Sondaggi: Berlusconi fuori

Sondaggio Politico-Elettorale

Mi sembrano interessanti i sondaggi Ipsos pubblicati nella puntata di Ballarò del 8 febbraio 2011. Confermano la tendenza rilevata da IPSOS del 25.01.2011 che pubblichiamo nella nostra colonna di sinistra.

Certo appare comprensibile il terrore che il Caimano dimostra per le elezioni anticipate; praticamente in nessuna formula ha possibilità di farcela. Perderebbe comunque sia contro Vendola, Bersani o Casini. Perderebbe sia in caso di Poli separati che nel caso di una Grande Coalizione.

Ma sia le Elezioni anticipate che un governo senza di lui al momento sono inaccettabili per culo flaccido, perchè lo consegnerebbero immediatamente alla giustizia.

Sono davvero curioso di vedere che escogiterà il nano nei prossimi giorni, che oramai non ci stupiamo più di nulla.  O quasi.  :mrgreen:

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Liberarsi dai dittatori o dalle dittature?

egypt-hosnimubarakCome Ben Alì, dittatore della Tunisia, anche Mubarak, dittatore dell’Egitto ha dovuto lasciare il potere all’esercito.

Militari al potere ora “secondo volontà popolare”.

Nelle piazze esplode la gioia, ma il ‘Popolo’ di entrambi gli stati è stato strumentalizzato e mandato in quelle piazze come comparsa, carne da macello, dove i veri contendenti erano l’esercito con i suoi carri armati e i fedelissimi dei dittatori.

Le piazze festeggiano, ed è comprensibile, ma non hanno capito che sono stati solo colpi di stato, peraltro coordinati dagli USA (e qualcuno dice pure Israele). Si sono liberati dei loro dittatori certo, ma gli  eserciti che hanno preso il potere non cambieranno i loro diritti e le loro condizioni di vita;  perchè mai dovrebbe farlo?  Che interessa ad un generale di liberare internet e concedere più libertà?

I social come Facebook sono saturi dell’entusiasmo dei blogger che accostano quelle situazioni alla nostra, lodando quelle piazze arabe stracolme ad oltranza (e quei morti) e paragonandole alle nostre, incapaci di liberarci dal nostro dittatore.

Nelle nostre piazze cari amici non ci sono i carri armati, non c’è l’esercito inviato da generali coordinati da gruppi di potere con interessi contrastanti a quelli del dittatore. Almeno non ancora. Nessun forza oggi (nemmeno quelle spinte dai poteri occulti) chiama alla mobilitazione, nè i partiti ed i sindacati, nè l’informazione. Per ora.

Berlusconi andrà via, è solo questione di tempo, ma non grazie a noi e ai nostri leader, ma per una spallata che gli arriverà da un ‘potere forte’, quello che prenderà il suo posto, e solo quando esso riterrà opportuno il momento.

Noi saremo solo spettatori passivi, e non abbiamo altra scelta.

Tutto quello che possiamo fare noi è informarci, discutere e comprendere al meglio la realtà degli avvenimenti, così da non finire più o meno consapevolmente tra le schiere dei complici, attivi e passivi. E questo perchè non abbiamo rappresentanti nè partiti politici che esprimano il nostro sentire, perchè siamo una massa disgregata ed abbandonata a sè stessa, a suo tempo incapace di scegliersi e mantenersi leader decenti e che ha consegnato tutta la rappresentanza nelle mani di arrivisti conniventi col regime.

Il dente del Caimano

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In conferenza stampa a palazzo Chigi Berlusconi parla dei sacrifici cha ha dovuto compiere per gli italiani tra cui la perdita del dente a seguito dell’attentato:

Faccio tanti sacrifici per fare un servizio al Paese. E proprio per il Paese mi ritrovo senza un dente“. “Poco fa qualcuno mi ha chiesto a che punto sono i miei denti dopo l’incidente” -continua il premier riferendosi al lancio della statuetta del duomo di Milano-“ancora non sono riuscito a impiantare uno dei denti perchè ho il nervo sotto che non guarisce. Credo che sia un sacrificio abbastanza grosso per l’Italia visto che, se fossi rimasto un privato cittadino, non avrei corso questi rischi”.

Il bugiardo.


E lo psicopatico pensa pure che siamo tutti stupidi.

Berlusconi – Il bollettino medico: Frattura del setto nasale e di due denti …appartenenti all’arcata superiore

Il Caimano now

caimanoCi siamo ragazzi.

L’agghiacciante finale del film “Il Caimano” di Nanni Moretti si sta avverando.  Un Presidente del Consiglio che finalmente condannato dalla Magistratura aizza il popolo contro di essa.  E con successo.

Il film è uscito nelle sale italiane il 24 marzo 2006 ed è stato poi inserito nella selezione di concorso al Festival di Cannes.

Le scene finali del film, che dovevano andare in onda il 9 febbraio 2011 durante il programma Parla con me condotto da Serena Dandini su Rai Tre, sono state oggetto di contestazione da parte della direzione di rete che, coerente alla politica censoria di questo regime,  si è rifiutata di mostrarle, accettando di mandare in onda il film solo tagliandolo.

Nanni Moretti:
«Berlusconi lascerà macerie. Hanno paura del mio film perché è profetico e la Rai lo rinvia all’infinito...»

Vediamo dunque i 7 minuti finali del film di Moretti che la Rai si è rifiutata di mostrare censurandolo.

La Fiat lascia l’Italia?

FiatLo avevamo detto, non che fossimo gli unici, del resto non ci voleva la sfera di cristallo per capirlo, bastava semplicemente leggere i fatti, e raccontarli così come appaiono, invece di imbonire i cittadini di chiacchiere tese solo a non far capire di cosa realmente si sta parlando.
Lo avevamo detto che la Fiat “ha tutto l’interesse ad uscire dall’Italia, visto che il mercato auto europeo è fermo da anni, perché saturo, e la Fiat perde quote perché, appunto, non innova. Mentre invece ha interesse ad investire nella Chrysler, come finanziaria, perché lì c’è l’interesse da parte dei lavoratori, che sono anche i padroni, a rimettere in sesto l’azienda, oltre che mantenere la produzione in paesi in via di sviluppo, come il Brasile, dove le auto si vendono ancora.
È quindi abbastanza probabile che alla fine, dopo che avrà saputo tirare fuori un altro bel po’ di contributi statali, e aumentato le sue stock option, Marchionne vada negli Usa per occuparsi casomai della Chrysler
”.

Ed ecco che nei giorni scorsi ascoltiamo l’annuncio di Marchionne che la sede del gruppo che nascerà dalla fusione tra Chrysler e Fiat (fusione che ancora stranamente tarda a venire!) potrebbe essere a Detroit. Certo, qualche giorno dopo è stato convocato dal governo italiano, dai ministri competenti, i quali gli hanno chiesto spiegazioni: dopo l’esposizione del governo stesso a suo favore non doveva dargli questo colpo basso!
Certo, Marchionne ha in parte ridimensionato le sue affermazioni, che si tratta di progetti futuri, cose da stabilire, che ci saranno più centri direzionali, uno in Europa, uno a Torino e uno a Detroit, ecc…. ma davanti al pubblico americano è stato fin troppo chiaro.

Viene da chiederci dove sono ora i tanti che hanno appoggiato Marchionne e la sua resistibile rivoluzione, compreso Sacconi e Fassino, Romani e Bonanni.
In realtà da questo spostamento di direzione non ne uscirebbe poi una grande differenza, si perderebbero solo qualche centinaia di posti di lavoro a Torino, per il resto la produzione è in gran parte fuori dall’Italia, e prendere le decisioni a Torino o a Detroit cambia poco. L’Italia è solo uno dei tanti luoghi dove è dislocata parte della produzione, e nemmeno uno dei principali, dato lo scarso rendimento rispetto ad altre linee produttive (come quella del Brasile), ma soprattutto dato che anche un aumento della produttività in Italia non avrebbe praticamente nessuna conseguenza, perché le auto in Europa la Fiat ne vende sempre di meno, e anche quest’anno ha visto ridursi la sua quota di mercato, a differenza di Bmw, Volkswagen ed altre aziende che aumentano la loro quota.
Invece lo spostamento della direzione avrebbe la funzione di eliminare le duplicazioni di ruoli dirigenziali, e tra Detroit e Torino la scelta appare obbligata. Anche perché è negli Usa che il lavoro di progettazione della nuova società che nascerà dalla fusione tra Chrysler e Fiat si concentrerà, i centri di design sono sempre nei pressi del centro decisionale.
Rimarrebbe solo decidere il ramo camion e trattori, che dovrebbe essere venduto (già ci sono i compratori), e sistemare la partecipazioni storiche, quelle del Corriere della Sera e la Stampa, ad esempio. Ma sono tutte decisioni di poco conto.
Adesso Marchionne, dopo aver avuto quello che voleva dall’Italia, deve pensare ai suoi reali affari, e nei prossimi mesi ha molti appuntamenti importanti. La Chrysler sta negoziando con le banche per ottenere i finanziamenti che gli occorrono per ripagare i prestiti pubblici americani e canadesi, sta negoziando con il governo Usa 3 miliardi di contributi per la costruzione di modelli ecologici, poi entro la fine del 2012 la Chrysler dovrebbe tornare in borsa, e poi c’è il rinnovo del contratto di lavoro siglato coi sindacati.
Per questi motivi Marchionne si muove spandendo ottimismo a piene mani per convincere gli interlocutori americani, e in primis Obama, primo creditore della Chrysler, della sua affidabilità e del suo interesse a portare avanti la Chrysler, finendo anche per dare un premio agli operai americani. Insomma Marchionne sta cercando quel consenso che gli occorre per guidare la Chrysler, e la Fiat è solo una piccola appendice, niente di più.
Ed ecco che l’annuncio di Marchionne trova un senso proprio nella ricerca di questo consenso americano che è ancora non del tutto scontato, visto che la quota di mercato risulta ancora inferiore rispetto alle promesse del piano industriale, visto che la Chrysler è ancora in rosso di oltre 650 milioni. La Fiat invece è in utile, di 600 milioni, ma soprattutto grazie ai tassi di cambio che gonfiano i profitti brasiliani tradotti in euro, ma in ogni caso sono soldi utili per la nuova azienda che nascerà da questa fusione.
Quindi ancora molte incognite, e per convincere le grandi banche Usa ci vuole qualcosa di più, e l’annuncio di una direzione del gruppo posta a Detroit potrebbe essere un’allettante incentivo, quanto meno scongiurerebbe la paura americana che la Chrysler possa diventare italiana.
Lo slogan di qualche tempo fa, lanciato come fumo negli occhi dell’opinione pubblica italiana, di una Fiat che compra la Chrysler, si scioglie con i primi giorni di caldo, e Marchionne, come previsto, naviga verso la terra del sogno americano, dove lo aspettano sovvenzionamenti per 7 miliardi di dollari. Perché mai, con queste premesse, Marchionne dovrebbe restare in Italia?

Tutto ciò dovrebbe far riflettere, e non poco, chi dirige la nostra politica industriale ed economica, perché se è quasi obbligato che la Fiat se ne vada dall’Italia, per non morire, e diventi Chrysler, non è ancora chiaro il perché ciò accada. Ma forse potrebbe essere utile guardare non tanto, come erroneamente si fa quasi a voler trovare una giustificazione (dobbiamo competere con i cinesi che lavorano come schiavi), alle realtà cinesi o sudamericane, quanto piuttosto ad aziende a noi più vicine, come la Volkswagen che, a fronte di un orario di lavoro di 35 ore, offre uno stipendio decisamente più alto ai suoi dipendenti, mentre con 40 ore la Fiat ha i salari più bassi d’Europa. Nonostante ciò la Volkswagen continua ad erodere quote di mercato alla Fiat, in Europa.

L’idea di abbassare i salari, aumentare le ore di lavoro, diminuire i diritti sindacali, pare non avere alcun peso sulla produttività di un’azienda, al massimo serve ad aumentarne la redditività, come già abbiamo avuto modo di evidenziare. Quello che davvero manca alla Fiat, e non solo ad essa in mezzo a tante altre aziende italiane, è l’assenza di investimenti nella ricerca e nello sviluppo, perché oggi, in un mondo sempre più globalizzato, non è affatto vero che vince chi paga meno gli operai, piuttosto vince chi ha operai più specializzati, e riesce a garantire prodotti più avanzati. L’operaio specializzato si deve creare man mano, e costa molto, e qui veniamo al vero problema dell’azienda, l’assenza di investimenti, di coraggio, appunto di ricerca. E anche questo lo avevamo detto, evidenziando come la Cina sia riuscita prima ad attrarre aziende e capitali esteri, e poi sia riuscita ad impedir loro di andar via nel momento in cui i lavoratori, spalleggiati sempre dal governo, hanno iniziato a proporre delle rivendicazioni sindacali, per ottenere quei diritti che i lavoratori italiani stanno gradualmente perdendo. E così in Cina abbiamo visto la Foxxcon che si piega ai voleri degli operai cinesi, e non delocalizza in Vietnam perché il valore aggiunto della manodopera cinese è ancora imbattibile, e per produrre gli iPod di qualità non basta un operaio qualsiasi. E lo stesso accade alla Honda, e a tante altre aziende.
Se l’Italia perderà la Fiat, ancora una volta sarà colpa della miopia dei nostri dirigenti, sia quelli governativi che aziendali, per la loro incapacità di avviare un modello di sviluppo che consenta all’Italia di competere con gli altri paesi, specialmente quelli emergenti, trincerandosi invece dietro la solita ricetta del protezionismo economico che tra qualche decina d’anni lascerà l’Italia come un deserto industriale. La prima ad andarsene sarà, appunto, la Fiat!