I giovani fuori dalla cultura

tronisti_&_VelineUn recente rapporto ISTAT ci mostra un preoccupante e fosco quadro di giovanissimi e ragazzi che sono senza libri nè pc, in balia di una cruda esclusione sociale. Oltre 1,7 milioni tra i 15 e i 29 anni risulta non usare il computer, il 43,6% non legge nè libri nè quotidiani.
Sono il risultato del modello tronista/velina e tifoso da “curva sud”, o nella migliore delle ipotesi del “trota”, pur sempre Consigliere Regionale.
I figli di laureati e professionisti appaiono avvantaggiati in questo dramma sociale, ma questa scuola non aiuta assolutamente: rapportati alle altre nazioni europeee i livelli di conoscenza e preparazione degli studenti italiani appaiono bassissimi.

Non è dunque vero che “i giovani” sono sempre al computer, che sono dei maghi della rete e che passano il loro tempo tra social e blog, chat e siti vari. Questo se mai è vero per una ristretta minoranza.

Il Rapporto Istat dimostra che nel 2009 “sono oltre 1,7 milioni i giovani di 15-29 anni che dichiarano di non aver usato il Pc nei dodici mesi precedenti l’intervista (18,4 per cento)”. E non è certo perché si tratta di elementi tradizionali che non accettano le nuove tecnologie preferendo di informarsi ed istruirsi leggendo libri e quotidiani; 4 ragazzi su 10 non leggono propio nulla.

“La quota di chi non ha letto nemmeno un libro nel tempo libero nei dodici mesi precedenti l’intervista è pari al 43,6 per cento”.

Di fatto legge solo chi i libri li ha già in casa e il computer lo usa chi ha genitori che lo possiedono e sono in grado di usarlo.
Appare dunque dal rapporto una situazione di diseguaglianza strutturale che questa scuola non fa altro che confermare, perché presenta gravissime carenze tali da riflettersi sulla preparazione degli studenti:

“I risultati degli studenti italiani appaiono particolarmente preoccupanti, e collocano il nostro Paese sempre al di sotto dei valori medi di Ocse”.

Rileva l’Istat che l’introduzione dell’obbligo scolastico ha “annullato le differenze sociali nel conseguimento della licenza media, mentre nel conseguimento dei titoli superiori continua a pesare una forte disuguaglianza legata alla classe sociale della famiglia di provenienza degli studenti, anche considerando le differenti generazioni“.

L’Istat arriva a constatare (con dati precisi) che i figli delle famiglie più ricche hanno voti più alti:

“I risultati scolastici sono correlati all’estrazione sociale della famiglia di origine. Quelli meno soddisfacenti, infatti, si riscontrano più spesso nelle famiglie operaie (36,5 per cento) e in quelle in cui la persona di riferimento è un lavoratore in proprio (42,5 per cento)”.

I giovani appaiono dunque in una situazione disperata, dove né la scuola, né le nuove tecnologie possono aiutarli ad abbattere le barriere sociali, crearsi un minimo di peparazione e rompere il meccanismo di una società che appare loro bloccata.

“Non usa il pc il 4,8 per cento di figli nel caso in cui la persona di riferimento è un dirigente, imprenditore o libero professionista, mentre la quota sale al 18,6 per cento per i figli che vivono nelle famiglie operaie”.

Tendenzialmente nelle scuole il computer non c’è, dove c’era è spesso eliminato con pretesti vari e, dove sono ancora presenti, appaiono di fatto inutilizzabili, macchine vecchie di un decennio con programmi oramai da preistoria:

“Anche rispetto all’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici – conclude l’Istat – la scuola risulta incapace di alfabetizzare i ragazzi che non hanno avuto opportunità in famiglia o con gli amici”.

Per quanto riguarda la lettura di libri e quotidiani la situazione non migliora: legge solo chi ha genitori che leggono e che tengono libri in casa.
Il 41,3 per cento di lettori è tra i figli di 15-29 anni che hanno al massimo 50 libri in casa, ma la percentuale cresce al 73,4 per cento tra i figli di persone con più di 200 libri in casa.

“Anche il livello di istruzione dei genitori influenza la propensione alla lettura dei figli: la quota dei figli che ha letto almeno un libro è pari al 55,1 per cento e cresce fino al 72,7, qualora almeno un genitore risulti laureato. Il valore si dimezza tra i figli con genitori che possiedono al massimo la licenza elementare”.

Guardando i dati a seconda della professione dei genitori appare che:

“Legge il 70,7 per cento dei ragazzi che vivono in famiglie nelle quali il capofamiglia è dirigente, imprenditore o libero professionista, mentre nelle familie operaie la quota di figli lettori si attesta al 45,7 per cento”.

La scuola italiana non mostra nessuna intenzione di appianare queste differenze d’origine ma anzi casomai di accentuarle, aumentando costantemente le sue gravi carenze strutturali. L’Istat le esamina in modo impietoso, anche alla luce del confronto internazionale. La scuola italiana:

“si distingue negativamente nel contesto europeo per la quota di early school leavers (giovani di 18-24 anni che hanno abbandonato gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola superiore) pari al 19,2 per cento nel 2009, oltre quattro punti percentuali in più della media Ue e nove punti al di sopra del valore fissato dalla strategia di Lisbona”.

L’abbandono scolastico ha percentuali molto più alte nel Sud.

La scuola italiana sta provvedendo a rendere sempre più poveri anche i contenuti dell’insegnamento:

“secondo l’indagine Pisa promossa dall’Ocse, il punteggio medio degli studenti italiani 15enni nelle competenze in lettura è inferiore di 23 punti alla media internazionale (469 contro 492)”.

Gli studenti italiani risultano insomma sempre inferiori al valori medi Ocse anche per le competenze in matematica e scienze. Risultiamo anche molto indietro rispetto agli altri Paesi anche per numero di laureati:

“Nel 2007 hanno conseguito un titolo terziario circa 60 persone (di qualsiasi età) ogni mille giovani in età 20-29 anni, a fronte di un valore pari a 77 in Francia e valori superiori a 80 nel Regno Unito e in Danimarca”.

La stessa problematica di incultura ed impreparazione prosegue anche per gli adulti:

“L’Italia registra uno dei tassi di partecipazione alla formazione continua degli adulti tra i più bassi in Europa: nel corso del 2005 soltanto il 22,2 per cento dei 25-64enni ha effettuato almeno un’attività di studio e/o di formazione, contro una media europea del 36 per cento”.

Pochissime le imprese che svolgono formazione: lo fa solo il 25,6 per cento delle aziende con 10-19 addetti, ma il 96,7 per cento di quelle con mille addetti e più (che però in Italia esistono in numero limitatissimo).

Tendenza all’incultura che viene confermata anche per l’età adulta:

“Nel 2003 quasi metà dei 16-65enni consegue il punteggio più basso nelle capacità letterarie e circa il 70 per cento presenta allo stesso tempo anche bassi livelli di comptenza numerica e documentaria”.

Ma forse non è solo per questo che il 20,2 per cento degli italiani è sottoinquadrato, percentuale che sale molto tra i lavoratori atipici. Sono sottoinquadrati infatti il 46,9 per cento degli occupati a termine, il 40,1 per cento di quelli in part time e il 30,5 per cento dei lavoratori con rapporti di collaborazione.

Vediamo alla fine di questa analisi questo specchietto sulla composizione età/cultura dell’elettore PDL:
ETA’:
18-29 anni (17,1%)
30-39 anni (13,5%)
40-49 anni (17,8%)
50-59 anni (15,8%)
60 e oltre (35,8%)

TITOLO DI STUDIO:
Senza titolo/licenza elementare (52,9%)
Licenza media inferiore (25,4%)
Diploma di media superiore (18,5%)
Laurea (3,2%)

Oltra la metà è ultracinquantenne ed è semianalfabeta.
Gente a cui poter raccontare di tutto con tecniche da teleimbonitore, certi di poter essere creduti.

E’ sfacciatamente evidente in questo rapporto Istat la politica di un Premier e di una Casta/Cricca che hanno bisogno di ignoranti buzzurri sia per sopravvivere che per continuare a fare i loro affari indisturbati.


Commenti
C'è solo un commento per ora, perchè non farne un secondo?
  1. avatarBsaett - 26 maggio 2010

    A conferma della tesi dell’articolo aggiungo lo smantellamento continuo della scuola pubblica a favore della privata (la scuola privata riceve in percentuale più soldi che le scuole pubbliche), e il recente tentativo di ridurre di un mese il periodo di scuola (per motivi di “turismo” dice la Gelmini).

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