La fine dei blog

Secondo Reporters sans frontieresWestern democracies are not immune from the Net regulation trend”, cioè anche le democrazie occidentali non sono immuni dalla spiccata tendenza a regolamentare e controllare la rete. E ciò appare vero soprattutto in Italia dove, negli ultimi anni, praticamente da quando internet si è imposto come mezzo di comunicazione di massa, numerosi sono i progetti di legge o decreti che hanno cercato, in qualche modo, di porre il controllo della rete nelle mani del potere politico ed economico.

Il trend è ovvio, in un paese in cui la televisione la fa da padrone e ha la spiccata tendenza a indottrinare la gente, poiché come è noto la gran parte degli italiani recuperano le informazioni esclusivamente dalla televisione ed hanno una scarsa propensione a leggere, libri ma anche giornali (a parte quelli sportivi che notoriamente sono i più diffusi), la rete si è presentata come l’ospite inatteso che rovina la festa. Internet, nonostante i suoi ovvi difetti, è indiscutibilmente più democratico di quanto possa esserlo un giornale o la televisione, perché mentre per aprire un giornale od una televisione occorrono giornalisti iscritti all’albo (e qui giova ricordare che l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere un albo per i giornalisti), od anche editori (e qui non c’è bisogno di precisare che per essere editore ci vogliono tantissimi soldi e spesso anche l’appoggio politico), in rete un quisque de populo può aprire un blog, spendendo pochi euro o addirittura gratis, e, oibò, manifestare il suo pensiero ed addirittura, permettersi di criticare i politici, il governo, l’opposizione, insomma fare quello che in un paese democratico dovrebbe essere la norma.

L’Italia è un paese strano, dove determinati comportamenti sono apertamente scoraggiati, dove il cittadino viene visto, e di conseguenza trattato, come un bambino che deve essere accudito in tutto e per tutto, e il potere deve educarlo, e a seconda dei casi premiarlo o punirlo. Ovviamente tutto in conseguenza di ciò che il cittadino fa per il potere costituito. Se ne agevola la conservazione è un buon cittadino, se invece critica lo status quo, pretendendo addirittura comportamenti moralmente e giuridicamente ineccepibili da parte dei governanti, è considerato un pessimo cittadino, da osteggiare, da mettere da parte. I panni sporchi si lavano in famiglia, dove, sia chiaro, i cittadini non fanno parte della famiglia!
E questo non è cosa degli ultimi anni, ma, a vicende alterne, è una caratteristica propria della società italiana da parecchi anni a questa parte, dalla prima repubblica per intenderci.
In questo fosco quadro si è inserita prepotentemente internet, che ha la caratteristica di consentire al cittadino comune non solo di dire la propria opinione sulla gestione della cosa pubblica, ma anche di permettere la comunicazione “molti a molti”, rompendo finalmente il monopolio dell’informazione e spezzando la comunicazione di vecchio stampo “uno a molti”. Insomma, non è più il potere politico-economico a decidere cosa dire ai cittadini, quando dirlo e come dirlo, sopprimendo in modi più o meno autoritari le voci dissidenti, ma chiunque, con un po’ di intraprendenza può aprire un blog, mettersi la telecamera a spalla, e diventare blogger, informando spesso meglio dell’informazione classica.

Non è un voler incensare eccessivamente la rete, ma è un dato di fatto dimostrato più e più volte. In Iran è stata la rete, per lo più Twitter e YouTube, a portare le informazioni fuori dal paese e far conoscere la realtà dei fatti, decisamente diversa dal racconto di regime. I giornali e le TV recuperavano le notizie dalla rete!

Anche in Cina è la rete a far conoscere le voci dissidenti dal regime, e, guarda caso, questi sono i due paesi dove la rete è maggiormente controllata. In Cina esistono schiere di controllori che quotidianamente ispezionano ciò che viene immesso in rete. Consci che controllare e bloccare tutto è impossibile, hanno fatto un passo in avanti nelle tecniche di controllo dell’informazione realizzando delle squadre di “disinformatori di Stato”, persone che, nel momento in cui una voce dissidente sfugge al controllo, si occupano di “bombardare” il sito, il blog, il forum dove quella notizia fuori dal coro è apparsa, screditandola, insinuando il dubbio che sia falsa, che sia strumentalizzata, che sia posta per altri reconditi fini.
Ma, tutto ciò pone inequivocabilmente un problema, sia per i regimi autoritari, sia per le cosiddette democrazie, perché, come ricordava Reportes sans frontieres, nessun paese è immune all’afflato regolatorio. Il motivo è molto semplice, un potere porta sempre all’abuso, per cui una democrazia rimane tale solo fintantoché i contrappesi democratici riescono a mantenere l’equilibrio, ed impedire una deriva autoritaria.
Un regime deve avere il controllo delle informazioni, per poter convincere i cittadini che quello è il miglior regime possibile, che non vi sono dissidenti, perché il solo fatto che siano presenti delle voci dissonanti è una crepa nel muro, può portare a pensare che le cose non vanno bene come si racconta, può far capire, a chi non condivide lo status quo, che non è solo nei suoi dubbi, nelle sue critiche. La cosa peggiore che possa accadere ad un dissidente è sapere incontrovertibilmente che nessuno condivide le sue critiche, da cui la necessità di non far riunire le voci contrarie.
Ma, di contro, un blocco totale della rete internet non è né possibile né auspicabile, poiché ai giorni nostri buona parte dell’economia viaggia in rete. Il blocco di internet avrebbe come conseguenza un pesante contraccolpo sull’economia, ecco perché la Cina non persegue il fine di bloccare l’intera rete, e, almeno con alcuni limiti, anche l’Iran non prosegue su quella strada, anche se numerosi siti vengono bloccati ogni giorno. Del resto la rete cinese è sostanzialmente come un network chiuso, con accesso verso il resto del mondo controllato, in modo da verificare sia le notizie in entrata che quelle in uscita. Di recente il governo cinese inizia a diffondere notizie anche nella lingua inglese, così andando incontro alla sete di informazioni della gente, distogliendoli dalle informazioni che provengono da siti stranieri. Oltretutto un blocco indiscriminato paradossalmente porterebbe ad una protesta anche dei navigatori per ricreazione, e non solo dei cosiddetti “attivisti politici”.
Ecco perché la battaglia, ormai in corso in molti paesi, anche “democratici”, sul controllo delle rete, è più difficile di quanto si pensi, un controllo effettivo della rete è possibile solo sacrificando anche l’economia.

E qui giungiamo all’anomalia italiana, dove il potere economico e quello politico sono talmente intrecciati da non poter permettere una facile distinzione tra i due. L’Italia è un paese dove si incentivano gli aspirapolvere, i frigoriferi, ma non la banda larga, visto che gli 800 milioni già stanziati dal precedente governo sono ancora bloccati, e questo governo sostiene che non saranno sbloccati fin quando la crisi non finirà. Peccato che gli investimenti nel settore tecnologico e delle comunicazioni, secondo dati della Unione europea, potrebbe essere un formidabile volano per l’economia di un paese, tanto che tutti i paesi europei stanno facendo forti investimenti nel settore della connettività a banda larga. In Italia, invece, tutto tace, a parte qualche recenti annuncio ancora da verificare.
In Italia si investe sul digitale terrestre più che nella rete, e ciò è palesemente antistorico, visto che in tutti i paesi si assiste ad una convergenza dei media verso la rete. Un recente avvenimento televisivo ha dimostrato come la chiusura di una trasmissione non sia più così semplice come una volta, ci si sposta semplicemente in rete. Nonostante il pesante digital divide, un fardello che nessuno vuole sbrogliare, in Italia è comunque possibile fare a meno della televisione.
Il potere economico non vede di buon occhio questo stato di cose, perché troppo sbilanciato sulla televisione, il cui controllo semi-monopolistico comporta una convergenza di interessi, da un lato un lucro eccessivo sulle risorse pubblicitarie, che non riescono a trovare sbocchi ulteriori e diversi, in assenza di una offerta di qualità sia televisiva che in rete, e dall’altro un controllo dell’informazione tale da orientare pesantemente le valutazioni dell’elettorato. Anche se in realtà, più che di orientamento si dovrebbe parlare di disaffezione, la tendenza è quella di convincere i cittadini che non c’è possibilità di cambiare, che ogni scelta è inutile, e quindi far in modo che i votanti siano sempre meno. In fondo è più facile controllare 10 milioni di votanti che 60.
Ed è per questo che l’Italia è uno dei paesi a più bassa penetrazione della banda larga, è uno dei paesi che soffre di più il digital divide, addirittura la percentuale di connessioni alla rete in alcuni anni diminuisce invece di aumentare. Insomma, è il paese dei cellulari e del digitale terrestre, strumenti che soffrono del problema della comunicazione “uno a molti”, cioè chi invia contenuti sono solo pochi soggetti, ma non è un paese per internet, e questo, purtroppo, a scapito anche dello sviluppo economico. Si sacrifica la crescita del paese per poter mantenere lo status quo.

Ovviamente il potere è perfettamente conscio di ciò che è evidente dalle lezioni di Cina ed Iran, un controllo totale della rete non è possibile, e per quanto si voglia ritardare lo sviluppo di internet, non lo si potrà bloccare a lungo, pena la perdita dell’appoggio dell’economia reale che soffre per una assenza di sbocco valido in rete. A riprova di ciò ricordiamo le recenti esternazioni di esponenti di Confindustria, nella fattispecie il presidente di Assinform: “la sottovalutazione del ruolo decisivo che l’It gioca nel processi di crescita della competitività, produttività e sviluppo del Paese è il primo digital divide da superare”.
Quindi, il digital divide blocca lo sviluppo economico dell’Italia, questo è un dato di fatto, per cui prima o poi si dovrà procedere per eliminarlo, prima che si crei un gap tecnologico incolmabile con gli altri paesi.
Ma, prima di “aprire” la rete, probabilmente il potere economico-politico cercherà di porre il giusto guinzaglio ad internet, regolamentandolo a modo suo. Ecco che, da anni, si susseguono leggi e leggine con lo scopo più o meno recondito di mettere sotto controllo la rete, in particolare di porre le norme giuste per poter “spegnere” le voci fastidiose, contrarie, dissidenti.
E così abbiamo avuto la legge Levi, la cui parte telematica fu stralciata, poi l’emendamento D’Alia che venne abrogato, la legge Carlucci, e la proposta Barbareschi, e tante altre che si sono avvicendate, tutte accomunate da critiche dello stesso respiro, si trattava, secondo i detrattori, di leggi che vogliono colpire la libertà di manifestazione del pensiero in rete.

È palese che non è ammissibile una rete anarchica dove tutto è possibile, ma questo argomento, spesso utilizzato da politici, non ha alcun pregio in quanto le medesime leggi che regolano il mondo reale si applicano anche a quello virtuale, per cui una diffamazione è tale anche in rete, anzi in rete è “aggravata”. E così è per tutti i reati. Non c’è alcun bisogno di nuove regole, di nuove norme, basta interpretare quelle esistenti, ma soprattutto non ha alcun senso paragonare, come spesso si fa in alcune proposte di legge, i blog e i forum, cioè i “siti informatici” a delle testate editoriali, cioè ai giornali, inserendo quindi a carico dei blogger obblighi propri e specifici dei giornali, come l’obbligo di avere un responsabile in caso di reati, oppure l’obbligo di procedere alla “rettifica” delle notizie contestate nelle 48 ore dalla comunicazione della contestazione. Questo obbligo è previsto dal recente disegno di legge in materia di intercettazioni, e comporta una sostanziale equiparazione di tutti i blogger, anche quelli che gestiscono in proprio un sito, ai direttori di giornali, con la differenza che un giornale ha i mezzi e le risorse per poter gestire le richieste di rettifica. Un blogger non ha spesso né la competenza né le risorse per gestire una rettifica, e secondo la legge, se non rettifica rischia salatissime multe. Ciò vuol dire che un blogger alla fine smetterà di scrivere su argomenti che lo espongono a richieste di rettifica, che possono essere anche strumentali (come le denuncie milionarie), o addirittura chiuderà il blog. Un blogger, per essere chiari, non potrà nemmeno più lasciare incustodito il suo sito oltre le 48 ore, perché la rettifica deve essere fatta nelle 48 ore dalla richiesta (e non dalla ricezione).

E per ultimo abbiamo il codice di autodisciplina della rete internet, presentato dal ministro Maroni.
Questo codice è interessante, perché nasce da lontano, precisamente dal momento in cui su Facebook apparirono i gruppi inneggianti all’insano gesto di Massimo Tartaglia. Da lì l’idea di una legge per regolamentare internet ed impedire che accadano in futuro cose simili (mentre nei paesi un po’ più democratici, come gli USA, si tollerano tranquillamente gruppi del tipo “I hate Obama”!), poi si è passati ad un codice di autoregolamentazione, anche se di “auto” non c’è traccia, in quanto il codice viene presentato dal governo e i provider dovranno accettarlo ed imporlo agli utenti della rete. In sostanza il codice imporrebbe ai fornitori di servizi in rete di inserire dei pulsanti su ogni sito per segnalare contenuti illeciti o contrari alla “dignità umana” (sic!), e il fornitore ha la possibilità di rimuovere quei contenuti autonomamente, senza dover attendere una valutazione della magistratura. Il codice non si limita ai contenuti illeciti ma parla anche di contenuti in violazione della dignità umana, in tal modo estendendo eccessivamente la discrezionalità di valutazione dei contenuti stessi.
Insomma, appare ovvio che un fornitore di servizi online sarà più propenso ad assecondare le richieste, anche se pretestuose, di un politico o di una grande azienda e rimuoverà qui contenuti che, pur non essendo illeciti, o essendo al limite, in qualche modo danno fastidio al potere politico-economico.
Sarà la fine dei blog!

Sulla crisi Thailandese

Appare complesso comprendere quanto sta accadendo a Bangkok.
* Una manifestazione di poche migliaia di persone, i “rossi”, in una città di 10 milioni di abitanti, che prosegue per mesi. In Europa come in Italia una cosa simile sarebbe repressa duramente in poche ore.
* Le autorità che, per mesi, accettano di fatto passivamente l’occupazione di un quartiere della capitale, con tutte le complicazioni economiche e internazionali (diplomatico-turistiche) del caso.
* Ed ora il tragico epilogo; le forze governative che intervengono duramente ponendo fine alla protesta.
Le domande principali che sovvengono sono almeno 4:
  1. chi sono i “rossi” ?
  2. perchè protestano?
  3. che cosa chiedono?
  4. perchè le forze governative li hanno lasciati manifestare per mesi?
1. I “rossi” sono i collaboratori più che i seguaci dell’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra, ricchissimo personaggio molto simile al nostro Berlusconi che, con l’aiuto determinante delle sue TV vinse le elezioni (ostentando una politica pseudo liberista ha vinto sulla coalizione nazionalista appoggiata dall’amatisssimo Re) e con la partecipazione dei suoi accoliti ha poi delapidato il Paese. Il colore rosso coreograficamente scelto da loro, non ha alcun legame con aspetti storico-tradizionali nè trae riferimento da quello internazionale del proletariato, ma si riferisce esclusivamente al gruppo di Thaksin, (come l’azzurro per forza italia) ed è in contrapposizione al giallo che storicamente è il colore della dinastia monarchica.

2. Protestano perchè successivamente alla caduta di Thaksin ognuno di loro ha perso poteri, privilegi ed affari dai quali si arricchivano a scapito della popolazione. Thaksin è caduto quando ha mostrato le sue vere intenzioni affaristiche, perpetrate al solo fine di arricchire sè stesso a scapito del Paese (e dei gruppi economici legati al Re). Accusato di una lunga trafila di gravi reati, in poco tempo è stato costretto a rifugiarsi all’estero (a Singapore, l’Hammamet della Thailandia) inseguito da un ordine di cattura. I Poteri forti dunque, assieme alla popolazione, lo hanno costretto alla fuga. Pochi mesi fa il Tribunale Thailandese ha chiuso il conto con Thaksin facendosi pure restituire il malloppo.

Former prime minister Thaksin Shinawatra the court’s verdict seizing 46 billion baht (circa 1 miliardo di €.) of his assets, after which the funds will be confiscated, Pongpanu Sawetrun, director-general of the Comptroller General’s Department, said.

3. Chiedono le dimissioni di questo governo ed il reintegro dei loro poteri, assieme a quelli di Thaksin. Di fatto sono alcune centinaia di ex cortigiani (personaggi come i nostri Verdini, La Russa, Lupi, Bondi, Gasparri, Cicchitto, Bertolaso, Formigoni ecc.) che pagano a giornata i loro simpatizzanti più stretti per dare vita alla manifestazione, promettendo loro privilegi e favori nel caso di vittoria.

4. Le forze governative hanno lasciato che poche migliaia di manifestanti protestassero per mesi, occupando pure un quartiere di Bangkok, perchè i “rossi” al loro interno contavano alcuni alti esponenti provenienti dalle Forze dell’Ordine in rapporti di parentela con uno dei responsabili della Difesa, andato in pensione alcuni giorni fa. Il suo successore è fermamente deciso a ristabilire l’ordine.

Le ultime notizie che ci giungono fanno sperare in un epilogo mediato della crisi. I manifestanti, vista la fine degli “appoggi” che vantavano nelle Forze dell’Ordine, sembrano ora rassegnati alla resa, non senza invocare l’aiuto del Re (amatissimo dalla stragrande maggioranza della popolazione) ma da loro fino ad ora osteggiato.

Berlusconi moralizzatore

silvio-berlusconi2-Ci siamo ragazzi.

Il nostro Premier adesso urla contro chi nel governo ha approfittato di lui; “tutti ladri!“.

E’ la nuova tattica scelta dal Cavaliere che nei prossimi giorni lancerà senz’altro a reti unificate, con solenni e accorati anatemi contro i ladri della Casta.  Il Capo ha infatti annunciato che d’ora in poi non difenderà più i cortigiani che rubano, quelli che grazie a lui hanno cuccato soldi e onori, e se si scoprirà che qualcuno ha rubato è pronto a licenziarli  in tronco e pure con ignominia, proprio come un padrone col maggiordomo che ruba l’argenteria.

Senonchè la lista di Anemone dei “cortigiani che rubano”,  tra i 400 beneficiari dei servigi elargiti (in cambio di appalti) presenta anche lo stesso Cavaliere e più volte:

“Il livello dei rapporti del costruttore del Salaria Sport Village gli ha consentito di entrare direttamente nei palazzi di Silvio Berlusconi. La lista di Anemone racconta, infatti, di quattro interventi a Palazzo Chigi. Una seconda nota parla di “Palazzo Grazioli” (la residenza privata romana del premier), senza ulteriori specifiche. Quindi, si legge di un intervento in un ufficio della presidenza del Consiglio ricavato in via XX Settembre, della sala stampa di Palazzo Chigi e della “sede di Forza Italia”.

Berlusconi dunque ha approfittato pure lui eccome dei servizi e dei benefici della cricca tangentara, e non poteva che essere così, vista la sua posizione di potere.  Ma tuttavia la domanda che viene spontanea è:  cosa ha concesso LUI in cambio, ai “cortigiani che rubano” del suo governo affinchè gli votassero le seguenti Leggi ad Personam? (vedi post sotto)

Il nostro aspirante Duce vediamo che ha scelto questa tattica quasi a preparare la campagna elettorale.

Si appresta a cavalcare lo schifo che monta nel Paese contro la grassazione permanente ed esponenziale delle cricche facendosi  a reti unificate di questo schifo l’unico paladino.

Infatti i suoi elettori lobotomizzati non chiedono altro,  da fedeli  sudditi felici di vederlo buttare a mare qualche scherano preso con troppe dita nella marmellata, e ormai impresentabile. Proprio come fece a suo tempo Mussolini con i gerarchi. Erano loro i colpevoli delle cose storte, lo tenevano all’oscuro e lo consigliavano male, per stupidità o per tradimento. L’Uomo della Provvidenza, invece, lavorava per il bene di tutti fino a notte fonda.

Questo “Uomo della Provvidenza”, iscritto alla P2 con tessera n°1816 codice E. 19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, per avviare la sua attività imprenditoriale nel campo dell’edilizia ottenne una fideiussione dalla Banca Rasini, indicata da Michele Sindona e in diversi documenti della magistratura come la principale banca usata dalla mafia nel nord Italia per il riciclaggio di denaro sporco e fra i cui clienti si potevano elencare Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pippo Calò.

Riguardo invece all’origine di alcuni finanziamenti, provenienti da conti svizzeri alla Fininvest negli anni 1975-1978, dalla fondazione all’articolazione in 22 holding (i quali ammontavano a 93,9 miliardi di lire dell’epoca) Berlusconi, interrogato in sede giudiziaria dal pubblico ministero Antonio Ingroia, si avvalse della facoltà di non rispondere; così, anche a causa delle leggi svizzere sul segreto bancario, non è stato possibile accedere alle identità dei possessori dei conti cifrati inerenti al flusso di capitali transitato all’epoca e in piena disponibilità della Fininvest.

In particolare alcune delle “piogge di liquidità” contestate a Berlusconi, dal quotidiano la Padania, sono:

  • Il 26 settembre 1968, la Edilnord Sas acquistò dal conte Bonzi l’intera area dove Berlusconi avrebbe edificato Milano 2. Berlusconi pagò il terreno 4.250 lire al metro quadro, per un totale di oltre tre miliardi di lire; inoltre nei mesi successivi l’imprenditore edificò un cantiere che costava circa 500 milioni al giorno. All’epoca Berlusconi aveva 32 anni e nessun patrimonio a disposizione sua o della famiglia da cui attingere questa liquidità.
  • Il 2 febbraio 1973, Berlusconi fondò la Italcantieri Srl. Il 18 luglio 1975 questa piccola impresa diventò una Spa con un aumento di capitale fino a 500 milioni di lire. In seguito, questa cifra aumentò fino a due miliardi e la società emise un prestito obbligazionario per altri due miliardi.
  • Il 22 maggio 1974, la Edilnord Centri Residenziali Sas aumentò il capitale sociale a 600 milioni di lire. Il 22 luglio 1975, la medesima società eseguì un altro aumento di capitale, passando a due miliardi di lire.
  • Nel 1974, Berlusconi acquisì il controllo dell’Immobiliare Romana Paltano, una società con 12 milioni di capitale. L’anno successivo, cambiata la ragione sociale in Cantieri Riuniti Milanesi Spa, il capitale di tale società venne aumentato a 500 milioni e nel 1977 ad un miliardo.
  • Il 15 settembre 1977, la società Edilnord Sas cedette alla neo-costituita Milano2 Spa tutto il costruito di Milano 2 più alcune aree ancora da edificare. In pochi giorni il capitale della Milano2 Spa passò da un milione a 500 milioni, per arrivare il 19 luglio 1978 a due miliardi.
  • La holding capogruppo Fininvest nacque in due tappe. Il 21 marzo 1975, a Roma, Berlusconi diede vita alla Fininvest Srl con 20 milioni di capitale; l’11 novembre dello stesso anno i 20 milioni divennero 2 miliardi. L’8 giugno 1978 Berlusconi fondò la Finanziaria di Investimento Srl, ancora con 20 milioni di capitale iniziale, ma già il 30 giugno 1978 (solo 22 giorni dopo la fondazione) quei 20 milioni aumentarono a 50 e il 7 dicembre raggiunsero quota 18 miliardi. In seguito le due società si fusero.
  • Il 4 maggio 1977, a Roma, Berlusconi fondò l’Immobiliare Idra con capitale di un milione di lire. L’anno successivo la società aumentò il capitale sociale a 900 milioni di lire.

Berlusconi,  per la Magistratura è oggetto di numerose inchieste e procedimenti penali:

Estinti per prescrizione:

Estinti per Amnistia:

Assoluzioni dubbie (corruzione testimoni e/o giudici, estinzione reato con leggi da lui volute )

Archiviati (insufficienza prove)

Procedimenti in corso

E’ questo il moralista, il Premier che è  pronto a far credere l’incredibile con l’uso sapiente e monopolizzato delle TV;  il capo indiscusso della Cricca, colui che più di ogni altro ha saccheggiato il Paese in realtà è  il nemico giurato dei “cortigiani che rubano”, i papponi che stanno spolpando l’Italia.

Strano però che contemporaneamente  voglia far approvare urgentemente  la legge che toglie ai magistrati la possibilità di scoprire i papponi di regime, e mandare in galera i giornalisti che intendano scrivere ancora qualcosa.

Questo è un pezzo di fascismo vero e proprio.

Chi non lo impedirà sarà peggio che un  servo o un cortigiano: sarà un complice.

Papa Ratzinger contro i fedeli

ratzingerViviamo momenti difficili.

Ed il prossimo futuro ci spaventa che questa drammatica crisi sembra non aver raggiunto il suo culmine, e che il peggio si appresti ad arrivare, specialmente nella nostra povera e martoriata Italia.

In questa terribile situazione, Papa Benedetto XVI si è recato a Fatima e nella preghiera ha incitato i fedeli a lottare per quelle che secondo lui sono “tra le più insidiose e pericolose sfide che oggi si pongono al bene comune”.

E subito viene da pensare alla disoccupazione, alle tante famiglie che  non riescono ad arrivare a fine mese, agli emarginati, ai servizi sociali che alla povera gente non offrono più la loro assistenza, al degrado morale ed etico della società, alla corruzione dilagante (secondo la Banca d’Italia pesa sugli italiani per oltre 60 miliardi/anno, contro 4,5 della tangentopoli del ’92) ed al vuoto di valori generalizzato ed indotto sempre più da tette, furbetti e culi trasmessi in mondovisione come unica essenza dell’essere odierno.

E invece no cari amici, tutti questi drammi elencati vanno benissimo a Ratzinger e per lui nulla di tutto questo è da cambiare. Il problema per lui è ben altro:

L’interruzione di gravidanza e le iniziative contrarie alla famiglia fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna sono le più insidiose e pericolose sfide che oggi si pongono al bene comune“.

Temo che questa affermazione segni l’irreversibile DECADENZA e IPOCRISIA di questa gerarchia ecclesiastica presieduta da Ratzinger.

I padani di domani

ITALY POLITICS Sempre più spesso mi fanno paura i giovani padani.

Bossi e chi con lui diede vita alla Lega, approfittando di un generalizzato vuoto di ideali e di progetti politici non fece altro che dare concretezza a quelle che fino ad allora erano state battute da bar;  “no al terùn” e  “ci vorrebbe un muro da Firenze in giù“.

Poi in tutti questi anni hanno soffiato sul fuoco esasperando ogni possibile concetto xenofobo e recentemente, aiutati in questa missione pure dalla più grave crisi economica della storia moderna, che è nella difficoltà che si acquiscono intolleranze e tensioni sociali.

Tuttavia gli uomini del Carroccio  come Maroni o Calderoli, o come i pragmatici ed equilibrati Cota e Zaia, sono nati e cresciuti in questa civiltà, sono stati educati con i nostri valori e pur esprimendo posizioni fortemente critiche,  su quei valori di civiltà basano la loro azione critica.

Altra cosa sono i giovani.

Chi ha meno di 20 anni ed è cresciuto nelle aree controllate dalla Lega, non ha nessun’altro riferimento civico oltre la xenofobia.

Giovani che raramente arrivano alla terza media e a scuola non scrivono la parola musulmani, ma mettono i puntini di sospensione perché non meritano di essere nominati. Vogliono la castrazione chimica e definiscono l’Unità d’Italia una “impresa di quattro briganti” come Irene, la più giovane dirigente politica del Carroccio.

Quando nel 21 si lasciò nascere il fascismo con le sue evidenti estremizzazioni antidemocratiche, chi gli diede spazio era convinto di poterlo sempre controllare.

Ma quando le menti cessano di pensare e, prive di cultura e conoscenza,  seguono ciecamente solo gli slogan enfatici sui quali si sono formati,  poi diviene arduo non solo il confronto ma anche immaginare che tipo di politica imporranno ai cittadini.