Good morning capitalism

Squatter1Jason, 21 anni, viene dalla Lettonia. Qualche mese fa ha deciso di cercare una nuova vita altrove e, facendo l’autostop, è giunto fino a Londra. Adesso vive in una casa ad Highgate, tra Sting e Jude Law…

Jason non ha fatto fortuna, semplicemente ha occupato una casa libera, una delle tantissime case di proprietà di qualche riccone che ha talmente tanti soldi da potersi permettere decine e decine di appartamenti, lasciandoli sfitti, perché al riccone non interessa la solidarietà, non interesse dare un tetto anche a chi è più sfortunato di lui, al riccone interessa fare soldi, tanti e subito, quindi chiede affitti elevatissimi che ben pochi possono pagare.
Quello che Jason ha fatto, in Inghilterra è possibile, lì la legge non considera un crimine occupare una casa sfitta se non la abita nessuno, a meno che non si venga sorpresi in flagranza di scasso. E stiamo parlando dell’Inghilterra, non di un paese comunista. Una volta dentro è difficile per il proprietario riottenerne il possesso, finché qualcuno ci vive. E se anche ottiene un ordine di evacuazione, gli squatter, così si chiamano quelli come Jason, possono sempre occupare un’altra delle tantissime case sfitte e vuote. Ma non crediate che questa sia la solita storia dell’extracomunitario che viene nei nostri paesi a rubarci la casa, moltissimi squatter sono londinesi. Esiste anche l’Advisory Service for Squatter, un servizio di tutela legale, di consigli, che addirittura fornisce elenchi di empties, come si chiamano le case sfitte da quelle parti.
Oggi i ricconi della Londra bene chiedono a gran voce una legge che punisca il comportamento per gli squatter. C’è da credere che la otterranno, in fondo loro sono quelli che contano, e chi dice di no a quelli che contano?

In Italia tale reato esiste, è punito dalla legge occupare la casa altrui, anche se quella casa è sfitta da decenni perché il proprietario non ha bisogno di soldi. In Italia, ma anche altrove, costruire case è un business, non ha nulla a che fare con la solidarietà, le case si costruiscono per specularci sopra, per guadagnare, e dare case in affitto ai poveri cristi, casomai a basso prezzo, non rende nulla. Perché fare beneficenza quando si può lucrare sul mattone?
In Italia ci sono più case che gente per strada, sono anni ed anni che il numero di case ha superato il numero di coloro che ne cercano una. Purtroppo domanda ed offerta non si incontrano mai. L’altro giorno ho visto un cartello: “affittasi 1.000 euro”, si trattava di un box per auto!
Come potrebbe un pensionato da 500 euro al mese, oppure un operaio, permettersi di affittare una casa con questi prezzi?
La domanda è ovvia, perché mantenere case vuote? Ovviamente ci sono molte risposte, come ad esempio la difficoltà di cacciare l’inquilino quando poi la casa serve, ma ve ne sono anche altre. È poco rilevante in fondo, visto che oggi il mattone è la speculazione per eccellenza. Specialmente in Italia si costruisce ottenendo permessi grazie a favori del politico di turno, e poi casomai si affitta l’appartamento direttamente allo Stato, grazie al medesimo politico. Due esempi di rilievo: il tribunale di Marano e quello di Santa Maria Capua Vetere, dislocati in palazzoni di proprietà di privati per i quali, ci si può scommettere, lo Stato paga cifre elevatissime. Quanto conviene allo Stato tutto ciò? Domanda retorica, inutile preoccuparsene, in fondo lo Stato non esiste, e semmai esistesse si sta facendo di tutto per risolvere il problema.
In altre nazioni più progredite lo Stato si accolla la solidarietà sociale. A Parigi il Comune ha il diritto di prelazione sulla vendita di case, le acquista, le ristruttura e le affitta a prezzi bassi. E ci guadagna pure. Sicuramente più di quanto ci guadagni lo Stato italiano, o gli enti locali, nel lasciare all’iniziativa privata, al mercato si dice, il compito di far incontrare domanda ed offerta di case. Ma il pericolo c’è, il pericolo che lo Stato italiano faccia come il Comune di Parigi, rompendo le uova nel ricco paniere degli ingordi costruttori di cemento, ed è per questo che da qualche decennio il primo compito della classe politica è smembrare lo Stato, renderlo innocuo.

Sotto questo profilo è illuminante l’intervista ad Al-Huni , il compagno di rivoluzione di Gheddafi nel ’69. Una volta amici, oggi Al-Huni chiama il dittatore libico con un epiteto chiarificatore: al mujrim, cioè il Criminale. Leggiamone alcuni passi: “Un potere senza limiti dalla fine degli anni ’70 lo ha trasformato (nota: Gheddafi) in un criminale corrotto, che ora è rimasto solo con i suoi soldi e le sue armi”; “Gheddafi è odiato, non ha più legittimità. Il suo Libro Verde viene bruciato nelle piazze. Il consenso ormai può solo comprarlo con i soldi, e infatti attorno a lui restano i mercenari”; “Non è un segreto che tra il Criminale e Berlusconi esistano forti interessi. Parlo di interessi privati, non di interessi legati al bene pubblico. E non mi stupisce che oggi l’Italia adotti una posizione ambigua. Avremmo voluto una condanna esplicita della violenza e il congelamento delle finanze del regime. Invece niente. Questo atteggiamento non può che rafforzare i nostri sospetti sul vostro paese”.

È importante notare che il Colonnello libico non è salito al potere tramite una dittatura, ma è stato espressione di un movimento laico di massa che lo ha condotto, nel ’69, a fondare una repubblica sulle ceneri della precedente monarchia, ed oggi si trova, invece, alla fine della parabola che lo mostra come un feroce dittatore che massacra il suo stesso popolo. La triste storia delle dittature illiberali è che esse iniziano rivoluzionarie e finiscono reazionarie. Qualcosa di simile, secondo alcuni, si può anche riscontrare in Italia, con le dovute differenze. Il movimento dal basso che cacciò letteralmente la vecchia classe politica negli anni ’90, le monetine lanciate a Craxi e il popolo dei fax che impedì l’approvazione della legge “salva ladri”, alla fine si è ritrovato una classe politica se possibile anche più corrotta e ormai chiusa in trincea, del tutto impermeabile a tutte le rivendicazioni e proteste dal basso, intenta solo a mantenere ed accrescere i propri esclusivi privilegi, senza curarsi nemmeno della circostanza che tali comportamenti stanno irrimediabilmente distruggendo lo stesso paese.
I metodi utilizzati oggi da Gheddafi sono gli stessi utilizzati nel ’69, allora per il popolo, oggi contro il popolo. Si può dire lo stesso dell’Italia?

Guardiamoci meglio. Ormai l’intera Europa è in profonda crisi, e non si parla solo di Grecia o Spagna, di Portogallo od Italia, la crisi investe pesantemente anche paesi considerati notoriamente forti, come Gran Bretagna e Francia. Per il momento si salva solo la Germania. Oggi si realizza un Fondo Monetario europeo da 500 miliardi di euro, per intervenire a favore dei paesi in crisi. Peccato che la proposta sia errata in partenza, perché qualsiasi prestito alla fine dovrà essere restituito, con gli interessi, ed è proprio lì che nasce il problema. Come può un paese in crisi di solvibilità (e non di liquidità) ripagare un prestito? Parliamo di paesi che da anni sono in deficit strutturale, cioè consumano più di quanto producono. E questo tocca tutta l’Europa, ormai preda di una eccessiva finanziarizzazione, un’Europa che ha sostanzialmente abdicato al ruolo di produttore di beni. Con la scusa della globalizzazione, dei salari più bassi all’estero, si è delocalizzata la produzione in Asia. Oggi la crisi investe l’Europa, mentre l’Asia corre e si sta creando, Cina in primis, il suo proprio mercato interno, così da non dovere più nulla a nessuno. Nel contempo l’Asia si sta comprando le aziende europee che non sono ancora fallite a causa della crisi. Insomma, ci siamo svenduti l’unico strumento per uscire dalla crisi, ci siamo legati mani e piedi, e adesso l’Asia ci spinge da dietro verso il baratro. Si riferisce a questo Tremonti quando dice che la crisi è dietro le nostre spalle?
Mentre a casa nostra il Pil fatica a riprendersi, in Asia il boom economico non accenna a rallentare, poiché l’interdipendenza tra le economie emergenti e quelle occidentali è sempre meno rilevante. La Malesia è esemplificativa della situazione, travolta nella crisi dei mercati asiatici del ’97 voltò le spalle al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale, chiese aiuto ai Paesi del Golfo che aprirono i loro portafogli ed islamizzò la propria economia che oggi cresce a ritmi sostenuti ed attira manodopera dai Paesi limitrofi più poveri.

La prova di tutto ciò sta nella circostanza che la cura da cavallo imposta alla Grecia non ha portato alcun risultato, e ormai si scommette su quando la Grecia uscirà dall’Unione europea!
Il prezzo più alto, quando ciò accadrà, non lo pagherà la Grecia, che finalmente, invece, potrà svalutare e riacquistare la sovranità monetaria. No, saranno i paesi che resteranno a pagare un prezzo molto salato, perché si scatenerà un effetto domino che metterà a dura prova la tenuta dell’euro, e tutte le banche, la BCE in primis, che hanno in pancia titoli greci, piangeranno lacrime amare. La sola Germania detiene 37 miliardi di euro in titoli greci, se quei titoli diverranno carta straccia molti finiranno in mezzo ad una strada. È l’ovvia conseguenza di aver fatto un’Europa economica invece che politica!

E l’Italia? Inutile chiedere al mago Tremonti, che si limita a fare spallucce favoleggiando di una economia tra le più solide del continente, nonostante una bassa crescita. Invece i numeri raccontano una ben diversa realtà, parlano di una cassa integrazione che ha raggiunto un nuovo massimo storico, di una disoccupazione cresciuta ancora, una crescita ferma, un debito pubblico che ha raggiunto un nuovo record, ci raccontano come la vendita di automobili registri una nuova consistente diminuzione (ma non ditelo a Marchionne… fa spallucce anche lui), i consumi sono fermi, gli investimenti anche. L’inflazione ormai comincia a mordere, ma forse è una scelta. Se è vero che la Bce vuole tenere a bada l’inflazione, da noi questo non è una priorità. Per l’incantatore al Tesoro è una manna, in quanto più è alta più diminuisce il valore del debito, ma per i cittadini è una iattura in quanto l’inflazione si comporta esattamente come una imposta regressiva, che accresce le differenze sociali. Così è ovvio che chi ha interesse nel mantenere lo status quo e i privilegi della classe dirigente, mentre porta all’estero le proprie ricchezze e tiene sfitte le sue case, accoglie a braccia aperta l’inflazione, scaricando gli effetti negativi sui ceti deboli, principalmente i giovani!

Già, i giovani. Secondo la Banca d’Italia i salari di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni ’80. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%, si accentua la dipendenza, già molto elevata a confronto con altre nazioni, dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. Sempre secondo la Banca d’Italia la propensione all’innovazione e la proiezione internazionale delle nostre imprese sono insufficienti a sospingere la crescita, troppe imprese rimangono piccole, gli imprenditori risentono anche di incentivi impropri a non crescere, il sistema fiscale iniquo principalmente.
Altre fonti ci raccontano che negli ultimi 10 anni 331mila giovani hanno lasciato il paese per cercare fortuna all’estero.
Mentre negli Usa il 31enne Larry Page prende il comando di Google, mettendo da parte Eric Shmidt che nell’ultimo decennio ha agito da tutore dei due giovani creatori del più famoso di motore di ricerca nel mondo, in Italia il 90enne Rondi viene nominato commissario della Siae , l’uomo che dovrà mettere ordine al diritto d’autore nel web. Viene da pensare come potranno rapportarsi Rondi e Page, visto che si dovranno confrontare nello stesso agone: internet.
Nel frattempo abbiamo visto le foto di Ruby Rubacuori che ballava, in una festa organizzata da un miliardario austriaco, con Gei Ar, due miliardari con dentiera rivolta all’obiettivo che si contendono la procace escort che mostra il suo talento puramente ormonale. Quelle foto sintetizzano molto più efficacemente di qualsiasi indagine sociologica la decrepitezza di una civiltà di vecchi per i vecchi, seduti su un mare di privilegi rubati alle future generazioni, che non vogliono mollare nulla di tutto ciò che hanno, nemmeno le case sfitte. Hanno tutto, ma gli manca una cosa essenziale, il tempo. Nonostante tutti i tentativi della scienza moderna, prima o poi dovranno cedere il passo ad un mondo brulicante di ragazzini che, in un modo o nell’altro, si faranno strada, e quanto più sarà forte l’opposizione delle vecchie generazioni, tanto più violenta sarà la loro rivolta. Ma i ragazzini non stanno più qui, perché in Italia, ma anche in Europa, non li vogliamo, facciamo di tutto per mandarli via. Sarà un caso?
La differenza tra l’Italia e i paesi nordafricani (ma anche mediorientali, come l’Iran) che sono squassati da sanguinose rivolte, sta soprattutto nel dato anagrafico. In Iran, tanto per fare un esempio, la stragrande maggioranza della popolazione ha meno di 25 anni, come anche nei paesi nordafricani. In Italia la maggioranza è oltre gli “anta” (età media 45 anni). I vecchi, si sa, si adagiano sulle conquiste ottenute. Molte, non tutte ovviamente, delle persone oltre una certa età tende a proteggere quei piccoli ed insignificanti privilegi che è riuscito ad avere in anni di sacrifici, e non è disposta in nessun modo a rimettere le cose in gioco cambiando le regole della vita sociale (ad esempio cambiando il governo) perché non sa come potrebbe andare a finire e, come ogni persona anziana, non è disposto a rischiare. Sta tutto qui il succo del problema.
Ovviamente chi rischia, chi scende in piazza, chi manifesta, chi protesta, sono i giovani, e chi davvero non ha nulla da perdere. Per questo i paesi come l’Italia sono retti da governanti che rimangono in carica per “ventennii” senza alcuna necessità di governare realmente. Al massimo la loro preoccupazione è di allargare di tanto in tanto la base clientelare che sorregge il governo concedendo qualche privilegio a qualche altra categoria.
Ecco il vero pericolo delle caste dirigenti: l’esplosione demografica. In Italia abbiamo risolto il problema eliminando i posti di lavoro, ed imponendo un sistema totalmente ameritocratico, che privilegia chi non merita, che manda avanti chi non è capace. Cosicché i giovani, specialmente quelli validi, siano costretti ad emigrare (-9% di iscritti all’università). Quelli che rimangono sono poco acculturati, poco informati, o forse semplicemente non ne hanno la possibilità, e sono generalmente assoggettati alle loro famiglie, ne sono dipendenti, e quindi, col tempo, imparano che la società si basa sull’appartenenza. Io appartengo, quindi sono. Se non appartengo non esisto, non ho alcun diritto!

La stupidità di certe classi dirigenti sta nel non aver compreso che qualsiasi l’elastico, alla fine, se tirato troppo si spezza. Se prendiamo ad esempio la Cina, i cinesi hanno barattato la libertà con la crescita economica ed un governo decente, gli arabi hanno rinunciato alla libertà ed in cambio hanno avuto il conflitto arabo-israeliano e la disoccupazione. Gli italiani stanno rinunciando alla libertà ed in cambio si vedono offrire meno diritti, più disoccupazione, più diseguaglianze sociali.
Oggi la guerra civile incombe su molti paesi, la marea del popolo dei ragazzini, affamati di pane e potere, ma soprattutto di agi e libertà, qualunque cosa essa sia, preme alla porta delle caste degli intoccabili.
Sembrerà strano, ma Obama c’entra in tutto questo, ed anche internet, Twitter, Facebook, Google Maps e le Olimpiadi. Perché vedere un uomo di colore, giovane, di secondo nome Hussein, col nonno musulmano, che parla, indipendentemente da quello che dice, da Presidente della nazione più potente del mondo, deve avere scosso moltissimi Hussein disoccupati che non possono nemmeno votare in Egitto o in un qualsiasi altro paese vicino. Perché vedere gli enormi appezzamenti di terreno inutilizzati nel Bahrein mentre la gente muore di fame deve aver fatto incazzare molti. Perché vedere oggi la Cina che organizza con enorme sfarzo le Olimpiadi, quando qualche decennio fa era un paese poverissimo, più dell’Egitto, deve aver risvegliato molte coscienze.
E così molti si sono cominciati a porre domande, a dialogare tra loro, si proprio su Twitter e Facebook, e da lì il passo alla guerra civile è stato più breve di quanto le decrepite classi dirigenti potessero ritenere.
Certo, c’è il pericolo che alla rivoluzione segua un governo che col tempo diverrà reazionario, come in Libia, c’è il pericolo che la rivoluzione sia strumentalizzata. Ma andate a dirlo a loro, non vi ascolteranno. Provate, voi che avete un tetto sulla testa, la seconda casa sfitta, l’auto in garage ed uno stipendio a fine mese, provate a dir loro che c’è questo rischio, ditegli che con la violenza non si va da nessuna parte. Ditegli che c’è la strada democratica. Vi risponderanno: “perché, la vostra non è violenza? Solo perché non scendete voi a spararci contro, ma mandate le forze dell’ordine con i manganelli, questa non è violenza?”.

Il problema è che forse oggi è troppo tardi per recriminare, forse è troppo tardi per avere paura delle conseguenze delle nostre azioni, o delle azioni delle ingorde nostre classi dirigenti.
Secondo lo storico Timor Kuran lo sviluppo dell’economia islamica è stato fermato dalla circostanza che, mentre in occidente le proprietà venivano trasferite in blocco al primogenito così preservando i latifondi, nell’Islam la divisione era molto più equa, tra tutti i figli, compreso le figlie. Ciò frammentava la proprietà, per cui non c’era sufficiente accumulo di capitale per sostenere investimenti e mettere in moto una rivoluzione industriale. Oggi non è più così, il ritardo comincia ad essere colmato, e proprio grazie al Patriot Act di Bush, che ha determinato uno spostamento di capitali dall’occidente verso i paesi islamici, per il timore che i capitali islamici venissero bloccati, oggi i capitali ci sono. Si aprono nuovi scenari per il futuro, e si affacciano alla storia paesi rimasti fermi da anni, che ora, però, hanno soldi e uomini. I popoli ragazzini chiedono di più, vogliono quello che vedono nei programmi televisivi che noi occidentali abbiamo portato loro. Vogliono la libertà, qualunque cosa essa sia.
La pausa è finita, è ora che la storia ricominci a correre.

Squatter2David ha 22 anni, è nato a Londra, qualche mese fa ha deciso di cambiare la sua vita. Adesso vive in una casa ad Highgate, tra Sting e Jude Law….
Good morning capitalism!


Commenti
C'è solo un commento per ora, perchè non farne un secondo?
  1. avatarcarmengueye - 8 marzo 2011

    Condivido senz’altro in FB. Non sono in condizione di analizzare più che tanto, soprattutto relativamente alleconomia islamica, un aspetto interessante e da indagare; infatti, a onta dello sceiccume vario, in teoria il dettato coranico sarebbe alquanto incompatibile con il capitalismo.
    Per quanto riguarda l’Italia, mi sono sempre chiesta (domanda retorica!) perché non tassare uno sfracello le case vuote da anni.

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