Falcone e Borsellino


Falcone e Borsellino nella memoria degli italiani sono il simbolo della lotta alla corruzione politica della mafia e della sua spietata crudeltà.

Sono stati entrambi uccisi con spettacolari attentati nel 1992, l’anno di tangentopoli .

Paolo Borsellino Nasce a Palermo 19 gennaio 1940 nello stesso quartiere di Falcone e Buscetta. Proviene da una famiglia palermitana di destra e nel 1959 si iscrive al FUAN (universitari missini) di cui divenne dirigente provinciale.
Nel 1962 si laurea in Giurisprudenza con 110 e lode e nel ’63 entra in Magistratura a 23 anni, il più giovane Magistrato d’Italia ed inizia la sua carriera a Mazara del Vallo.
Nel 1975 arriva a Palermo nell’ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici.

Giovanni Falcone Nasce a Palermo il 18 maggio 1939 e si iscrive a Giurisprudenza dove si laurea nel 1961.
Nel 1964 entra in Magistratura e per 12 anni è Procuratore a Trapani.
Arriva a Palermo alla fine del 1979, dopo l’omicidio del Giudice Terranova e comincia a lavorare anche lui sotto la guida di Rocco Chinnici.

Nel 1980 viene costituito il “Pool antimafia” e Falcone e Borsellino ne fanno parte assieme ai Giudici Di Lello, Guarnotta e Barrile ed ai Funzionari di Polizia Cassarà e Montana.

Il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano in modo individuale e separato, “ognuno per i fatti suoi”, senza consentire scambi di informazioni ed interazioni tra le indagini. Con la sua creazione partì una efficace azione penale coordinata, capace di affrontare il fenomeno mafioso nel suo insieme.
Ben presto la collaborazione tra i giudici fu totale, ben al di sopra delle note divergenze politiche che restarono mera materia di battute, arrivando alla forte amicizia personale.

I componenti del pool antimafia chiesero espressamente e più volte l’intervento dello Stato, che però non arrivò mai e di fatto li isolò, firmando così la loro condanna.
In pochi anni furono uccisi Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla chiesa, nel 1983 anche Rocco Chinnici e nel 1985 il commissario Giuseppe Montana ed il vice-questore Ninni Cassarà, a pochi giorni l’uno dall’altro.
Dopo l’uccisione di Chinnici è il Giudice Caponnetto che va alla guida del pool antimafia.

Falcone e Borsellino per sicurezza furono trasferiti nella foresteria del carcere dell’Asinara, dove scrssero l’istruttoria per il “maxiprocesso” che mandò in carcere 475 mafiosi. Poi si seppe che l’amministrazione penitenziaria chiese ai due magistrati le spese per quel soggiorno.

Nonostante le uccisioni il pool di Caponnetto funzionava e nel 1987, quando il maxiprocesso arrivava a conclusione con l’accoglimento delle tesi investigative del pool e l’erogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena, cominciò una lunga sequela di attacchi politici finalizzata a minare la credibilità e l’integrità di quei Magistrati.

Dopo una discussa scelta, Meli è mandato a sostituire Caponnetto e nel 1988 di fatto smantella il pool antimafia.

Il 21 giugno 1989, Falcone fu vittima di un fallito attentato alla sua casa al mare, l’attentato dell’Addaura e sul quale ancor oggi non è stata fatta piena luce e lo stesso Falcone indicò l’intervento di servizi segreti deviati, accanto alla mafia sospettando di Bruno Contrada, funzionario del Sisde. Contrada fù poi arrestato e condannato in primo grado a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, sentenza confermata in Cassazione.

Nel 1991 Salvatore Cuffaro, allora deputato regionale poi presidente della Sicilia per il centro-destra, intervenne ad una puntata di Samarcanda di Michele Santoro in collegamento con il Maurizio Costanzo Show e dedicata a Libero Grassi ucciso dalla mafia.
Cuffaro si scagliò con veemenza contro i conduttori e Falcone, sostenendo come le iniziative portate avanti da un certo tipo di “giornalismo mafioso” fossero degne dell’attività mafiosa vera e propria, tanto criticata e comunque lesive della dignità della Sicilia. Cuffaro parlò di certa magistratura “che mette a repentaglio e delegittima la classe dirigente siciliana”, con chiaro riferimento a Mannino, in quel momento uno dei politici più influenti della Dc.

Ecco il filmato

Nel settembre del 1991 la mafia progettò l’uccisione di Borsellino. Lo rivela Vincenzo Calcara cui la Cupola mafiosa aveva detto di tenersi pronto per l’esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare o mediante un fucile di precisione, o con un’autobomba.

L’esecuzione della sentenza era attesa e nota oramai a tutti.

In questo contesto degenerato, nel marzo 1992 viene ucciso Salvo Lima, uomo di Andreotti in Sicilia, omicidio che esprime un grave segnale sia dell’inasprimento della strategia mafiosa sia della rottura di equilibri consolidati, si alza il tiro verso lo Stato per ridefinire alleanze e possibili collusioni.

Il 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezioni presidenziali, i 47 parlamentari del MSI votarono per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica.
Quattro giorni dopo, il 23 maggio 1992, a Capaci morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Il giudice Ilda Boccassini urlerà la sua rabbia rivolgendosi ai colleghi nell’aula magna del Tribunale di Milano: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali».

Cinquantasette giorni dopo, il 19 luglio Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Due mesi prima di essere ucciso, il 21 maggio 1992, Paolo Borsellino rilasciò un’intervista ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi della durata di 50 minuti.
L’intervista mandata in onda da RaiNews24 solo nel 2000 era solo di trenta minuti.
Nella parte tagliata dell’intervista, Borsellino riferì delle possibili correlazioni tra i mafiosi di Cosa Nostra e di ricchi uomini d’affari come il futuro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Nell’intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra la mafia e ambienti industriali milanesi e del Nord Italia, facendo riferimento tra l’altro a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi.
Alla domanda se fosse Mangano un “pesce pilota” della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord d’Italia.
Anche alla luce di quest’intervista e del ruolo di Mangano così come descritto da Borsellino (testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord d’Italia) destò scalpore la nota dichiarazione di Marcello Dell’Utri, condivisa anche dal presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi riferita a Vittorio Mangano: egli fu, a modo suo, un eroe.

Ecco il filmato dell’ultima intervista a Borsellino 2 giorni prima della morte di Falcone.