La fine dei blog

Secondo Reporters sans frontieresWestern democracies are not immune from the Net regulation trend”, cioè anche le democrazie occidentali non sono immuni dalla spiccata tendenza a regolamentare e controllare la rete. E ciò appare vero soprattutto in Italia dove, negli ultimi anni, praticamente da quando internet si è imposto come mezzo di comunicazione di massa, numerosi sono i progetti di legge o decreti che hanno cercato, in qualche modo, di porre il controllo della rete nelle mani del potere politico ed economico.

Il trend è ovvio, in un paese in cui la televisione la fa da padrone e ha la spiccata tendenza a indottrinare la gente, poiché come è noto la gran parte degli italiani recuperano le informazioni esclusivamente dalla televisione ed hanno una scarsa propensione a leggere, libri ma anche giornali (a parte quelli sportivi che notoriamente sono i più diffusi), la rete si è presentata come l’ospite inatteso che rovina la festa. Internet, nonostante i suoi ovvi difetti, è indiscutibilmente più democratico di quanto possa esserlo un giornale o la televisione, perché mentre per aprire un giornale od una televisione occorrono giornalisti iscritti all’albo (e qui giova ricordare che l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere un albo per i giornalisti), od anche editori (e qui non c’è bisogno di precisare che per essere editore ci vogliono tantissimi soldi e spesso anche l’appoggio politico), in rete un quisque de populo può aprire un blog, spendendo pochi euro o addirittura gratis, e, oibò, manifestare il suo pensiero ed addirittura, permettersi di criticare i politici, il governo, l’opposizione, insomma fare quello che in un paese democratico dovrebbe essere la norma.

L’Italia è un paese strano, dove determinati comportamenti sono apertamente scoraggiati, dove il cittadino viene visto, e di conseguenza trattato, come un bambino che deve essere accudito in tutto e per tutto, e il potere deve educarlo, e a seconda dei casi premiarlo o punirlo. Ovviamente tutto in conseguenza di ciò che il cittadino fa per il potere costituito. Se ne agevola la conservazione è un buon cittadino, se invece critica lo status quo, pretendendo addirittura comportamenti moralmente e giuridicamente ineccepibili da parte dei governanti, è considerato un pessimo cittadino, da osteggiare, da mettere da parte. I panni sporchi si lavano in famiglia, dove, sia chiaro, i cittadini non fanno parte della famiglia!
E questo non è cosa degli ultimi anni, ma, a vicende alterne, è una caratteristica propria della società italiana da parecchi anni a questa parte, dalla prima repubblica per intenderci.
In questo fosco quadro si è inserita prepotentemente internet, che ha la caratteristica di consentire al cittadino comune non solo di dire la propria opinione sulla gestione della cosa pubblica, ma anche di permettere la comunicazione “molti a molti”, rompendo finalmente il monopolio dell’informazione e spezzando la comunicazione di vecchio stampo “uno a molti”. Insomma, non è più il potere politico-economico a decidere cosa dire ai cittadini, quando dirlo e come dirlo, sopprimendo in modi più o meno autoritari le voci dissidenti, ma chiunque, con un po’ di intraprendenza può aprire un blog, mettersi la telecamera a spalla, e diventare blogger, informando spesso meglio dell’informazione classica.

Non è un voler incensare eccessivamente la rete, ma è un dato di fatto dimostrato più e più volte. In Iran è stata la rete, per lo più Twitter e YouTube, a portare le informazioni fuori dal paese e far conoscere la realtà dei fatti, decisamente diversa dal racconto di regime. I giornali e le TV recuperavano le notizie dalla rete!

Anche in Cina è la rete a far conoscere le voci dissidenti dal regime, e, guarda caso, questi sono i due paesi dove la rete è maggiormente controllata. In Cina esistono schiere di controllori che quotidianamente ispezionano ciò che viene immesso in rete. Consci che controllare e bloccare tutto è impossibile, hanno fatto un passo in avanti nelle tecniche di controllo dell’informazione realizzando delle squadre di “disinformatori di Stato”, persone che, nel momento in cui una voce dissidente sfugge al controllo, si occupano di “bombardare” il sito, il blog, il forum dove quella notizia fuori dal coro è apparsa, screditandola, insinuando il dubbio che sia falsa, che sia strumentalizzata, che sia posta per altri reconditi fini.
Ma, tutto ciò pone inequivocabilmente un problema, sia per i regimi autoritari, sia per le cosiddette democrazie, perché, come ricordava Reportes sans frontieres, nessun paese è immune all’afflato regolatorio. Il motivo è molto semplice, un potere porta sempre all’abuso, per cui una democrazia rimane tale solo fintantoché i contrappesi democratici riescono a mantenere l’equilibrio, ed impedire una deriva autoritaria.
Un regime deve avere il controllo delle informazioni, per poter convincere i cittadini che quello è il miglior regime possibile, che non vi sono dissidenti, perché il solo fatto che siano presenti delle voci dissonanti è una crepa nel muro, può portare a pensare che le cose non vanno bene come si racconta, può far capire, a chi non condivide lo status quo, che non è solo nei suoi dubbi, nelle sue critiche. La cosa peggiore che possa accadere ad un dissidente è sapere incontrovertibilmente che nessuno condivide le sue critiche, da cui la necessità di non far riunire le voci contrarie.
Ma, di contro, un blocco totale della rete internet non è né possibile né auspicabile, poiché ai giorni nostri buona parte dell’economia viaggia in rete. Il blocco di internet avrebbe come conseguenza un pesante contraccolpo sull’economia, ecco perché la Cina non persegue il fine di bloccare l’intera rete, e, almeno con alcuni limiti, anche l’Iran non prosegue su quella strada, anche se numerosi siti vengono bloccati ogni giorno. Del resto la rete cinese è sostanzialmente come un network chiuso, con accesso verso il resto del mondo controllato, in modo da verificare sia le notizie in entrata che quelle in uscita. Di recente il governo cinese inizia a diffondere notizie anche nella lingua inglese, così andando incontro alla sete di informazioni della gente, distogliendoli dalle informazioni che provengono da siti stranieri. Oltretutto un blocco indiscriminato paradossalmente porterebbe ad una protesta anche dei navigatori per ricreazione, e non solo dei cosiddetti “attivisti politici”.
Ecco perché la battaglia, ormai in corso in molti paesi, anche “democratici”, sul controllo delle rete, è più difficile di quanto si pensi, un controllo effettivo della rete è possibile solo sacrificando anche l’economia.

E qui giungiamo all’anomalia italiana, dove il potere economico e quello politico sono talmente intrecciati da non poter permettere una facile distinzione tra i due. L’Italia è un paese dove si incentivano gli aspirapolvere, i frigoriferi, ma non la banda larga, visto che gli 800 milioni già stanziati dal precedente governo sono ancora bloccati, e questo governo sostiene che non saranno sbloccati fin quando la crisi non finirà. Peccato che gli investimenti nel settore tecnologico e delle comunicazioni, secondo dati della Unione europea, potrebbe essere un formidabile volano per l’economia di un paese, tanto che tutti i paesi europei stanno facendo forti investimenti nel settore della connettività a banda larga. In Italia, invece, tutto tace, a parte qualche recenti annuncio ancora da verificare.
In Italia si investe sul digitale terrestre più che nella rete, e ciò è palesemente antistorico, visto che in tutti i paesi si assiste ad una convergenza dei media verso la rete. Un recente avvenimento televisivo ha dimostrato come la chiusura di una trasmissione non sia più così semplice come una volta, ci si sposta semplicemente in rete. Nonostante il pesante digital divide, un fardello che nessuno vuole sbrogliare, in Italia è comunque possibile fare a meno della televisione.
Il potere economico non vede di buon occhio questo stato di cose, perché troppo sbilanciato sulla televisione, il cui controllo semi-monopolistico comporta una convergenza di interessi, da un lato un lucro eccessivo sulle risorse pubblicitarie, che non riescono a trovare sbocchi ulteriori e diversi, in assenza di una offerta di qualità sia televisiva che in rete, e dall’altro un controllo dell’informazione tale da orientare pesantemente le valutazioni dell’elettorato. Anche se in realtà, più che di orientamento si dovrebbe parlare di disaffezione, la tendenza è quella di convincere i cittadini che non c’è possibilità di cambiare, che ogni scelta è inutile, e quindi far in modo che i votanti siano sempre meno. In fondo è più facile controllare 10 milioni di votanti che 60.
Ed è per questo che l’Italia è uno dei paesi a più bassa penetrazione della banda larga, è uno dei paesi che soffre di più il digital divide, addirittura la percentuale di connessioni alla rete in alcuni anni diminuisce invece di aumentare. Insomma, è il paese dei cellulari e del digitale terrestre, strumenti che soffrono del problema della comunicazione “uno a molti”, cioè chi invia contenuti sono solo pochi soggetti, ma non è un paese per internet, e questo, purtroppo, a scapito anche dello sviluppo economico. Si sacrifica la crescita del paese per poter mantenere lo status quo.

Ovviamente il potere è perfettamente conscio di ciò che è evidente dalle lezioni di Cina ed Iran, un controllo totale della rete non è possibile, e per quanto si voglia ritardare lo sviluppo di internet, non lo si potrà bloccare a lungo, pena la perdita dell’appoggio dell’economia reale che soffre per una assenza di sbocco valido in rete. A riprova di ciò ricordiamo le recenti esternazioni di esponenti di Confindustria, nella fattispecie il presidente di Assinform: “la sottovalutazione del ruolo decisivo che l’It gioca nel processi di crescita della competitività, produttività e sviluppo del Paese è il primo digital divide da superare”.
Quindi, il digital divide blocca lo sviluppo economico dell’Italia, questo è un dato di fatto, per cui prima o poi si dovrà procedere per eliminarlo, prima che si crei un gap tecnologico incolmabile con gli altri paesi.
Ma, prima di “aprire” la rete, probabilmente il potere economico-politico cercherà di porre il giusto guinzaglio ad internet, regolamentandolo a modo suo. Ecco che, da anni, si susseguono leggi e leggine con lo scopo più o meno recondito di mettere sotto controllo la rete, in particolare di porre le norme giuste per poter “spegnere” le voci fastidiose, contrarie, dissidenti.
E così abbiamo avuto la legge Levi, la cui parte telematica fu stralciata, poi l’emendamento D’Alia che venne abrogato, la legge Carlucci, e la proposta Barbareschi, e tante altre che si sono avvicendate, tutte accomunate da critiche dello stesso respiro, si trattava, secondo i detrattori, di leggi che vogliono colpire la libertà di manifestazione del pensiero in rete.

È palese che non è ammissibile una rete anarchica dove tutto è possibile, ma questo argomento, spesso utilizzato da politici, non ha alcun pregio in quanto le medesime leggi che regolano il mondo reale si applicano anche a quello virtuale, per cui una diffamazione è tale anche in rete, anzi in rete è “aggravata”. E così è per tutti i reati. Non c’è alcun bisogno di nuove regole, di nuove norme, basta interpretare quelle esistenti, ma soprattutto non ha alcun senso paragonare, come spesso si fa in alcune proposte di legge, i blog e i forum, cioè i “siti informatici” a delle testate editoriali, cioè ai giornali, inserendo quindi a carico dei blogger obblighi propri e specifici dei giornali, come l’obbligo di avere un responsabile in caso di reati, oppure l’obbligo di procedere alla “rettifica” delle notizie contestate nelle 48 ore dalla comunicazione della contestazione. Questo obbligo è previsto dal recente disegno di legge in materia di intercettazioni, e comporta una sostanziale equiparazione di tutti i blogger, anche quelli che gestiscono in proprio un sito, ai direttori di giornali, con la differenza che un giornale ha i mezzi e le risorse per poter gestire le richieste di rettifica. Un blogger non ha spesso né la competenza né le risorse per gestire una rettifica, e secondo la legge, se non rettifica rischia salatissime multe. Ciò vuol dire che un blogger alla fine smetterà di scrivere su argomenti che lo espongono a richieste di rettifica, che possono essere anche strumentali (come le denuncie milionarie), o addirittura chiuderà il blog. Un blogger, per essere chiari, non potrà nemmeno più lasciare incustodito il suo sito oltre le 48 ore, perché la rettifica deve essere fatta nelle 48 ore dalla richiesta (e non dalla ricezione).

E per ultimo abbiamo il codice di autodisciplina della rete internet, presentato dal ministro Maroni.
Questo codice è interessante, perché nasce da lontano, precisamente dal momento in cui su Facebook apparirono i gruppi inneggianti all’insano gesto di Massimo Tartaglia. Da lì l’idea di una legge per regolamentare internet ed impedire che accadano in futuro cose simili (mentre nei paesi un po’ più democratici, come gli USA, si tollerano tranquillamente gruppi del tipo “I hate Obama”!), poi si è passati ad un codice di autoregolamentazione, anche se di “auto” non c’è traccia, in quanto il codice viene presentato dal governo e i provider dovranno accettarlo ed imporlo agli utenti della rete. In sostanza il codice imporrebbe ai fornitori di servizi in rete di inserire dei pulsanti su ogni sito per segnalare contenuti illeciti o contrari alla “dignità umana” (sic!), e il fornitore ha la possibilità di rimuovere quei contenuti autonomamente, senza dover attendere una valutazione della magistratura. Il codice non si limita ai contenuti illeciti ma parla anche di contenuti in violazione della dignità umana, in tal modo estendendo eccessivamente la discrezionalità di valutazione dei contenuti stessi.
Insomma, appare ovvio che un fornitore di servizi online sarà più propenso ad assecondare le richieste, anche se pretestuose, di un politico o di una grande azienda e rimuoverà qui contenuti che, pur non essendo illeciti, o essendo al limite, in qualche modo danno fastidio al potere politico-economico.
Sarà la fine dei blog!


Commenti
Sono stati scritti 3 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrez - 19 maggio 2010

    Innanzitutto complimenti per questo post caro Bruno.  In questa lucida e dettagliata analisi ci ricordi  (tra l’altro)  i motivi principali che ci hanno spinto a dar vita a questo blog e a tenerlo aggiornato.

    I blog ed i siti informativi sono senz’altro a rischio e, se il berlusconismo non verrà fermato,  lo saranno sempre di più.

    Ma non molliamo.

    “Consci che controllare e bloccare tutto è impossibile, hanno fatto un passo in avanti nelle tecniche di controllo dell’informazione realizzando delle squadre di “disinformatori di Stato”, persone che, nel momento in cui una voce dissidente sfugge al controllo, si occupano di “bombardare” il sito, il blog, il forum dove quella notizia fuori dal coro è apparsa, screditandola, insinuando il dubbio che sia falsa, che sia strumentalizzata, che sia posta per altri reconditi fini.”

    Squadre di “disinformatori di Stato” operano da tempo in Italia; in Facebook girano liste con i nick di questi individui  che letteralmente  si occupano di “bombardare” siti e blog, il forum dove quella notizia fuori dal coro è apparsa, screditandola, insinuando il dubbio che sia falsa, che sia strumentalizzata, che sia posta per altri reconditi fini.

    Uno di loro è arrivato anche qui nel nostro Blog; “Sandokan Che Guevara” ma non ha potuto fare un granchè; riconosciuto e bannato in un attimo.

    Loro hanno gli strumenti per fermare e bloccare i siti, ma i blogger hanno la conoscenza e le possibilità di continuare.

    E’ possibile registrare siti dall’estero con email account anonimi, pagare con paypal-account anonimo la registrazione e un hosting ad esempio in Romania che usa un server americano.

    E ne ho alcuni già pronti.  ;Z

    E se dovessero arrivare ad inserire filtri nei motori di ricerca, sappiamo bene come istruire all’uso dei proxy per saltare detti filtri.

    Non ci fermeranno mai in rete. :mrgreen:

     

    Lascia un Commento
  2. avatarcarmengueye - 19 maggio 2010

    Sapessi come fare anch’io! Tuttavia, anche nelle peggiori condizioni date, si sviluppano forme di comunicazioni, moderne “radio Londra”. La libertà deve anche essere vista come condizione interiore, e direi che davanti a questo il peggior dittatore ha ancora più paura.

    Lascia un Commento
  3. avatarAndrez - 22 maggio 2010

    In chat con il Dalai Lama – beffata la censura di Pechino

    Dialogo su Twitter con i cinesi. Grazie a Internet e al dissidente Wang Lixiong un’ora di conversazione libera a distanza. Aggirato lo sbarramento degli hacker.

    …il Dalai Lama, Google e Internet. I tre grandi nemici del potere cinese, per poco più di un’ora, hanno unito le forze per affermare che informazione e tecnologia, nel nome di democrazia e libertà di espressione, possono ormai superare anche la più sofisticata delle censure.

    …in rete non ci fermeranno mai  ;Z

    Lascia un Commento

Devi essere Registrato per poter laciare un commento!.