto riguarda il tema del digital divide, io vedo che l’ostacolo più grosso è principalmente quello della mentalità di chi ci amministra. Basta aggirarsi ad esempio in uffici comunali, asl, inps, ecc per constatare che gran parte di chi ci lavora ha una conoscenza delle nuove tecnologie praticamente pari a zero; roba che mia nipote di tre anni è capace di far meglio. E più si sale nella scala gerarchica (e conseguentemente più si sale di età) e più sono completamente ignoranti in materia.
    Esempio lampante è per esempio la spesa che il 99.9% degli uffici pubblici riserva alle licenze della Suite Office, quando c’è come sappiamo una valida variante rappresentata dalla Suite Open Office; la domanda sorge spontanea: perchè non fanno almeno quel passo, che consiste nella semplice disistallazione del vecchio e costoso software e la conseguente istallazione di quello a costo zero? Semplicemente perchè considerata la loro ignoranza nemmeno sanno che tale opzione esiste. Loro sanno che per scrivere un documento si usa word e per compilare un foglio di calcolo si usa excel…, e per alleviare le varie sofferenze lavorative si usa il Solitario, il Campo Minato, e così via; sarebbe troppo richiedere uno sforzo maggiore di adeguarsi ai tempi…
    Quanti soldini risparmierebbero per fare questo semplicissimo passaggio? Quei soldi risparmiati non potrebbero essere impiegati in cose più utili?
    Per concludere, con tali soggetti che hanno la pretesa di amministrare i nostri Comuni, le nostre Provincie, le nostre Regioni, il Paese intero, sarebbe inutile anche una rete di ultima generazione a banda ultralarga. Anzi, è inutile anche l’attuale Adsl, visto e considerato che se gli invii una e.mail spesso e volentieri non riescono nemmeno ad aprirla… (non so se a voi è mai capitato).
    Se ci spostiamo sul fronte privato (aziende e liberi professionisti) la sitazione è di gran lunga migliore, anche perchè non avere una sufficiente competenza informatica significa praticamente essere fuori dal mercato. Il problema è che però tutto quello che di digitale esce dal privato deve essere riconvertito in “analogico”, ossia
    in pesanti mucchi di carta (visto che spesso i nostri burocrati non si accontentano di una copia sola…).
    E lavorare così, nel 2011, è veramente frustrante.

    Lascia un Commento
  2. avatarAndrez - 3 aprile 2011

    Il Drive In segnò una svolta che al tempo accogliemmo tutti con entusiasmo; si passava dalla vecchia TV grigia e bacchettona della DC a qualcosa di finalmente più fresco e frizzante, giovane e gradevole.

    Fu una stagione libertaria che fece cadere la famigerata censura Rai e portò tra l’altro il seno nudo sullo schermo.

    Quella del Drive-In fu solo la ventata iniziale e presto da lì partirono due tracce apparentemente simili ma in realtà contrapposte che possiamo sintetizzare nel ‘Colpo Grosso’ di Smaila e ‘Phinocchio col PH’. Entrambi mostravano le ballerine a seno nudo ma mentre il secondo era un programma di fatto satirico-culturale ed il nudo veniva presentato sempre in modo artistico, Smaila le tette le ostentava e le sbatteva in primo piano nel più squallido dei modi possibili, fissando le basi di quella che sarebbe poi divenuta la TV maiala dell’utilizzatore finale.

    Certo in quegli anni si era meno lobotomizzati e berlusconizzati di adesso, ovviamente, che il nano si stava solo apprestando ad iniziare la sua offensiva mediatica.

    Mi sembra fisiologico che gran parte di chi lavora negli uffici statali abbia una conoscenza delle nuove tecnologie praticamente pari a zero e certo il dramma è che più si sale nella scala gerarchica (e conseguentemente più si sale di età) e più si trovano soggetti completamente ignoranti in materia, … ispirati dal Primo Ministro che confessa candidamente di non conoscere nè internet nè ‘Gogòl’.  Ciò che è avvenuto negli altri Paesi è stato costringere questi funzionari ad adeguarsi, e quindi portare all’adeguamento dei cittadini. Ma non si ritrovavano il puttaniere catodico tra i piedi.

    La scelta della  modernizzazione digitale è lasciata alla maturità dell”individuo, delle aziende  o delle singole amministrazioni.

    Ricordo a proposito un convegno a Bologna sull’applicazione dell’Accessibilità nell’informatica nelle Pubbliche Amministrazioni del 2005 dove Hogudo (Massimiliano Navacchia) uno dei relatori, ad un certo punto per comprendere il livello di preparazione dei presenti chiese chi conscesse Dmoz,  aggiungendo subito con uno sguardo ironico – esclusi quelli della prima fila – dove assieme a me c’erano Giorgiotave ed una manipolo di smanettoni dell’ueb.  Panico nella platea di esperti internet delle P.A.; nessuno sapeva nulla di stà Dmoz.   :mrgreen:

     

    Lascia un Commento
  3. avatarLorenzoGT - 3 aprile 2011

    Il fatto che questi “esperti internet delle P.A. non conoscano dmoz non mi soprende. Forse si ritengono esperti perchè sanno che cliccando sull’icona con la “E” ci si collega ad internet.
    Poi, basta farsi un giro e vedere i portali web di molte amministrazioni comunali per vedere il carattere chiaramente “amatoriale” che c’è dietro ai tanto da loro decantati  frutti dell’ “innovazione tecnologica comunale”.
    Il fatto che Papi non conosca nè internet nè gogol non mi sorprende più di tanto; è completamente coerente con l’incoerenza del personaggio: l’uomo delle tre “I” che non conosce internet.

    Lascia un Commento
  4. avatarcarmengueye - 3 aprile 2011

    Vorrei fare alcune dotte percisazioni(vietato ridere). Lory del Santo tutto potrà essere considerata tranne che siliconata, soprattutto negli anni ottanta. E’ sempre stata magra e con rotondità contenute, se si eccettua un intervento alle labbra in anni recenti.
    Statali e informatica: io ho imparato  a usare il p.c. praticamente contro la volontà dei capi di allora. Si deve tenere la gente nell’ignoranza, è così che funziona.

    Lascia un Commento
  5. avatarMassimiliano Navacchia - 11 aprile 2011

    A mio avviso troppo spesso mancano ancora le basi. Mentre da persone inerentemente alle cui competenze sul web partono decreti ministeriali tanto complicati quanto grossolani, le basi non esistono ed ognuno rischia così di inventarsi l’acqua calda e, questa è la cosa triste, magari se ne vanta in giro aggiungendosi il titolo di grande esperto e guru. Considerando quello che c’è stato, le opportunità e l’innovazione globale che ha investito la società, a mio avviso nella PA globalmente c’è stata una arretratezza sostanziale dal 2006. Sinceramente nessuno dei presenti di allora che sapevano ciò di cui si stava parlando, avrebbero mai pensato ad una catastrofe culturale digitale ti tale portata. Un web metastasi direi…

    Lascia un Commento
  6. avatarAndrez - 11 aprile 2011

    Ciao Massi e benvenuto nel blog 😉

    Per gli amici che ci leggono, Navacchia è un esperto in comunicazione e web, W3c ed Accessibilità.

    Già nel 2005, a web 2.0 in corso, ci si pose il problema dell’Accessibilità dei siti.

    Si veniva dalle origini del web, che avevano riempito la rete di siti caserecci stracarichi di gif animate e layout fantasiosi e bizzarri; il web 2.0 (interattività della rete) cominciava a dilagare, che gli utenti esigevano sempre più di poter interagire con i siti che usavano, scambiando e condividendo materiale, informazioni e conoscenza. In quest’ottica venne da sè il rendere Accessibili questi siti, e specialmente quelli istituzionali, delle PA insomma, che erano di fatto uno strumento consultivo dei cittadini.

    Un sito Accessibile avrebbe dovuto presentare standard d’impianto che corrispondessero a linee di facile comprensione, capaci di fornire in modo evidente informazioni utili, con un impianto di link facilmente utilizzabile e validato W3c, con un codice cioè corrispondente a canoni riconoscibili dai motori di ricerca.  Immediatamente successivi a questi aspetti, furono aggiunti la possibilità di accedere al sito a portatori d’andicap, e quindi offrire la possibilità di aumentare le dimensioni del testo, l’uso di accostamenti di colori compatibili con chi avesse distrurbi della vista, fino a siti con pagine parlate per non vedenti.

    L’esempio che ho riportato su del convegno di Bologna sull’applicazione dell’Accessibilità nell’informatica per le Pubbliche Amministrazioni (del 2006) dove Navacchia era relatore, si poneva appunto l’obiettivo di stimolare ed indirizzare i webmaster delle PA presenti in sala a muoversi in questa direzione.

    L’esperienza non fu molto gratificante, in quanto non solo apparve chiara l’impreparazione di detti webmaster, ma anche la loro ritrosia ad innovarsi ed aggiungere queste forme di Accessibilità ai loro siti,  nonostante la Legge Stanca lo prevedesse chiaramente.

    Ma nonostante la poca disponibilità emersa a quel convegno, come dice Massi nessuno dei presenti di allora che sapevano ciò di cui si stava parlando, avrebbe mai pensato ad una catastrofe culturale digitale ti tale portata.  Senza dubbio una web metastasi.

    Lascia un Commento
  7. avatarBsaett - 11 aprile 2011

    Negli ultimi tempi non si investe più sull’internét (come dissero in Tv), ma solo sul diGGitale terrestre (tra l’altro nato già vecchio). Inutile rimarcare i motivi, si vedono.
    Pensiamo che il governo Prodi stanziò 800 milioni (con altri 700 possibili), dai quali il governo B. ha preso tutto, fino a lasciare solo 30 milioni per il digital divide. Una recente proposta di legge prevede la fantasmagorica cifra di ben 50 milioni per 3 anni (150 in totale) da dedicare alla rete. Recenti studi europei considerano gli investimenti in alta tecnologia (specialmente nella rete) come un necessario volano per l’economia, sostenendo (con dati) che per ogni euro investito ci sarebbe un ritorno decuplicato, e il resto d’Europa si prepara ad investimenti pensando di realizzare nel settore migliaia di posti di lavoro. Noi invece siamo al palo, e questo la dice lunga di quanto il governo sia interessato allo sviluppo dell’economia italiana, facendoci perdere il treno per le nuove tecnologie. Domani saremo irrimediabilmente indietro, e finiremo preda di colonizzazione informatica dai paesi che sono più avanti.
    E’ un dato di fatto che le nazioni più profittevoli sono quelle del nord Europa, che hanno una penetrazione della rete superiore all’80%.
    L’unico piano che interessa all’Italia è lo scoporamento della rete Telecom, e di RaiWay (le antenne della Rai) per poterle dare (regalare) a qualcuno che agirà in regime di monopolio. Vediamo se indovino, uno a caso, Mediaset????

    Lascia un Commento

Devi essere Registrato per poter laciare un commento!.