Da Terred’acqua al deserto

Rally di Tunisia, settembre 1987 –

Tre bambini come in un sogno

Allo stremo delle forze le voci sembravano irreali. Invece quei bambini e un asino hanno messo fine all’incubo.

” Terza tappa, e sono quinto assoluto.  Ore 09; dopo un breve trasferimento da Nefta, la partenza della speciale in linea sul chott è stupenda! Ottanta moto sorvolate dagli elicotteri delle TV che partono al colpo di cannone in mezzo al deserto seguendo Cap 225. Quinta piena sulla grande spianata del chott, a cercare un punto immaginario nel deserto a 22,4 km. dove portare il Cap a 110.  Impossibile non tenere spalancato in quella spianata e con 80 concorrenti attorno, ma il primo fronte di dune piccole e dure arriva all’improvviso e subito nella prima linea delle moto in sette-otto volano. Sono i primi, gli ufficiali con i bicilindrici lanciati a quasi 180 all’ora, e spargono detriti di carenature nella sabbia.

Alle 13 un brevissimo stop all’oasi di Zaafrane per fare il pieno di benzina ed acqua, poi subito via tra le dune verso il fortino di Ksar Rilane con le braccia già provate da 4 ore di sabbia rovente.

Un’ora e mezza più tardi arriviamo ad un fronte di dune alte; il Cap 145 ci chiede di attraversarle e procediamo decisi, ma dopo pochi metri la moto affonda completamente col davanti fino al grosso serbatoio che spancia sul “fesh-fesh”,  la ruota posteriore puntata verso il cielo ed io 10 metri più avanti.  Rialzo la moto in fretta, perchè esce preziosissima benzina, estraendola letteralmente dalla duna. 170 kg. di fatica, al sole, nel deserto, ad almeno 50 gradi all’ombra, anche se di ombra ovviamente non ce n’è.  Stanchi e provati, in 4 o 5 continuiamo, Cap 145 e davanti ancora 180 km di speciale nel deserto.
Queste dune però sono micidiali con improvvise aree di borotalco finissimo, e la moto va giù. E’ una trappola e non segnata nel road book.

Bisogna tornare indietro, uscire dal micidiale labirinto di dune molli ed aggirarlo, e ritrovare il Cap giusto.

Tentiamo, ma ormai la stanchezza inizia ad avere il sopravvento, la mente si offusca,  le braccia si irrigidiscono e la moto è sempre più difficile da controllare. Attorno a me non vedo più nessuno e lontano arriva appena l’eco di alcune moto in difficoltà. Forse venti, forse trenta volte mi sono rialzato, ho estratto la moto, l’ho riportata indietro sulla sabbia più compatta e sono ripartito, finchè improvvisamente durante l’ennesima estrazione, messa in cavalletto la moto, (cavalletto da sabbia, con piastra d’alluminio bucherellata) sono finito a terra esausto. Semincosciente.

Lì in terra,  sento la sabbia portata dal vento che mi entra nel naso e nelle orecchie, e si attacca alle palpebre sudate. Sono assolutamente incapace di pensare. Attorno lontano, ancora il rumore fioco di altre moto in difficoltà; provano di ripartire, gas, gas, poi più nulla.

L’elicottero. Lo sento, è chiaro è lui; adesso mi vede e mi viene a prendere, mi porta via, sdraiato al fresco, al campo a bere e dormire. Niente. Loro non mi vedono ed io non riesco ad alzarmi, neanche a muovere un braccio. Il pensiero a casa, ai miei figli lontanissimi, su di un altro pianeta.

Verso le 17 fa un po’ meno caldo e mi sembra di sentire lontano come un cinguettio di voce di bambini, come da un nido d’infanzia, come in un sogno, e penso di avere allucinazioni galoppanti.  Poi le sento più nitide quelle voci che mi sembrano proprio vere,  arranco sui gomiti fin sul ciglio della duna molle e all’orizzonte lontano vedo davvero 3 bambini che portano sterpi secchi su di un mulo. Urlo, agito la Dainese rossa, e finalmente mi vedono.

Amo profondamente la schiena sudata e maleodorante di quel mulo. Ad occhi chiusi ed accasciato al suo collo vengo portato all’ombra, fuori dalle dune, in un impensabile accampamento Tuareg. Gli “uomini blu” appaiono disponibili e premurosi e mi offrono la loro acqua;  quattro di loro vanno a prendermi la moto e a spinta me la portano lì, sulla sabbia compatta.

Sono le 19 ed oramai il “controllo passaggio” ed il  traguardo della speciale non esistono più. Barcollante ho rifatto il Cap e puntando direttamente ad est riparto, senza più guardare al road book, verso la pipeline e poi il mare, verso il campo e la salvezza. Sono ovviamente completamente fuori percorso e oramai al buio. Restare senza benzina, subire un guasto o una banale caduta potrebbero essere fatali là in mezzo, ma mi va bene.

Arrivo al campo di Djerba dopo le 22 e i commissari mi guardano come si guarda un fantasma; sono il 14° ad essere arrivato e  oltre  60 piloti mancano all’appello. Per tutta la notte sono continuati gli arrivi e per tutta la notte le ricerche degli organizzatori, con camion e elicotteri. La mattina solo una cinquantina ha potuto prendere il via alla tappa successiva; molti dispersi dopo aver passato la notte nel deserto hanno puntato direttamente all’arrivo della tappa seguente, ma la mattina successiva ancora 3 mancavano all’appello. Li hanno trovati solo il giorno dopo l’arrivo e le premiazioni, (un amaro ottavo assoluto) ma erano privi di vita.

E’ stato l’ultimo Rally autorizzato senza la radio balise obbligatoria. ”

 

Pubblicato su Motosprint – ottobre 1987

 

Fabbrica sigarette: politicamente scorretto

Sarò criticabilissimo come spesso quando si è politicamente scorretti, ma l’investimento che la multinazionale del tabacco sta facendo a Zola Predosa è, a mio avviso, una BRUTTA notizia.

Ma come;  vi è crisi, qui si creano centinaia di posti di lavoro ed è una cattiva notizia ?

Sì, lo è perché scambia la necessità di lavoro con il rischio di gravissimi danni a noi tutti.
E’ una fabbrica inserita nel ciclo di produzione delle sigarette se ho ben inteso.
Ora è vero che i tumori polmonari e tanta altra patologia  polmonare e cardiovascolare Non dipendono Solo dal fumo di sigarette, ma è scientificamente dimostrato che ne è una delle cause principali.

Uno Stato che incentiva la coltivazione del tabacco, e l’Italia di fatto lo fa attraverso  contributi europei, specula sul consumo del tabacco e si fa merito di iniziative imprenditoriali come questa, NON fa un buon servizio ai suoi cittadini.

A favore vi è certamente posti di lavoro, ma a che prezzo !
E’ diseducativo per i  giovani;  come si fa a dir loro “non fumate” quando poi, comprensibilmente, fanno notare  queste cose a noi adulti.
E’ un danno economico per tutti noi investire sul tabacco e non contro il tabacco, i costi sociali ed economici che il fumo di sigarette produce li paghiamo alla fine tutti noi, il bilancio è in perdita !!
Proibire è controproducente, ma incentivare è sbagliato.
Mi spiace per le forze politiche e sindacali che se ne fanno merito;  non è questa la buona politica, non è questo il buon sindacalismo.
Buona politica, buon sindacalismo è anche difesa della educazione sanitaria dei cittadini con i fatti e non solo con le enunciazione di principio.

Dire tutto ciò è politicamente scorretto e impopolare, ma il mio passato di Medico mi impone di NON  tacere.

Clamoroso: Bergoglio telefona ai Mazzagatti!

Se la news fosse confermata sarebbe davvero clamorosa: dopo i clamori suscitati dal carro blasfemo del 2013 – che portò all’esclusione del carro dal Teatro Fanin da parte di Don Giovanni (e allo scatenarsi del livore della parte più confessional-integralista persicetana) – Papa Bergoglio telefona alla Società Carnevalesca Mazzagatti e chiede di far parte dello storico e mitico sodalizio carnevalesco di Borgata Città.

Immediata e frenetica sembra sia stata la reazione dei componenti della Società, bozzettisti e scultori, caricaturisti, sceneggiatori ed artisti vari Mazzagattiani si sarebbero immediatamente messi all’opera con incredibile ma comprensibile entusiasmo iniziando a produrre una formidabile gamma di idee e bozzetti.

Quale sarà dunque il carro che i Mazzagatti porteranno in piazza quest’anno?

E Papa Francesco sarà presente in piazza pure lui o si limiterà a seguire la sua Società dal Vaticano?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo fantastico Papa non finisce di stupirci dunque, ed ora non ci resta che attendere per vedere -se la notizia fosse confermata – come reagirebbe stavolta il nostro Don Giovanni; concederebbe il Fanin al carro della Società di Papa Francesco oppure anche quest’anno ne impedirebbe l’ingresso…  pure a Lui?  :mrgreen:

Le mondine persicetane

Sono nato in un posto chiamato “Locatello”, nella campagna fra Persiceto e S.M. della Decima.
Mio nonno era il custode del casello della Ferrovia Veneta che passava vicino alla tenuta “Lenzi”. In quel casello (che ancora esiste) sono nati anche mia madre Zambelli Dea, e mio fratello maggiore.

Ero molto piccolo quando ci trasferimmo a Persiceto in via S.Apollinare, e non ho ricordi particolari della campagna, ma diventato grande, ho conosciuto la storia di quel posto, gli avvenimenti che avevano coinvolto la mia famiglia, le lotte e le tragedie che si sono consumate.

Adesso, rileggendo le testimonianze lasciate nei loro ricordi, mi rendo conto di quanto può essere strano il fato, quanto la vita e la morte dipendano da fattori così imprevedibili. E quanto sia forte negli uomini e nelle donne la volontà e la determinazione, rischiando spesso la pelle, per avere una vita dignitosa. Per dare un futuro migliore ai propri figli.
Durante e dopo la seconda guerra mondiale, il Locatello fu uno dei tanti posti che videro la fatica, la lotta e i sacrifici delle mondine, dei braccianti e dei contadini.
Fare la mondina significava spaccarsi la schiena lavorando tutto il giorno piegate a bagno nella risaia, sotto il sole, nell’acqua paludosa e piena di insetti, per uno stipendio da fame.

Nel ’44, mio padre che abitava in via Permuta, non conosceva ancora mia mamma e partecipò ad azioni partigiane proprio nel posto che in seguito diventerà casa sua. Ecco i fatti che lui stesso scrive nella sua autobiografia di partigiano:

Da “il partigiano D’artagnan di Alberto Cotti”.
“A Bologna vi era da tempo il Comitato di Liberazione operante. Verso la primavera da questo comitato ci venne l’ordine di fare qualche cosa per le mondine che lavoravano da Lenzi (allora una delle tenute più grosse, se non la più grande). Si doveva operare affinché iniziassero uno sciopero che, oltre a rivendicazioni salariali, assumesse anche aspetti politici. Noi sapevamo dove si riunivano le mondine al mattino, conoscevamo in quale appezzamento della vasta tenuta avrebbero lavorato il giorno dopo.
Partimmo, ormai buio, Cotti La Mòsa, Vecchi Enrico ed io. Facemmo un largo giro per evitare quelle case (ed erano già molte) ove erano accantonati i tedeschi. Arrivati al Locatello, Vecchi ed io, armati, montammo la guardia, mentre Cotti La Mòsa con un grosso barattolo di vernice fece, per tutto il fabbricato, una serie di scritte invitanti allo sciopero. Ci portammo poi sul posto dove le donne avrebbero dovuto scendere al lavoro ed ovunque mettemmo manifestini invitanti allo sciopero chiedendo aumenti salariali e generi in natura, unitamente a frasi che richiamavano alla pace…”

Quando mia mamma si svegliò quel mattino trovò quella scritta sul muro e vide le mondine leggere i manifestini.

Ecco la sua testimonianza tratta dal libro di Mario Gandini e dalla scheda delle scuole Mameli:
” Io andavo a lavorare nelle risaie del commendator Lenzi. Facevo non so quante ore al giorno e guai a chi si alzava su un momento o si distraeva dal lavoro. Non eravamo in regola, lavoravamo dodici ore al giorno, avevamo una paura tremenda del padrone: il clima era questo.
C’era la fame, la guerra: mio cognato era via soldato. Quando andavo a fare la mondina ero una ragazzina, avevo 13 o 14 anni. Poi, siccome mio padre, che era vedovo, era diventato casellante della Venata Ferrovie, io lo aiutavo ad alzare e abbassare le sbarre. Anche lì ero sfruttata, facevo molte cose, non ero in regola, non sapevo nemmeno quanto prendevo di paga.
Le donne che andavano alla risaia lasciavano le biciclette al casello. Una mattina, nel 1944, quando ci alzammo, vedemmo sull’essiccatoio delle scritte che dicevano: FATE SCIOPERO COME LE MONDINE DI MOLINELLA.
C’erano anche dei volantini che dicevano alle mondine:” Fate sciopero perchè vi spetta di un chilo di riso al giorno, la minestra calda a mezzogiorno, un copertone nuovo per bicicletta”.

Quando le mondine arrivarono, erano le sei o sei e mezzo di mattina, rimasero molto meravigliate e si guardarono in faccia perchè non sapevano cosa fare.
Avevano paura – ci si può immaginare. Però l’istinto diceva loro cosa dovevano fare e non scesero nella risaia a mondare il riso.
Allora arrivò Cenacchi, il fattore che era fascista peggio del padrone e fece loro una gran scenata. Poi telefonò a S. Giovanni al segretario del Fascio, un certo Lini, mi sembra si chiamasse. Arrivò quindi un camion di fascisti con sulla cabina una mitragliatrice puntata. I fascisti, armati di mitra, circondarono la casa perchè avevano paura di un attacco partigiano.
Misero al muro le donne e io mi dicevo: adesso le ammazzano tutte. Arrivò poi un ufficiale tedesco, il quale disse loro che, siccome avevano fatto sciopero, l’ordine era di ucciderne una ogni dieci. Affermò che, siccome lui era buono, se fossero tornate al lavoro, avrebbe chiuso un occhio e non sarebbe successo nulla di grave. Intanto le mondine, sempre contro il muro, avevano una paura tremenda: una, ad esempio, cadde svenuta, le venne il mel di cuore, e in seguito morì per questo.
Alla fine i fascisti, dopo un gran discorso, se ne andarono via e le mondine andarono giù in risaia. Dopo 14 o 15 giorni si videro dare il riso, la minestra, il copertone, quelle cose cioè che stavano scritte nel volantino”.

Finita la guerra, non finirono certo le lotte dei contadini e delle mondine. I partigiani avevano consegnato le armi, ma i salari e le condizioni di lavoro erano sempre quelle.
I miei genitori si erano da poco sposati quando assistirono nelle stesse campagne all’omicidio di Loredano Bizzarri da parte dello stesso Guido Cenacchi. Il fattore di Lenzi.
Durante una manifestazione contadina al Locatello, gli scioperanti vennero dispersi dalla Celere mentre cercavano di convincere venti crumiri a smettere di falciare il fieno. Tuttavia una decina di scioperanti si fermò a parlamentare con essi e riuscì a convincerli. A quel punto il fattore Cenacchi, si mise tra il gruppo, estrasse una pistola e sparò sugli scioperanti. Venne ferito il contadino Amedeo Benuzzi e ucciso il bracciante Loredano Bizzarri.