IL Pecol

Pietro Checchi, nato a Persiceto nel lontano 1913, mai si sarebbe immaginato di essere ricordato anche dopo la sua morte avvenuta nel 1973 dai suoi concittadini.

A quei tempi era normale, tra i ragazzi dividersi tra bande chiamate “balle”, dove secondo i quartieri o delle zone, ognuno pretendeva imporre la sua “legge”. Era normale dare della ligera ad un ragazzino, che oggi diremmo essere “vivace”. Pècol non si sottrae a questa legge, e grazie al suo fisico possente non ha difficoltà a diventare presto il leader di una di queste “balle” di monelli, probabilmente la più “agguerrita”, quella del “piazzale delle scuole,” sempre in guerra con quelli del “Borletto”, e del “Vicolo dei Frati”.

E’ un ragazzo forte Pècol, e chi ha la sfortuna di litigare con lui (cosa estremamente facile visto il suo carattere) si ricorda per molto tempo i segni che le sue mani lasciano sulla faccia. Appena terminate le scuole elementari trova occupazione presso un artigiano falegname locale il quale, non si sa il motivo, gli affibbia questo soprannome che gli resterà poi per tutta la vita: PECOL . In questa falegnameria Pècol ci resta poco, probabilmente non incline ad accettare le regole ferree del suo titolare, e ben presto lascia il lavoro e inizia un nuovo mestiere il muratore, prima a Persiceto poi a Bologna, cambiando per innumerevoli volte diversi padroni.

Durante i periodi nei quali lavora a Bologna, rimane affascinato delle sue luci, ma soprattutto dalle tante opportunità che capisce potrà godere tra alcuni anni, quando sarà diventato adulto…

A Bologna il Pècol rimane colpito dal fascino delle donne, così diverse dalle “campagnole” che trova nella sua Persiceto, nonché della ricchezza che si respira nelle sue vie, ricchezza sconosciuta al suo paese, rurale e povero.

La prima e grande opportunità, che non vorrà sfruttare, al Pècol gliela offre il partito fascista locale, che conoscendo le sue capacità natatorie gli propone, anzi meglio gli impone, un corso di perfezionamento da fare prima a Bologna poi a Roma dove risulterà eccellere su tutti gli altri partecipanti, aprendogli di fatto, grandi opportunità per il suo futuro di atleta. Finita questa esperienza sempre l’organizzazione fascista locale lo manda a fare un ulteriore corso a Roma facendogli frequentare questa volta una scuola per palombari, anche in questa occasione Pecol si distingue su tutti, superando brillantemente il corso, aprendo di fatto l’opportunità, eccezionale per quei tempi, di una sistemazione lavorativa  sicura e redditizia.

Ma a Pècol tutto questo non piace, e alla prima opportunità fugge da Roma per fare ritorno a Persiceto, nella attesa della chiamata per il servizio militare.

Il  Partito ancora conta su Pècol e non lo molla, offrendogli un’ultima possibilità, quella di partire per le bonifiche delle paludi pontine che getteranno le fondamenta per la nascita della città di Littoria. Anche questa opportunità non riscuote il suo interesse, non aspetta nemmeno la fine del contratto da lui sottoscritto, per decidere  un bel giorno di piantare tutto e tutti e ritornarsene a Persiceto.

A casa cerca, ma non trova lavoro, restando disoccupato per mesi, fino a quando gli arriva la cartolina precetto che lo richiama alle armi, e che tutto sommato non gli dispiace più di tanto. Pècol incontra anche la guerra, e quando l’otto settembre del ’43 giorno del “tutti a casa” lui che si trova a Verona, riprende la strada del ritorno per Persiceto, con già la decisione presa di non fermarsi al suo paese, ma di tirare dritto con destinazione il sud dell’Italia.

Raggiunge Napoli che nel frattempo è stata oramai liberata dagli americani, superando non si sa come le linee tedesche. A Napoli si trova perfettamente a suo agio, imparando in fretta le loro astuzie e il loro dialetto. Ma anche qui non passa molto che la “bestia” che serpeggia in lui, ritorna ad essere predominante, decide pertanto il suo ritorno a casa.

Ma ritornare non è facile, c’è il fronte da superare, allora chiede ed ottiene di essere inquadrato nelle truppe italiane che risalgono la Penisola combattendo a fianco degli alleati giungendo a Persiceto pochissimi giorni dopo la Liberazione.

Il Pècol è il primo dei nostri soldati che rientra a casa a guerra finita. Entra in Paese sopra un camion americano e la gente che è stata informata del suo arrivo, lo accoglie con entusiasmo e con un coro unanime di “bentornato Pècol” gridato da tutte le finestre del Corso. Ma grande è la delusione dei suoi concittadini, quando richiesto un suo comizio, si scopre che il nostro Pecol non parla più il dialetto bolognese, ma un’incomprensibile lingua napoletana, tanto che la platea, amareggiata sentenzia: al Pècol l’è dvintè un napoletan.

Il dopoguerra si presenta subito duro per tutti, ma ancora di più per il Pècol, che non ha un lavoro e a peggiorare la sua situazione, si aggiunge anche la morte del padre. Finalmente riesce a trovarlo un lavoro, in una squadra “particolare” quella dei facchini. Si inserisce subito bene in questo nuovo ambiente, grazie alla sua forza eccezionale, tanto da diventare una pedina insostituibile in un lavoro dove serve prima di tutto la forza muscolare, tanto da diventare fisso, oggi si direbbe assunto a tempo indeterminato. Una vera fortuna a quei tempi.

Grazie a questo lavoro, Pècol può contare oltre alla sicurezza del posto, anche alla certezza di poter contare su una paga che ogni mese arriva, in poche parole ha tutto quello che si può desiderare, ma ancora una volta emerge l’altra parte del suo carattere, quello peggiore. Comincia ad assentarsi dal lavoro sempre più spesso e per giorni consecutivi, trova sempre più Bologna come la sua meta preferita. Incontra, avendo disponibilità di denaro, donne quasi sempre prostitute, e frequenta ambienti assolutamente non raccomandabili, con a fianco sempre più il suo amico preferito, il vino compagno inseparabile delle sue giornate. Pur avendo solo quaranta anni, appare già vecchio e stanco.

A volte la figura umanitaria e la indubbia intelligenza di Pècol emergono, come nella risposta che da a quel tizio che gli offre da bere, in modo quasi volesse marcare il regalo che in quel momento gli sta facendo, dicendogli: “guardi, non è lei che fa l’elemosina a me di un bicchiere di vino, ma sono io che le offro per un istante, la visione della libertà”.

Gli amici più intimi, lo vedono come una barca che senza timoniere va sempre più alla deriva, ma lui non si preoccupa.

Nonostante questi alti e bassi Pècol continua la sua collaborazione nel gruppo dei facchini, anche se immancabilmente nel giorno della paga, appena ritirata, pianta in asso colleghi e lavoro.

Torna a casa e dopo un’accurata pulizia della sua persona, si veste di tutto punto grazie agli abiti sempre di alta qualità che il suo amico dottor Ferraretti con grande umanità gli passa una volta dismessi. Ora è pronto per una nuova “avventura”, ora è pronto per ritornare in stazione non per riprendere il lavoro, bensì per salire sul primo treno utile con destinazione Bologna. Invano i suoi amici facchini che lo vedono, fanno di tutto per farlo desistere, a volte ricorrendolo fisicamente per ostacolarlo aiutandosi magari in due o tre, ma Pècol è troppo forte e troppo determinato a partire, riesce sempre a divincolarsi e salire su quel treno già in sosta sui binari.

A Bologna lo aspettano due locali che oramai Pècol conosce perfettamente, “La Bestia Nera” e l’osteria che si trova in Via Polese. La “Bestia Nera” è un locale frequentato da un’umanità che oggi si definirebbe “degli ultimi”, dove donne e uomini consapevolmente si lasciano andare sempre più in basso verso i gradini della società. In questo locale dove sporcizia e acre odore di “toscano” si amalgamano, risuonano le note stonate di tre improvvisati suonatori che strimpellano vecchie canzoni. Pècol al quale la natura gli ha dato anche una discreta intonazione, partecipa esibendosi fino a quando i fumi dell’alcol non annebbiano completamente la sua mente, offrendo vino a tutte quelle “sanguisughe” che gli stanno attorno. Poi adocchiata la sua preda, si accompagna con colei che in quel momento rappresenta la sua preferita, la quale immancabilmente gli sfilerà gli ultimi spiccioli rimasti di quella che era stata la sua paga mensile.

Le volte che anziché la “bestia Nera” decide di scegliere il locale di Via Polese, il primo assalto ai suoi denari Pècol lo subisce dai negozianti che incontra su quella via, che ormai conoscendolo e intuendo che questo certamente è per Pecol il giorno che ha ritirato il mensile, cercano e ottengono di vendergli di tutto anche le cose più inutili. Una volta giunto all’osteria, il padrone che ormai lo conosce, farà di tutto per fargli bere il più possibile, fermandosi solo dopo avergli spillato l’ultimo spicciolo per poi lasciarlo completamente ubriaco, fuori del locale.

Pècol non vuole e nemmeno potrebbe in queste condizioni far ritorno a casa, aspetterà che passi la notte e la sbornia, a volte senza un giaciglio e una coperta per coprirsi.

Il ritorno a Persiceto non sempre lo fa usando il treno, a volte è completamente sprovvisto anche dei pochi soldi per comperarsi il biglietto, tornerà a casa a piedi. E’ in questi pochi momenti di relativa lucidità che Pècol riesce a comprendere in quale abisso sta irrimediabilmente precipitando, e in modo crudo analizza il suo stato: “Pècol fai schifo” dice, consolandosi con una vera perla di saggezza, ” ma almeno per te non soffre nessuno. La tua solitudine, che ti costa tanto, ti ripaga almeno della tua libertà di tenere un comportamento che anche se non giusto e da non imitare, almeno non addolora altre persone!” Ora ha davanti un lungo mese senza nessun soldo in tasca, come vivrà? Purtroppo si abbassa disperato al furto. Cose di poco conto, cose che a suo insindacabile giudizio, considera inutili per i legittimi proprietari, ma che non possono evitargli denunce con relative condanne.

Il Pretore che ormai lo conosce bene, e forse intuisce l’umanità di questo povero cristo, limiterà le pene a condanne minime, facendole scontare sempre a Persiceto nella vecchia e ormai famigliare prigione di Porta Garibaldi. Grande è la sua malinconia, quando ode il fischio del treno che tante volte l’ha portato a Bologna…

Purtroppo un’altra tegola sta per abbattersi su di lui, il suo comportamento non è più compatibile con il lavoro, viene licenziato e questo per lui sarà il colpo finale.

Senza reddito è costretto a vendere la casa, e far trasferire la propria madre presso parenti. Ora senza più un tetto certo Pècol non sa più dove passare le notti, si arrangia come può, va bene un’auto abbandonata o meglio ancora un caldo fienile.

Ma nelle belle e calde sere d’estate niente è più invitante di una panchina di cemento sotto un cielo stellato nell’amato viale della stazione. Si racconta che proprio nelle panchine del viale della stazione, in una sera in cui la nebbia si tagliava a fette, un forestiero gli si sia avvicinato per trovare un alloggio per la notte.

Con grande “nonsalance” e in perfetto italiano, Pècol gli risponde: “prego, se vuole può prendere la panchina più avanti, questa è occupata da me!” Oramai la metamorfosi è avvenuta, non è più l’uomo forte e a volte violento di un tempo, ma semplicemente anche se pur malandato, un mite e gentile barbone.

Nei bar e nelle osterie è sempre più ospite gradito, e tutti lo stimolano a raccontare storie ed avvenimenti che altro non sono che la sua vita. Pur non avendo mai un soldo in tasca, Pècos ora è un uomo felice perché si sente circondato dalla simpatia dei suoi concittadini, e nessun oste lo sbatterà fuori dal suo locale, anzi tra loro i baristi fanno a gara per averlo nei loro bar.

Beve ancora Pècol, e molto, ma quando scherzando qualcuno dopo diversi bicchieri gli chiederà come farà a pagarli, lui fa una piroetta e risponde: “Oella, il Pècol paga tutti!”, poi esce senza tirare fuori una lira. A volte, quando non ha un soldo per farsi l’ennesimo bicchiere, chiede a chi incontra un piccolo prestito, sapendo che quei pochi spiccioli non saranno restituiti, ma al Pècol nessuno li nega.

La vita randagia e il troppo bere cominciano a presentargli il conto, e agli inizi degli anni ‘70 si fanno sempre più frequenti i suoi ricoveri in ospedale, con cadenze sempre più ravvicinate, fino ad arrivare al 1973, quando ormai è ridotto ad una povera cosa.

Poi, nel bel tramonto della sera che s’annuncia, via verso il piccolo cimitero di Amola… 

(Liberamente tratto da un articolo apparso su Strada maestra N° 16 del 1983, autore Giancarlo Borghesani.)


Commenti
Sono stati scritti 7 commenti sin'ora »
  1. avatarPaolo Grandi - 1 febbraio 2013

    Lo so una vita certo non esemplare ,ma da bambino non mi incuteva timore ,poi da ragazzo lo guardavo come alla fine degli anni sessanta un ventenne lo poteva  immaginare un contestatore ante litteram.
    Ora mi fa pensare a quando un paese come il nostro, ancora  denso di ricordi di miseria vera  e  con forza  proiettato alla elevazione sociale sapeva accettare  anche chi  si era fermato ( fermato ? )
    Se il paradiso esiste  deve essere bello il cielo lassù bevendo il miglior Est Est Est

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  2. avatarAndrea Cotti - 1 febbraio 2013

    Grazie Mauro per questa bella storia del Pècol, che conoscevo solo in minima parte.  :)

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  3. avatarLeonildo Roncarati - 1 febbraio 2013

    Non sarebbe il caso, a questi personaggi storici di PERSICETO,

    DEDICARGLI, ad ognuno, proprio, una PANCHINA, del viale della STAZIONE?

    Credo, che ai PERSICETANI, farebbe piacere.  

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  4. avatarGabriele Tesini - 1 febbraio 2013

    E la “Pataccona” dove la mettete? Sì, quella brutta brutta con la gamba di legno  che vendeva i brustulini sotto al portico di palazzo e come dosatore aveva una tazzina di legno, una tazzina 10 lire. Poi, quando a volte la si vedeva mezza stravoltata dentro a un bidone del rusco con la gamba di legno che svettava come un’antenna, a cercare qualche leccornia avanzata e depositata da qualche benestante. Roba d’altri tempi o anche oggi, vista la crisi, già qualcuno è in cerca vana di bidoni del rusco che causa la raccolta differenziata, non si trovano più? 

    Belle e brutte cose dei tempi andati ma che ricordandoli ci fanno riflettere e a volte, capire tante cose.  

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  5. avatarGabriele Tesini - 1 febbraio 2013

    Ottima idea Leonildo, vediamo cosa si può fare magari in collaborazione con Renato, mettere una bella targhetta sulle panchine perisicetane, magari quelle in Piazza, darebbero la possibilità alla gente d’altri tempi come noi che abbiamo avuto la fortuna di averli conosciuti, di rispondere ai propri figli o nipoti o giovani in genere, alla domanda:”Ma Nonno, chi era il Pecol e la Pataccona”? 

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  6. avatarAndrea Cotti - 1 febbraio 2013

    Ed eccola qui la Pataccona:

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  7. avatarGabriele Tesini - 1 febbraio 2013

    Soccia, mi fa ancora paura adesso…  😯

    Da Paolo su Facebook:”
    E poi c’era quello che chiamavano 10 perchè tifava Sivori era uno dei mattacchioni di via Bologna
    p.s.
    con questi ricordi si vede che SIAMO DA RICOVERO” !!

    La mia risposta:Dai Paolo che noi di Persiceto caffè, ci distinguiamo dal resto dei comuni mortali perchè siamo capaci di essere seri con le cose serie e sburdelloni quando vogliamo rilassarci un po, rimembrando personaggi del passato che hanno fatto, a loro modo, un po di storia del nostro Persiceto. Poi dai “Che son proprio belle cose” passare dalla stima per la Montalcini alla Pataccona e dal rispetto per Berlinguer al Pecol. In fondo sono tutti personaggi dignitosi e rispettabili al punto che oggi ancora li ricordiamo e ne parliano”.  😉
     

     

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