Non vogliamo gli zingari; siamo razzisti?

rom-sintiLa presenza di zingari in Italia è stimata in 150.000 persone totali, tra Rom, Sinti e Caminanti su una popolazione di 58.000.000 di abitanti

In altri paesi europei la presenza stimata è:

* Grecia: 200.000 su una popolazione di 10.000.000 di abitanti
* Spagna: 800.000 su una popolazione di 45.000.000 di abitanti
* Francia: 340.000 su una popolazione di 61.000.000 di abitanti

In Germania sarebbero oggi 800.000 su di una popolazione di 82.000.000 di abitanti, ma durante il nazismo si calcola che almeno 500.000 zingari siano stati sterminati in Germania.

Rispetto agli altri Paesi europei in Italia sono decisamente minori quindi le presenze di zingari, ma nonostante questo, il Popolo italiano si dichiara contrario al 47% ad una possibile convivenza, rispetto ad una media europea del 24% con punte del 15% ad esempio della Francia.

Avvertiamo cioè come intollerabile la presenza degli zingari ben più degli altri Paesi europei.

Questo secondo voi che può significare, che noi italiani siamo diventati tutti più razzisti, intolleranti e xenofobi?

La “mitica” battaglia alla mafia

vignetta di ElleKappaAnche se negli ultimi giorni l’attenzione si è spostata su altre occasioni e sulle forse sempre più vicine elezioni, c’è un argomento che meriterebbe un maggior approfondimento e soprattutto una più degna attenzione da parte della stampa, ma che stranamente quasi mai viene toccato.
Negli ultimi mesi, per non dire anni, ci sono state varie inchieste giudiziarie che si sono occupate delle stragi del ’93, e oggi qualcuna di quelle è giunta a giudizio, come ad esempio il processo che in questi giorni sta cercando di stabilire le motivazione per le quali i dirigenti del ROS non effettuarono la perquisizione del covo in cui si nascondeva il capo della mafia Riina, se non dopo parecchi giorni, quando esso era già stato totalmente svuotato di tutto, addirittura con le pareti ritinteggiate.
Uno degli argomenti portati alla ribalta dalla stampa è proprio la possibilità che ci sia stata una sorta di trattativa, negli anni sopra indicati, al fine di far cessare le stragi di mafia, e qualche entità politica abbia stretto degli accordi.
Fermo restando che saranno magistrati e processi a stabilire cosa è accaduto realmente, se c’è stata una trattativa per far terminare le strage, se la mafia ha cercato o addirittura ha trovato dei referenti in quegli anni, insomma a fare chiarezza, una domanda alla quale si potrebbe cominciare a rispondere, o quantomeno a discutere per giungere ad una risposta, non tanto giudiziaria quanto politica, è la domanda che tanti si sono fatti: ma se davvero la mafia ha cercato dei referenti, ci ha guadagnato qualcosa?
L’argomento principe per i detrattori della teoria dell’accordo è che in questi anni, dalla morte di Falcone e Borsellino, mai come prima si sarebbero avute vittorie sulla mafia, mai come prima ci sono stati arresti, compresi i due capi della mafia stessa, per cui tale argomentazione sarebbe sufficiente, da sola, a zittire tutti i propugnatori di una teoria avversa.
Ma è davvero così?

Ricordiamo che, come accertato giudiziariamente, il 31 ottobre del 1994 si doveva giocare Lazio-Udinese all’Olimpico di Roma, e che era stata preparata una bomba che avrebbe dovuto uccidere numerosi carabinieri. Sarebbe stata una strage, ma qualcosa accadde e la strage non si compì più. Si disse che il telecomando non aveva funzionato, ma è plausibile che poi la strage non sia stata ritentata? E poi, perché dopo quell’evento non accadde più nulla e la mafia si inabbissò?

Il 4 e il 6 novembre il ministero della Giustizia cancella il 41 bis a 140 detenuti dell’Ucciardone. Nel carcere si festeggia!
Tra il 1995 e il 2001 il Parlamento approva numerose leggi che depotenziano la lotta alla mafia.
Nel 1995 viene abolito l’arresto in flagranza di chi afferma il falso dinanzi al Pubblico Ministero.
Nel 1997 vengono riformati e parzialmente smembrati sul territorio i corpi speciali di Polizia (SCO), Carabinieri (ROS) e Guardia di Finanza (SCICO).
Nel 1998 vengono chiuse le carceri di Pianosa e dell’Asinara. Nello stesso anno si impone la distruzione dei tabulati telefonici più vecchi di 5 anni, rendendo impossibile recuperare telefonate risalenti ai tempi delle stragi.
Nel 1999 il Parlamento tenta di cancellare l’ergastolo, concedendo a tutti gli imputati di ottenere, tramite rito abbreviato, una riduzione di un terzo della pena. Al posto dell’ergastolo si sarebbe applicata, quindi, la pena di 30 anni, che con vari benefici si possono ridurre a circa 20. La norma non viene approvata per le proteste a seguito della richiesta di Riina, Graviano e altri boss di poter usufruire della norma medesima. I familiari delle vittime della mafia si fanno sentire e il progetto non va in porto.
Il Parlamento, centrodestra e centrosinistra di comune accordo, riformano anche la legge sui pentiti (collaboranti di giustizia) fortemente voluta da Giovanni Falcone. Il numero dei collaboranti crolla negli anni.
Il 41 bis viene depotenziato, gli articoli 513 e 238 del codice di procedura penale vengono riformati consentendo ai testi e ai collaboranti di avvalersi della facoltà di non rispondere in dibattimento (prima i collaboranti erano costretti a rispondere altrimenti perdevano i benefici).
Infine, una direttiva del CSM stabilisce che nessun giudice antimafia può permanere nella stessa procura per più di 9 anni.
Dal 2001 vengono cancellate le rogatorie, viene agevolato il rientro dei capitali illeciti dall’estero, garantendo l’anonimato, si approva lo scudo fiscale, si riformano le intercettazioni.
Altra norma è la riforma dell’art. 190 del codice di procedura penale che obbliga il tribunale a sentire tutti (proprio tutti) i testi indicati dalla difesa. La norma non passa ma viene rispolverata proprio in questi ultimi giorni del 2010.
Nel 2002 altra proposta di legge prevede l’avviso di garanzia immediato, appena si apre l’inchiesta su qualcuno. Poi abbiamo la riduzione dei casi in cui è possibile l’arresto, e l’inutilizzabilità delle sentenze passate in giudicato. Nessuna di queste riforme passa, ma l’ultima norma è stata riproposta proprio negli ultimi giorni, ed è particolarmente interessante. La sua approvazione, infatti, costringerebbe un magistrato a non potersi servire di nessuna sentenza precedente, e quindi a dover provare ogni volta tutto, compreso l’esistenza dell’organizzazione Cosa Nostra in Sicilia. Ad ogni processo!
L’ultima proposta da menzionare è quella che prevedeva l’elezione dei giudici come per i politici, progetto molto interessante per i territori ad alta densità mafiosa, dove la mafia controlla o si ingerisce pesantemente nelle elezioni. L’idea, originaria di don Vito Ciancimino, per quegli strani scherzi del destino, fu proposta anche dalla Lega.

Nel 2002 il governo di centro destra approva una norma che rende definitivo il 41 bis mentre prima era solo una norma transitoria. Una netta inversione di tendenza, rispetto alla “disattenzione” degli anni 1995-2001. Ma forse era già troppo tardi, visto che oggi il carcere duro non esiste più e i boss hanno limitazioni decisamente molto più smussate e molta più libertà di prima!

Test: quanto siamo berlusconiani?

Ecco un test rischioso: 15 anni di dominio politico e mediatico dello Psiconano ti hanno trasformato a immagine e somiglianza del premier?
Rispondi alle domande e lo scoprirai. ;Z

Ecco un test rischioso: 15 anni di dominio politico e mediatico dello Psiconano ti hanno trasformato a immagine e somiglianza del premier?
Rispondi alle domande del TEST in fondo alla pagina e lo scoprirai. ;Z


Siamo tutti squadristi?

meglio le botte che l'indifferenzaL’argomento di questi giorni sono le contestazioni a due noti politici, alle quali sono immediatamente (se non contemporaneamente, data la possibilità della rete di commentare i fatti del giorno in tempo reale, con buona pace della riflessione che porta consiglio) seguite le condanne da parte di alcuni giornali. Tali contestazioni sono state bollate come “squadrismo”, in particolare lo stesso segretario del maggior partito di opposizione, le ha definite “squadrismo viola”.
Le categorie, le etichette appiccicate sul dorso dei contestatori, che di solito si rispolverano per queste vicende, le sapete, sono le solite, demagogiche e trasudanti insofferenza, etichettature utilizzate a mo di clava o di insulto, nel migliore dei casi, per delegittimare qualsiasi possibilità di dialogo, il concetto è di evidenziare che con “quelli” non esiste dialogo possibile, da cui, la conseguenza la traggo io, pare evidente che l’unica possibilità è il ricorso al manganello.

Pur non riferendomi a fatti specifici in particolare (perché non conosco tutti i dettagli) vorrei fare un discorso in generale, perché sono i principi che contano.
Ci troviamo in un mondo che si muove a forte velocità, di forti cambiamenti, di crisi, un mondo dove tutti i vecchi valori vengono posti in discussione, e quindi è più facile sbagliare e seguire una strada che non porta da nessuna parte, ed è maggiormente importante tenere i nervi saldi e riflettere prima di agire, prima di ricorrere alla violenza, fisica o verbale, laddove la violenza verbale è anche l’etichettatura populista e demagogica dei contestatori come squadristi.
La libertà di manifestazione del pensiero è uno dei capisaldi di una democrazia, qualcosa per la quale vale la pena combattere, e i cittadini lo sanno, quelli che ogni giorno si indignano per le leggi che continuamente vengono sfornate al fine di imporre bavagli, di limitare le informazioni che possono giungere al popolo. Si tratta di una battaglia giusta e sacrosanta, per un diritto più volte ribadito dalle pronunce giurisprudenziale, sia interne, della Cassazione, sia a livello europeo. Ma, non vedo dove possa portare una strada nella quale tale diritto sia limitato solo a chi la pensa come noi. Se cominciamo a impedire l’esercizio di tale diritto a chi è condannato in via definita, poi lo impediremo ad un condannato non ancora definitivo, poi ad un semplice indagato, poi solo a chi è chiacchierato, poi semplicemente a chi non sopportiamo. Non esiste un corollario a tale diritto, che limita la libertà di manifestazione del pensiero a chi la pensa come noi, anzi, volterrianamente parlando, quanto più l’altro la pensa diversamente tanto più il suo diritto alla parola dovrebbe essere difeso, perché domani potremmo essere noi quell’altro. Allora si vedrebbero le conseguenze di scelte di questo tipo.

Ma, di contro, non si può, ed è ipocrita solo pensarlo, fare un discorso del genere senza guardare l’altra faccia della medaglia. Se la democrazia si regge su un insieme di regole condivise, se la democrazia non è altro che un gioco di pesi e contrappesi, al diritto di parola riferito ai nostro governanti, per quanto chiacchierati possano essere, si deve correlare sempre il diritto ad un civile dissenso, il diritto alla contestazione, alla critica. Quindi, non possiamo pretendere che il tale politico parli indisturbato se poi un ministro rifiuta di incontrare i precari (e pare che siamo a 200.000) etichettandoli come “politicizzati”. Non possiamo pretendere che i cittadini accettino acriticamente riforme che toccano, guarda caso, sempre loro, e non richiedono mai “lacrime a sangue” ai politici. Non possiamo pretendere il diritto alla parola, quando tanti, troppi non hanno alcuna possibilità di parlare, di gridare la loro solitudine, di chiedere, anzi pretendere, che i propri diritti siano rispettati. È facile, è comodo, dall’alto delle nostre pance piene, con un tetto sulla testa, dopo aver dato una carezza al figlio che dorme nell’altra stanza e incassato il nostro giusto stipendio, bollare chi non ha più nulla di tutto ciò, chi da 10 anni cerca disperatamente un lavoro, una speranza, nemmeno più per lui ma per i suoi figli, chi con estrema forza di volontà non si fa abbindolare dalle sirene del guadagno illecito facile, del ricorso al voto di scambio, della raccomandazione che distrugge qualsiasi forma di meritocrazia (e sappiamo quanta poca ve ne sia in Italia adesso!), come “squadrista”, così semplicemente, a prescindere, senza sapere nulla di lui, senza cercare di capire perché si giunga a tali gesti.
Chi non ha più nulla non ha nulla da perdere, e quindi giunge a gesti estremi come salire su una gru per il solo fine di poter avere voce, oppure fischia il politico di turno.
È bello? No, non lo è affatto, ma al di là dei casi singoli, le contestazioni sono figlie dell’assenza di dialogo tra le parti, del rifiuto al dialogo da parte dei politici e dei governanti sordi a qualsiasi rivendicazione che sia civile. Abbiamo dimenticato in fretta i pacifici aquilani che hanno atteso pazientemente e civilmente per un anno prima di cominciare a protestare per una ricostruzione mai fatta, e quando hanno marciato a Roma hanno trovato la celere ad attenderli. E non è solo questo episodio da conteggiare, altri, in tutto il paese, denotano il fastidio da parte del governo per il dissenso organizzato. Il motivo è puramente politico. Un potere si perpetua sulla divisione dei cittadini, e quanto più riesce a far passare l’idea che sei solo tu, insieme a quattro squadristi, a dissentire, tanto più riesce a perpetuarsi. Se invece il cittadino ha contezza del fatto che ci sono 10, 100, 1000 altri cittadini che dissentono dalle politiche governative, allora il potere trema!
E’ facile mostrarsi democratici quando il politico può permettersi di parlare a 4 milioni di italiani ogni volta che vuole, mentre poi il dissenso del cittadino si limita ad una cerchia ristretta, i parenti nel soggiorno di casa! Quale privato cittadino può chiamare il TG1 e chiedere 30 secondi della scaletta per rispondere al politico che lo attacca dipingendolo come squadrista? Quale cittadino può scrivere ad un giornale e vedersi dedicata una terza o quarta pagina?
Praticamente nessuno, per cui è ipocrita pensare che ci sia parità di condizione nell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, laddove i politici hanno una tutela, in questo campo, esagerata, mentre i cittadini semplicemente non ne hanno accesso. E di contro il diritto al dissenso è sempre di più criminalizzato ed osteggiato, fino alla boutade di un noto sindaco che avrebbe voluto imporre una tassa sulle manifestazioni, come dire che essere a favore del governo è conveniente anche economicamente. Vuoi dissentire?, Vuoi manifestare in piazza? Allora paghi! Ecco, ci manca solo questo e il quadro sarà completo per realizzare quel completo distacco tra governanti e governati, laddove questi ultimi sono visti nemmeno più come cittadini bensì come semplice sudditi, per i quali il diritto al dissenso e alla critica politica diventa una mera facoltà concessa dal sovrano “purché non diano troppo fastidio”.
Nel contempo negli altri paesi si sono avute manifestazioni di dissenso analoghe (in Inghilterra, ma anche in Francia) e non ho ancora letto nessuno che etichettasse quei cittadini come “squadristi” o peggio, mostrando un rispetto per i cittadini che ormai noi in Italia semplicemente abbiamo dimenticato.

Siamo in un paese dalle etichette facili e dalla memoria corta, dove ci si dimentica della reale identità dei politici. E i giornali, che per la quasi totalità si trovano come loro “cliente” principale la presidenza del consiglio come elargitore di sovvenzioni pubbliche, non fanno molto per ricordarlo, salvo, piuttosto, demagogicamente “bollare” il dissenso.
Quello che davvero mi aspetterei dai giornali non è l’etichettatura selvaggia e demagogica del dissenso popolare, negando così loro qualsiasi forma di legittimazione e di contro legittimando allo stesso modo la politica di criminalizzazione del dissenso del governo. No, quello che mi aspetterei dai giornali, dai mess media, da chi ha la possibilità di scrivere, e di essere letto, mi aspetterei che spiegasse ai dissenzienti perché le loro rivendicazioni, pur giuste, non devono incanalarsi nelle vie sbagliate, perché negare la libertà di parola all’altro è come negarla a noi stessi, perché o vale per tutti oppure non vale per nessuno, e la seconda ipotesi favorisce sempre il potere, perché altrimenti è come andare in guerra e spararsi ad un piede, perché la violenza chiama altra violenza e legittima il ricorso al manganello… ed è quello che vogliono loro, che aspettano!
Quello che mi aspetterei da chi può parlare per tutti è che spiegassero tutte queste cose, che cercassero di capire perché si è arrivati a questo. Forse è vero che sono saltate le regole democratiche (e non mi pare che siano i cittadini ad aver fatto il primo passo in tal senso, per il semplice motivo che non ne hanno la possibilità tecnica), che non esiste più il diritto al dissenso, ma non è certo standone al di fuori delle regole che esse si ricostruiscono, ma dal di dentro.
Come qualche tempo fa ho sostenuto che non ritengo giusto che gli autori di Mondadori debbano uscirne, perché certe battaglie per la libertà vanno fatte dall’interno, altrimenti è come aver perso altro terreno ed un altro pezzo di libertà.

Allora sì, allora a queste condizioni, che siano rispettate le regole democratiche e che esse valgano per tutti, che il dissenso sia basato sulle idee, perché, non dimenticatelo mai, la più bella vittoria è mostrare di avere più idee dell’avversario, e sconfiggerlo sullo stesso terreno, oppure mostrare a tutti che lui non ha idee, allora sì che mi riconosco in questo dissenso e, con lo stesso spirito di un J.F.K. che gridava “ich bin ein berliner” per comunicare ai tedeschi dell’est chiusi dietro al muro che lui era con loro, al loro fianco in una sorta di comunanza morale, potrei dire anche io “sono uno squadrista”!
Questo vorrei che accadesse domani, che i giornali spiegassero e chi ha voce per parlare ribadisse. Percorrere la strada sbagliata è un errore che non porterà a nulla di buono, ma al contempo lasciare solo il dissenso popolare, ed etichettarlo in quel modo, vuol dire semplicemente chiudere ogni forma di dialogo con chi la pensa diversamente, con chi vive diversamente (dai borghesi con le pance piene che vanno a pranzo coi politici) perché non arriva a fine mese, e costringerli ad uscire fuori dalla regole democratiche. Penso che sia arrivato il momento che tutti scelgano: i cittadini, ma anche i giornali!

Schifani contestato e la ‘questione morale’

BerlinguerMa perchè Fassino ha invitato Schifani alla Festa del PD di Torino?

Questo innanzitutto è il primo quesito.

Essendo provate  le frequentazioni mafiose di Schifani, (ne abbiamo parlato qui in gennaio, e L’Espresso recentemente qui e qui) perchè invitare proprio LUI alla festa PD?
Non appare di particolare interesse per i militanti la sua opinione, nè la sua presenza può portare voti (di chi poi, di mafiosi?), quindi non restano che interessi particolari tra appartenenti alla casta politica, inciuci vari, “legittimazioni” all’interno di questo ceto politico corrotto e malavitoso atte solo ad aprire porte agli affari di Fassino & Co. (forse un’altra banca?)

Schifani non è ‘solo‘ un avversario politico nè ‘solo‘ una carica dello Stato – che andrebbero sempre rispettati – ma di fatto un connivente con la malavita.
Ignorarlo, fingere di non vedere queste connivenze e addirittura cercare di far tacere i dissidenti mandando la polizia, significa voler essere parte dell’infezione.

E allora il paletto chiaro e fermo deve essere la questione morale, che l’avversario politico si rispetta e si lascia parlare sempre, i malavitosi ed i loro complici no.
Riina non può avere diritto di parola, nè alle nostre feste nè altrove, per capirci.

Qualcuno inizia a rifiutare questa intossicazione trasversale ai partiti e, come con Ceausescu, il popolo ed  i giovani in testa iniziano a rifiutare gli uomini della metastasi dello Stato e delle Istituzioni rendendo palese la propria indignazione per una classe politica indegna per il nostro Paese.

E’ finito l’incantesimo con cui Berlusconi (sostenuto dai leader della ‘sinistra‘) ha potuto fare strame delle istituzioni, della costituzione e di ogni regola , modificando a proprio piacimento leggi, dettati costituzionali, la giustizia e il senso comune, rendendo la politica una fogna -per citare Bersani – ed infettando le Istituzioni con elementi mafiosi;  tutti i suoi sodali & complici devono sapere che il tempo della ricreazione è finito.

In questa situazione, chi grida ‘fuori la mafia dallo Stato‘ non può essere accusato di squadrismo, e chi lo fà è complice di questa tragedia.

I leader del PD non capiscono (o non vogliono capire) che la misura è colma, che la referenzialità bilaterale che destra e sinistra si concedono reciprocamente non basta più come risposta a domande che in democrazia dovrebbero essere la norma, allora è davvero giunto il momento auspicato dalle forze nuove e sane presenti nel PD di una rottamazione di una fallimentare classe dirigente che scambia il dialogo con la complicità malavitosa.