Anche mio padre voleva il figlio dottore

il_figlio_dottoreMio padre era uno di quegli operai che voleva il figlio dottore.

Mi diceva: ”Io facevo i compiti mentre andavo a scuola perché dovevo aiutare il babbo nei campi e nella stalla e non avevo il tempo per studiare. Adesso quando in fabbrica ho vicino a me un laureato penso, sì, fa il mio stesso lavoro, però lui ha speranza di andarsene, sicuramente se ne andrà perché può scegliere, io no, io dovrò rimanere qui. Il sapere è libertà perché capisci meglio le cose e perché potrai decidere della tua vita

Con questa convinzione, fece immensi sacrifici per consentirmi di arrivare al diploma e poi alla laurea, lottò insieme al suo partito e al sindacato perché la scuola diventasse sempre più vicina al dettato costituzionale là dove afferma: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Se mio padre  tornasse tra noi,  troverebbe una situazione molto lontana da quella che gli si prospettò allora, quando mi vide  diventare insegnante e scegliere il mio lavoro in piena libertà.

In questi giorni ho letto un bellissimo articolo del Professor Benedetto Vertecchi che spiega molto bene quanto è accaduto in questi anni nel nostro Paese e quanto sta ancora accadendo. Ne riporterò fedelmente le parole.

" Eravamo in Arcadia quando un allievo, per quanto sfavorito per la sua provenienza familiare,  attraverso il percorso scolastico poteva acquisire conoscenze di livello elevato. La scuola ridistribuiva la cultura non solo in senso diacronico (dalle generazioni precedenti alle successive, ma anche operando in tempi relativamente brevi  come ascensore sociale. L'ampliamento della base sociale dell'istruzione  è avvenuto malgrado l'ostilità  delle classi favorite…  ma il fatto che sia avvenuto non significa che l'accesso all'istruzione di quanti prima ne erano esclusi sia stato realmente accettato. L'attenuazione (e poi l'abbattimento) delle barriere che limitavano l'accesso alla scuola è stata solo  apparentemente una vittoria di quanti avevano accettato l'uguaglianza di educazione e progresso.

Lo sarebbe stato se la crescita del sistema educativo avesse perseguito traguardi di apprendimento densi di contenuti culturali.  E’ fin troppo evidente che non è stato così. A ridurre la scuola nella condizione in cui si trova hanno concorso le responsabilità dei custodi dei privilegi di classe,  ma anche quella dei sedicenti difensori delle classi svantaggiate. Negli anni sessanta e settanta l'apertura della scuola a nuovi strati di popolazione si era accompagnata ad un fervore di progettazione didattica il cui intento era di fornire a ciascuno l'istruzione di cui aveva bisogno,  nel rispetto di traguardi d'insieme validi per tutti. Purtroppo,  quel fervore fu espressione di una spinta democratica che non trovò  se non scarsa corrispondenza nelle istituzioni e nell'organizzazione della cultura.

Non si è capito (meglio, non si è voluto capire) che la condizione per non ridurre l'incremento della scolarizzazione ad una mera distribuzione di certificati sempre più poveri di significato,  era costituita dall'impegno nella ricerca e nell'innovazione. Gli insegnanti  avevano bisogno di essere sostenuti nello svolgimento di una professione sempre più complessa. Le scuole dovevano disporre di modelli organizzativi capaci di far fronte alle nuove esigenze. Agli allievi occorreva fornire opportunità d'istruzione capaci di compensare gli svantaggi derivanti dal contesto di vita. Ma c'era anche bisogno di rivedere il rapporto fra educazione sequenziale (quella che interviene nella prima parte della vita) e educazione nell'età adulta.

Ci si doveva chiedere quali conseguenze avesse da un punto di vista educativo la crescente precarietà di apprendimenti la cui validità nel tempo tendeva rapidamente a diminuire. Era necessario riprogettare il sistema educativo per farlo corrispondere alle condizioni di vita nella società contemporanea. Non c’è  bisogno di dire che questi nodi sono stati accuratamente ignorati… ”

E siamo giunti al disastro che si sta prospettando in questi giorni.

Con l’attuazione del ddl sulla scuola del governo Renzi, si sancirà definitivamente la disuguaglianza culturale e sociale e si aprirà una nuova prospettiva in cui la democrazia non potrà esistere,  in quanto tutti i cittadini non potranno essere  messi nelle stesse condizioni di  comprendere e di decidere.

Il problema è sì il fatto che ci sarà un preside-podestà a decidere le assunzioni degli insegnanti, ma il vero dramma sarà nella divisione tra le scuole delle zone disagiate e quelle dei quartieri privilegiati che avranno finanziamenti diversi e diversissime opportunità, in quanto prenderanno le loro risorse dal territorio in cui si trovano. Lo Stato, dice il documento di Renzi sulla Buona Scuola, non può più farsi carico delle spese dell’istruzione. In compenso, aumenteranno i contributi statali alle scuole paritarie. Il disegno di riportare il figlio dell’operaio a fare l’operaio e a non sognarsi neppure di diventare dottore, sarà allora compiuto. Un salto indietro di cinquant’anni con un solo ddl.

I cittadini che pensano che con questi provvedimenti si giungerà finalmente a cacciare dalla scuola gli insegnanti impreparati, sappiano che questo è solo uno specchietto per le allodole, la posta in gioco sono, ancora una volta, la giustizia sociale e la democrazia. 


Commenti
Sono stati scritti 3 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrea Cotti - 22 maggio 2015

    Ricordo cara Valeria una riflessione che ti avevo condiviso alcuni mesi fa.

    Dopo l'unità d'Italia, il Regno pensò bene di dotare Comuni e Frazioni di edifici scolastici, consapevole che senza una istruzione di base l'industrializzazione allora immanente non avrebbe avuto sbocchi. La costruzione di un "edificio scolastico" medio, come ad esempio quello di Persiceto da circa 30 aule, oggi potrebbe costare 3 milioni di Euro. Una scuola di Frazione da 10 aule (Persiceto ne aveva 6) potrebbe costare 1 milione, per un costo complessivo di 9 milioni di €.  Se consideriamo gli 8 mila Comuni presenti nel Regno, il costo che lo Stato appena sorto si è dovuto accollare è paragonabile a 72 miliardi di €. di oggi, a cui naturalmente aggiungere le spese di gestione e riscaldamento ecc. e naturalmente gli stipendi di insegnanti e bidelli per circa 40 miliardi di €./anno.

    Una spesa enorme per le finanze del giovane e già abbondantemente indebitato Regno d'Italia, ma che fu allora considerata irrinunciabile.

    Oggi stiamo assistendo all'esatto opposto: allo smantellamento dell'istruzione pubblica per come l'abbiamo conosciuta e al crescente massiccio finanziamento della scuola privata con denari pubblici.

    Con la "buona scuola" di Renzi, se tu doni 100 ad una scuola, pubblica o privata che sia, lo Stato ti restituisce 65. Questo è quello che prevede lo “school bonus” approvato dalla maggioranza. Facciamo un esempio: se la Compagnia delle Opere (multinazionale di Comunione e Liberazione) dovesse decidere di destinare 100 milioni di euro all'anno ad una propria rete di scuole, 65 graverebbero sulle casse dello Stato, e sarebbero quindi tolte alla scuola pubblica. Questo è la “buona scuola” di Renzi, e infatti Lupi (Ncd/Comunione & Liberazione)  festeggia: "Caro Renzi, hai costruito la scuola dei sogni di Comunione e Liberazione. Chapeau!.

    In sostanza, come hai giustamente osservato, oggi non si vuole più che i figli degli operai diventino dottori.

    Lo smantellamento della scuola pubblica è un processo iniziato con Berlusconi infastidito da studenti che restavano capaci di pensare e immuni alla sua lobotomizzazione da tubo catodico che aveva invece colpito abbondantemente esaltati da curva sud e aspiranti veline/modelle oltre naturalmente le persone di mezza età, e proseguita con ancor più vigore ed efficacia dal Renzi, fautore/continuatore dei programmi politici dei Sacconi-Lupi, Giovanardi-Formigoni, Verdini-Alfano.

    Ciò che vogliono in sintesi è garantire la conoscenza e la capacità di pensare ai loro giovani rampolli frequentanti le scuole private, naturalmente a spese della collettività, e negarla ai figli degli operai, ghettizzando la stragrande maggioranza dei nostri giovani ad un livello d'istruzione poco più che elementare, perchè come a Berlusconi, anche a Renzi serve un "popolo bue", ignorante e quindi credulone, facile da manipolare e da convincere.

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  2. avatarAndrea Cotti - 22 maggio 2015

    Calvino l'aveva capito benissimo. 

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  3. avatarAndrea Cotti - 23 maggio 2015

    E dopo Calvino, riportiamo anche la Gelmini, dedicata anche lei ai "compagni" che restano in questo Pd felici e contenti.

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