Antifascista a sei anni

Noi eravamo quella generazione che, secondo gli obiettivi del Duce, avrebbe dovuto fare dell’Italia un popolo di guerrieri e di conquistatori, per cui, fin dall’età di sei – sette anni ci si faceva indossare una divisa (Balilla) e alla domenica mattina ci si recava in Piazza Giosuè Carducci (il Piazzale delle Scuole) per fare istruzione militare.

I genitori dovevano comprare ai ragazzi la divisa, consistente in un paio di calzoni corti (alle famiglie povere la divisa veniva data dal regime, affinchè non ci fossero scuse), di color grigio verde militare di allora, un paio di calzettoni, la camicia ed il fez, specie di sacchetto rivoltato, dal cui centro pendeva un nastro, terminante con un fiocco che, mentre si camminava, continuamente faceva un movimento oscillatorio, quasi fosse un pendolo da una parte all’altra all’altezza delle spalle.
Il tutto era rigorosamente di color nero.

Mi ricordo di un primo avvenimento vissuto durante la mia infanzia che mi turbò.
Avevo sei anni e, con mio nonno, mi trovavo il 14 novembre sotto al portico del Palazzo Comunale; a Persiceto vi era molta gente, passò un drappello di camicie nere con il gagliardetto in testa per recarsi al cimitero; tutti salutarono o con la mano tesa o levandosi il cappello, uno no, uno solo in mezzo a tanti non salutò.
Uscì dal drappello un milite armato di bastone, gli si avventò contro e, a forza di manganellate e di calci, lo ridusse in condizioni pietose, lo percosse ancora fino a che in terra non si mosse più.
Sconvolto chiesi al nonno: – “perchè lo picchiano, cosa ha fatto, chi è quel signore?” E lui quasi sussurrando mi disse: – “E’ un socialista”.

E qualcosa scattò nella mia testa di bimbo, che non si doveva massacrare la gente in quel modo per un’idea.

Poi la cosa fu ripetuta alcuni anni dopo. Eravamo inquadrati in piazza come Balilla per assistere ad una marcia di gerarchi, con i gagliardetti ed il resto. Dal corteo delle camicie nere proprio in Piazza si staccò un gruppetto e avvicinatosi ad un uomo gli intimò di gridare “viva il Duce!”. Siccome l’uomo rifiutò, a manganellate lo costrinsero a bere una bottiglia di olio di ricino, poi con lo spago gli legarono i pantaloni alle caviglie. In pochi minuti l’uomo se la fece addosso ed i fascisti cominciarono a ridere e a schernirlo. Allora l’uomo disse: – “Ecco, solo ridotto in questo stato, pieno di merda, posso urlare viva il Duce!” Ovviamente le camice nere continuarono a bastonarlo rabbiosi e lo ridussero a brandelli.

Non capivo ancora bene perchè succedessero quelle cose, e perchè c’era chi non era d’accordo con i fascisti, ma fin da allora mi considerai uno di loro.


Commenti
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  1. avatarTiziana Ferrari - 25 novembre 2011

    Grazie. 
    Noi che non abbiamo vissuto queste scene, non possiamo renderci conto di quanto fossero crude e assurde.
    In un mondo che tende ad avere la memoria corta, cerchiamo di non dimenticare e di non commettere gli stessi errori.

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