Gramsci: senso comune e buon senso

Gramsci e la religiosità popolare.

Secondo il concetto gramsciano di egemonia culturale, le “categorie dominanti” impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso.

Tuttavia l’uomo attivo di massa – cioè il cittadino comune, – non è di solito consapevole né del suo potenziale senso etico, né della sua condizione reale di subordinazione a detto senso comune. Il proletariato, scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; il cittadino ha un suo senso etico latente ma nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal passato, confermata dalla realtà circostante e accolta per lo più in modo acritico.

Antonio Gramsci distingueva tra “senso comune” e “buon senso“.
Ricorreva ad Alessandro Manzoni per spiegarsi, il quale annotava che al tempo della peste “c’era pur qualcuno che non credeva agli untori, ma non poteva sostenere la sua opinione, contro l’opinione volgare diffusa, perché il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune“.

Un ragionamento che potremmo applicare anche alla nostra realtà locale, alla comunità di cui facciamo parte amministrata da decenni dalla ‘sinistra’. Il “buon senso” ci spingerebbe a porci maggiori domande su quel che avviene a livello locale e micro-sociale, nella sfera personale e interpersonale. Ad ascoltare e considerare altre posizioni e teorie, o esplorare altri orientamenti metodologici. Ma il “senso comune“, la religiosità della comunità, del partito e dei suoi acclamati e benvoluti leaders storici, cioè il “paradigma dominante”, ci induce a far finta di nulla. A negare anche la realtà per non essere costretti a mettere in discussione noi stessi e i nostri ideali comuni, ciò che abbiamo fatto e per cui ci siamo battuti.

E’ in questa realtà di acriticità diffusa e generalizzata che nasce il sospetto sull’adeguatezza degli strumenti teorici e metodologici adottati negli studi dai nostri tecnici della politica nell’individuare le indicazioni programmatiche e d’intervento sul territorio.
La sensazione è che da una parte ci siano “i politici” che stentano a comprendere i cambiamenti, ma anche gli avvenimenti e i fenomeni più importanti dei nostri tempi, (in quanto concentrano la loro attenzione quasi sempre in modo esclusivo sulle istituzioni e sugli attori politici solo a livello “macro”) e dall’altra l’acriticità generalizzata della “base”, dei cittadini consenzienti a priori.

Politici che non tengono dunque in considerazione quel che di nuovo realmente si muove e cresce nella società, disinteressandosi di quelle percezioni che si formano tra i cittadini e che finiscono col prevalere nelle relazioni interpersonali e locali, trovando solo a volte sfogo in realtà apparentemente isolate ma che di fatto esprimono un potenziale e latente senso diffuso. Sono questi ambiti ritenuti dalle centralità egemoni poco rilevanti, che trovano spazi apparentemente effimeri in rete ed appoggi e adesioni isolati e saltuari, insufficienti in quanto tali a spiegare a dette centralità egemoni i fenomeni politici che li hanno generati.

Ma come spiega Ilvo Diamanti qui, nei fenomeni locali e micro-sociali, il “clima d’opinione” non può essere considerato “solo” il prodotto della comunicazione progettata e dispiegata dalle centralità egemoni e dai loro poteri persuasivi. Oggi con i mezzi offerti dalla rete, i messaggi che arrivano ai cittadini e che vanno a definire l’Opinione Pubblica sono infatti mediati, arricchiti e sviluppati dai “micro-climi d’opinione”. Le centralità egemoni sono così costrette a fare i conti con un “clima d’opinione generale” non più indotto unicamente dalle loro ferme indicazioni, ma formato con il contributo di altri micro-climi d’opinione, e con essi sono costrette a mediare.

Detti livelli micro-sociali difatti, grazie a internet, riescono a reinterpretare i messaggi generali delle centralità egemoni, a tradurli e ritrasmetterli attraverso la rete, i social e i blog come questo presenti nel territorio, attribuendo loro un significato diverso e, talora, opposto rispetto alle intenzioni di chi li ha lanciati. E questo finisce con lo scardinarne i fini iniziali delle centralità egemoni,  generando effetti non previsti e non desiderati dai protagonisti.

Esempio evidente di questa dissonanza lo abbiamo nelle aree a forte presenza leghista delle province del Nord; elettori e simpatizzanti del Carroccio appaiono convinti che nonostante sia stata con Berlusconi al governo da un decennio, la Lega fosse in realtà all’opposizione. Veniva percepita come un Sindacato del Nord con le dita nella stanza dei bottoni a Roma solo per difendere gli interessi padani. Per “portare a casa” il federalismo. Contro tutti e a ogni costo. Anche di devastare Istituzioni, Paese ed Economia Nazionale.

Tale indotta percezione consente di spostare ad altro responsabile ogni responsabilità sul dramma economico provocato, ogni mancata riforma, ogni smantellamento delle politiche pubbliche. Da quei settori delle popolazioni del Nord, tale devastazione viene ingoiata semplicemente rivolgendo gli occhi altrove. Anche quando i motivi di insoddisfazione coinvolgono essi stessi, gli elettori leghisti riescono a non sentirsi coinvolti, preferendo spostare ad altri la responsabilità della loro frustrazione.
Questo naturalmente avviene anche tra gli elettori di altre forze politiche, come la sinistra, specialmente tra le fasce eterodirette, quelle degli anziani, dei meno preparati, o di quelli più coinvolti nella sfera delle centralità egemoni.

E’ diffusa la storia della vecchina alla cassa del supermercato per Natale, che guardava imprecando contro il governo il suo carrello quasi vuoto. Si lamentava che il carrello ogni mese fosse sempre più vuoto, perchè la pensione le permetteva un potere d’acquisto sempre più ridotto. Ce l’aveva con il governo, responsabile della sua condizione, primo e diretto “colpevole” dei suoi problemi. E inveiva apertamente, e al colmo della rabbia esplodeva in un’invettiva contro quel “porco di Prodi”. Che era sempre lui il colpevole.  Anche se da anni governa Berlusconi e Prodi non fa più politica attiva,  quel suo “senso comune” le impediva di accettare e riconoscere la realtà. Di mettere in discussione le sue convinzioni, le sue certezze, più “personali” che “politiche”. Quelle che le consentivano di mantenere la sua visione del mondo e della vita e che condivideva con la sua cerchia di relazioni quotidiane, con il suo “senso comune”.

Un altro esempio amaro lo ebbi io stesso alle primarie per l’elezione del Segretario del PD del 2009. Ne avevo parlato parecchio in famiglia e sia mio padre che mia madre, novantenni ma lucidissimi, decisero di sostenere e votare la mozione Marino. Giunti al seggio nel chiosco di S. Francesco, incontrarono tanti vecchi compagni, vecchi ma sempre più giovani di loro, e la frase che tutti ripetevano era: “mèa sbaglierèt ah! … t’è sintò cusl’ha dèt la Marani! ”. Nessuno di loro conosceva la differenza tra le posizioni di Bersani e quelle di Marino, … ma l’aveva detto la Marani, il loro “senso comune”. E questo bastava.

È dunque difficile capire quel che succede nella politica senza tenere conto della vita quotidiana, del senso comune, del territorio. Senza esplorare in profondità i luoghi dove i partiti, le istituzioni, la democrazia trovano le basi della loro legittimazione e del loro consenso.  Gli attori politici, le centralità egemoni, sia a livello centrale che locale, in questo tempo di campagna elettorale permanente di fatto manipolano costantemente, ad arte e a loro piacimento, il “consenso” dei cittadini.  Ne plasmano il loro “senso comune“, in quanto è noto come gli individui cerchino approvazione e conferma da parte degli altri nei loro luoghi di vita, perchè temono di essere stigmatizzati e isolati se si pongono in contrasto con le opinioni che appaiono al momento prevalenti.

Esiste dunque un esteso conformismo sociale, condizionato dal “clima d’opinione” dominante, che induce all’assenso coloro che si percepiscano minoranza. Ciò riguarda soprattutto (ma non solo) gli elettori “marginali”, gli eterodiretti, definiti così perché stanno ai margini della scena politica, non hanno convinzioni forti, faticano a prendere una loro posizione e in definitiva a scegliere. Temono soprattutto di sentirsi isolati e “perdenti” e, per questo, cercano di cogliere il pensiero della maggioranza. Della centralità egemone.

A livello locale, nello specifico del nostro livello locale, il cittadino marginale e consenziente di sinistra riceve e subisce una doppia induzione al “senso comune”:  una prima attraverso l’esposizione ai media governativi, che però scarta facilmente in quanto non recepita come “senso comune proprio”, e una seconda attraverso i canali organizzativi locali, dalle riunioni ai giornalini fino a poco fa, ma recentemente fino ai canali della rete, dove ad esempio è presente anche il nostro blog.

Questi canali organizzativi ed informativi locali, tradizionalmente influenti nel formare il “clima d’opinione” del micro-clima cittadino, vengono ora di fatto comparati dagli individui-spettatori  alle informazioni e giudizi critici che arrivano dalla rete. Si ottiene così che, se continua il “silenzio” di quanti, per non sentirsi esclusi, preferiscono non sfidare il “senso comune“, dall’altra detti giudizi critici finiscono per condizionare le opinioni dell’ambiente sociale, in modo sommerso ma fermo, dei gruppi e delle reti di relazioni in cui gli individui sono inseriti. E a cui gli individui normalmente chiedono conferma e rassicurazione.

E’ un’esperienza nuova per tutti questa e non sappiamo certo quanto questa operazione potrà realmente influire nel muovere  persone dal senso comune indotto al buon senso deciso in autonomia.   Noi ce la metteremo tutta però.  :mrgreen:


Commenti
Sono stati scritti 2 commenti sin'ora »
  1. avatarFrancesco Ziosi - 20 gennaio 2012

    Caro Andrea, bellissimo post. Perfetto Gramsci e ancor più perfetto Manzoni.
    Nemmeno settant’anni fa da queste parti c’era la guerra. In parte giustamente, le persone che hanno vissuto quei tempi hanno identificato la conquista di un po’ di benessere con il posto in cui vivevano e dunque, spesso, con le amministrazioni locali, che tra l’altro spesso erano espressione di una convinzione politica condivisa e autentica. Dietro alla creazione del senso comune, quindi, c’è molto di buono.
    I tempi però cambiano. Per dirne una soltanto: ogni anno, anche dalle nostre parti, una leva di ragazzi finisce gli studi e, di fatto, non ha un lavoro. Nella mia brevissima esperienza politica con la mozione Marino cercavo di spiegare che questo era un problema serissimo, mentre i miei interlocutori avevano del problema una conoscenza da Resto del Carlino. L’argomentazione della fazione di apparato era sempre che in Emilia Romagna “è l’una di notte e tutto va bene”, e incredibilmente è uno slogan che ancora fa molta presa.
    Ma piano piano qualcosa sta cambiando. Le persone sono tendenzialmente più informate, e il buon senso, timidamente e sempre con troppa fatica, sta ritornando. I problemi sono soprattutto che l’abitudine è durissima a cambiare e che per ora non esistono interlocutori politici  – anche a livello locale – in grado di raccogliere il famoso “vento del cambiamento”. Ma piano i bambini che dicono che il re è nudo, come nella favola di Andersen, cominciano a farsi sentire. 
     

    Lascia un Commento
  2. avatarAndrea Cotti - 20 gennaio 2012

    Che bello, i bambini che cominciano a dire che il re, a Persiceto è nudo.

    Si, le generazioni più giovani sono quelle che meno di tutte hanno subito l’influenza del vecchio ‘senso comune‘ e quasi per nulla sentono la necessità di doversi forzatamente con esso identificare per sentirsi inseriti e accettati.

    Sono ragazzi che tendono a scoprire il loro personale buon senso, e lo fanno informandosi e leggendo, soprattutto in internet.  :mrgreen:

    Ma nel chiosco di S. Francesco anche mio padre e mia madre, se pur novantenni, avevano rinunciato a quel senso comune, al nucleo originario d’appartenenza in nome del buon senso. Anche loro a dire che c’era un re nudo in giro, anche per Persiceto.

    Le idee girano insomma, in modo trasversale e al di sopra delle età, ed è difficile fermarle quando qualcuno ci crede.  😉

    Lascia un Commento

Devi essere Registrato per poter laciare un commento!.