Omofobia nel PD

omofobiaDa eterosessuale, l’immagine di due uomini che si baciano mi provoca una sensazione sgradevole.

Le loro lingue avvolte e la saliva scambiata come l’evidente passione che scaturisce da quel gesto mi trasmettono disgusto.

Ma sono emozioni mie, prodotte da geni tutti miei non loro, la reazione a gusti tutti miei ed evidentemente differenti, così come mi si riempirebbe la bocca di saliva ed il corpo di brividi di fronte a qualcuno che avidamente si lecchi un limone, o come a stento trattengo la nausea di fronte ai Thai quando mangiano i vermi lessi.  Azioni che non posso certo considerare “provocazioni“, ma solo abitudini e gusti differenti dai miei.

Sono persone che hanno gusti, abitudini e culture differenti dai miei. Tutto lì.

Ho amici e collaboratori omosessuali con i quali vivo esperienze di svago e lavoro. Sanno che ho abitudini sessuali diverse dalle loro e le rispettano, anche evitando di mostrarmi le loro lingue avvolte in quelle dei loro amanti, come io rispetto le loro.

Se avessi una qualche forma di omosessualità repressa o comunque non del tutto accettata, temo che potrebbe provocarmi un forte turbamento la visione delle effusioni tra due uomini; la palese esternazione di ciò che in me non ho saputo accettare per la morale comune e che ho nascosto a me stesso con vergogna.

fatladyChi invece può vivere liberamente la propria sessualità e le proprie abitudini sessuali, senza falsi moralismi e dando pieno spazio ad ogni possibile fantasia, non viene certo turbato dalle differenti abitudini altrui; se ha gusti molto diversi potrà provare una non attrazione o un forte stupore, certo non maggiore di quello del micetto della vignetta accanto. :mrgreen:

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Ma scopriamo oggi che per il PD i baci omosessuali non sono tollerati.

Il Pd di Udine bolla la locale campagna anti-omofobia dell’Arcigay come ‘provocatoria per la sensibilità dei cittadini‘.  E il presidente di Arcigay Paolo Patanè denuncia i friulani del Partito democratico, chiedendo un immediato intervento di Pierluigi Bersani

Il bacio omo sui manifesti appesi in Friuli  ha scatenato la protesta della locale destra, al punto che ha pensato bene di scendere in strada di notte per coprirli, ed una successiva mozione di censura proprio del PD e del Consiglio Comunale che attribuisce alla campagna contro l’omofobia una “dimensione provocatoria” perché “turberebbe la sensibilità di molti cittadini”.
L’ArciGay scrive così a Bersani:

“Alla vigilia del Gay Pride a Udine è accaduto qualcosa che non potremo dimenticare: è stata approvata a larga maggioranza dal partito di cui sei segretario una mozione contro la campagna anti-omofobia diffusa da Arcigay nella città. I manifesti, che ritraggono due famiglie gay che si scambiano un bacio sulle labbra tra vino e prodotti tipici con lo slogan “Civiltà, prodotto tipico friulano”, erano già stati oggetto di censura, imbrattamenti, cancellazioni e atti di vandalismo da parte de “La Destra”. A poche settimane dalla sentenza della Consulta che ha definito espressamente la dignità costituzionale delle relazioni omosessuali, la scelta fatta dal Pd di Udine è agghiacciante. E’ fuori dalla Costituzione e squalifica l’intero partito, collocandolo accanto alle forze più becere e retrive e mostrandolo assolutamente incapace di distinguere tra le norme di diritto civile e quelle di diritto canonico. Ne siamo francamente scandalizzati e disgustati. Non possono esistere mezze misure di fronte ad una manifestazione di indecenza civile che rende ipocrita e finta qualunque dichiarazione di contrasto alle discriminazioni”.

Questo appare dunque come l’ennesimo scontro interno ai democratici per la loro politica di non prendere posizioni nette e definitive su molte materie, dal nucleare alla privatizzazione dell’acqua, dalla sanità ai diritti civili,  e che in questo caso ha portato all’addio del leader storico dell’Arcigay Franco Grillini che ha sbattuto la porta e si è candidato (poi eletto) in Emilia Romagna fra le file di Antonio Di Pietro. Ora l’Arcigay si appella al leader del partito.

Qualsiasi cosa proviate di fronte ad un bacio omosessuale, … è giusto chiederne la censura anche quando appare esso stesso intollerante dei nostri differenti gusti?

I giovani fuori dalla cultura

tronisti_&_VelineUn recente rapporto ISTAT ci mostra un preoccupante e fosco quadro di giovanissimi e ragazzi che sono senza libri nè pc, in balia di una cruda esclusione sociale. Oltre 1,7 milioni tra i 15 e i 29 anni risulta non usare il computer, il 43,6% non legge nè libri nè quotidiani.
Sono il risultato del modello tronista/velina e tifoso da “curva sud”, o nella migliore delle ipotesi del “trota”, pur sempre Consigliere Regionale.
I figli di laureati e professionisti appaiono avvantaggiati in questo dramma sociale, ma questa scuola non aiuta assolutamente: rapportati alle altre nazioni europeee i livelli di conoscenza e preparazione degli studenti italiani appaiono bassissimi.

Non è dunque vero che “i giovani” sono sempre al computer, che sono dei maghi della rete e che passano il loro tempo tra social e blog, chat e siti vari. Questo se mai è vero per una ristretta minoranza.

Il Rapporto Istat dimostra che nel 2009 “sono oltre 1,7 milioni i giovani di 15-29 anni che dichiarano di non aver usato il Pc nei dodici mesi precedenti l’intervista (18,4 per cento)”. E non è certo perché si tratta di elementi tradizionali che non accettano le nuove tecnologie preferendo di informarsi ed istruirsi leggendo libri e quotidiani; 4 ragazzi su 10 non leggono propio nulla.

“La quota di chi non ha letto nemmeno un libro nel tempo libero nei dodici mesi precedenti l’intervista è pari al 43,6 per cento”.

Di fatto legge solo chi i libri li ha già in casa e il computer lo usa chi ha genitori che lo possiedono e sono in grado di usarlo.
Appare dunque dal rapporto una situazione di diseguaglianza strutturale che questa scuola non fa altro che confermare, perché presenta gravissime carenze tali da riflettersi sulla preparazione degli studenti:

“I risultati degli studenti italiani appaiono particolarmente preoccupanti, e collocano il nostro Paese sempre al di sotto dei valori medi di Ocse”.

Rileva l’Istat che l’introduzione dell’obbligo scolastico ha “annullato le differenze sociali nel conseguimento della licenza media, mentre nel conseguimento dei titoli superiori continua a pesare una forte disuguaglianza legata alla classe sociale della famiglia di provenienza degli studenti, anche considerando le differenti generazioni“.

L’Istat arriva a constatare (con dati precisi) che i figli delle famiglie più ricche hanno voti più alti:

“I risultati scolastici sono correlati all’estrazione sociale della famiglia di origine. Quelli meno soddisfacenti, infatti, si riscontrano più spesso nelle famiglie operaie (36,5 per cento) e in quelle in cui la persona di riferimento è un lavoratore in proprio (42,5 per cento)”.

I giovani appaiono dunque in una situazione disperata, dove né la scuola, né le nuove tecnologie possono aiutarli ad abbattere le barriere sociali, crearsi un minimo di peparazione e rompere il meccanismo di una società che appare loro bloccata.

“Non usa il pc il 4,8 per cento di figli nel caso in cui la persona di riferimento è un dirigente, imprenditore o libero professionista, mentre la quota sale al 18,6 per cento per i figli che vivono nelle famiglie operaie”.

Tendenzialmente nelle scuole il computer non c’è, dove c’era è spesso eliminato con pretesti vari e, dove sono ancora presenti, appaiono di fatto inutilizzabili, macchine vecchie di un decennio con programmi oramai da preistoria:

“Anche rispetto all’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici – conclude l’Istat – la scuola risulta incapace di alfabetizzare i ragazzi che non hanno avuto opportunità in famiglia o con gli amici”.

Per quanto riguarda la lettura di libri e quotidiani la situazione non migliora: legge solo chi ha genitori che leggono e che tengono libri in casa.
Il 41,3 per cento di lettori è tra i figli di 15-29 anni che hanno al massimo 50 libri in casa, ma la percentuale cresce al 73,4 per cento tra i figli di persone con più di 200 libri in casa.

“Anche il livello di istruzione dei genitori influenza la propensione alla lettura dei figli: la quota dei figli che ha letto almeno un libro è pari al 55,1 per cento e cresce fino al 72,7, qualora almeno un genitore risulti laureato. Il valore si dimezza tra i figli con genitori che possiedono al massimo la licenza elementare”.

Guardando i dati a seconda della professione dei genitori appare che:

“Legge il 70,7 per cento dei ragazzi che vivono in famiglie nelle quali il capofamiglia è dirigente, imprenditore o libero professionista, mentre nelle familie operaie la quota di figli lettori si attesta al 45,7 per cento”.

La scuola italiana non mostra nessuna intenzione di appianare queste differenze d’origine ma anzi casomai di accentuarle, aumentando costantemente le sue gravi carenze strutturali. L’Istat le esamina in modo impietoso, anche alla luce del confronto internazionale. La scuola italiana:

“si distingue negativamente nel contesto europeo per la quota di early school leavers (giovani di 18-24 anni che hanno abbandonato gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola superiore) pari al 19,2 per cento nel 2009, oltre quattro punti percentuali in più della media Ue e nove punti al di sopra del valore fissato dalla strategia di Lisbona”.

L’abbandono scolastico ha percentuali molto più alte nel Sud.

La scuola italiana sta provvedendo a rendere sempre più poveri anche i contenuti dell’insegnamento:

“secondo l’indagine Pisa promossa dall’Ocse, il punteggio medio degli studenti italiani 15enni nelle competenze in lettura è inferiore di 23 punti alla media internazionale (469 contro 492)”.

Gli studenti italiani risultano insomma sempre inferiori al valori medi Ocse anche per le competenze in matematica e scienze. Risultiamo anche molto indietro rispetto agli altri Paesi anche per numero di laureati:

“Nel 2007 hanno conseguito un titolo terziario circa 60 persone (di qualsiasi età) ogni mille giovani in età 20-29 anni, a fronte di un valore pari a 77 in Francia e valori superiori a 80 nel Regno Unito e in Danimarca”.

La stessa problematica di incultura ed impreparazione prosegue anche per gli adulti:

“L’Italia registra uno dei tassi di partecipazione alla formazione continua degli adulti tra i più bassi in Europa: nel corso del 2005 soltanto il 22,2 per cento dei 25-64enni ha effettuato almeno un’attività di studio e/o di formazione, contro una media europea del 36 per cento”.

Pochissime le imprese che svolgono formazione: lo fa solo il 25,6 per cento delle aziende con 10-19 addetti, ma il 96,7 per cento di quelle con mille addetti e più (che però in Italia esistono in numero limitatissimo).

Tendenza all’incultura che viene confermata anche per l’età adulta:

“Nel 2003 quasi metà dei 16-65enni consegue il punteggio più basso nelle capacità letterarie e circa il 70 per cento presenta allo stesso tempo anche bassi livelli di comptenza numerica e documentaria”.

Ma forse non è solo per questo che il 20,2 per cento degli italiani è sottoinquadrato, percentuale che sale molto tra i lavoratori atipici. Sono sottoinquadrati infatti il 46,9 per cento degli occupati a termine, il 40,1 per cento di quelli in part time e il 30,5 per cento dei lavoratori con rapporti di collaborazione.

Vediamo alla fine di questa analisi questo specchietto sulla composizione età/cultura dell’elettore PDL:
ETA’:
18-29 anni (17,1%)
30-39 anni (13,5%)
40-49 anni (17,8%)
50-59 anni (15,8%)
60 e oltre (35,8%)

TITOLO DI STUDIO:
Senza titolo/licenza elementare (52,9%)
Licenza media inferiore (25,4%)
Diploma di media superiore (18,5%)
Laurea (3,2%)

Oltra la metà è ultracinquantenne ed è semianalfabeta.
Gente a cui poter raccontare di tutto con tecniche da teleimbonitore, certi di poter essere creduti.

E’ sfacciatamente evidente in questo rapporto Istat la politica di un Premier e di una Casta/Cricca che hanno bisogno di ignoranti buzzurri sia per sopravvivere che per continuare a fare i loro affari indisturbati.

Finanziaria con "sacrifici molto duri e pesanti"

berlusca-tremontiPassa la manovra finanziaria che colpirà i dipendenti statali e i lavoratori in genere, i pensionati e gli invalidi “veri”, gli Enti Locali (che saranno costretti a scaricare i costi sui cittadini, prendendosi loro la colpa),  oltre naturalmente l’Italia tutta che dovrà subire l’ennesimo condono edilizio.

Ma Tremonti dopo un aspro scontro nel Governo ritiene di essere “ad un tornante storico”.

E Berlusconi scompare, che quando si tratta di dare cattive notizie sta a casa, perchè fa brutta impressione e cala nei sondaggi. Manda Letta a dichiarare i “duri sacrifici per non finire come la Grecia”.

Una manovra economica dunque da 24 miliardi di euro in due anni.
In sostanza, la manovra che Tremonti ha di fatto imposto, ripristina molti dei provvedimenti fiscali di Visco e del Governo Prodi soppressi da Berlusconi al suo insediamento.

Alla fine della giornata Silvio Berlusconi è comunque esausto, esasperato per il braccio di ferro sostenuto con Tremonti. “In questi giorni Giulio mi ha creato un sacco di problemi, si è imputato su tutto, non ha voluto sentire ragioni. Ha minacciato le dimissioni ogni due per tre, ha litigato con tutti dando l’impressione di pensare solo ai cavoli suoi”.

Ed ora il Presidente del Consiglio si prepara a farci credere, a reti unificate, che i sacrifici non ci saranno, che la manovra sarà indolore e che intende “mettere a dieta lo Stato” che quindi costerà di meno ai cittadini.

Cominci intanto il teleimbonitore (ad esempio) a spiegarci cosa intende fare per le 650.000 auto blu concesse alla Casta, (e pagate da noi) contro le 50-60.000 di Francia, Germania, Inghilterra ecc., oppure, sempre ad esempio, ci dica il pifferaio magico se intende ancora trasportare con gli aerei di Stato (spese quadruplicate dal Governo Prodi) le sue puttane e menestrelli per le sue orge in Sardegna.
Per ora apprendiamo solo che il Cavaliere ha preteso e ottenuto da Tremonti l’eliminazione dei tagli ai fondi per palazzo Chigi e sul controllo preventivo sulla Protezione civile. Due misure che avrebbero di fatto trasformato Berlusconi in un premier senza portafoglio. “Sia chiaro – ha tuonato il Cavaliere – che io non mi faccio commissariare da nessuno”.

LUI, è quindi esentato da ogni forma di sacrificio. Altro che storie.

Per chi lavora il Senato?

legge bavaglioLa domanda potrebbe sembrare strana, ma non troppo se ci si sofferma su alcuni particolari. Negli ultimi tempi sia i rappresentanti della Camera che del Senato hanno ridotto notevolmente il tempo dedicato al lavoro, generalmente sono occupati per 2 al massimo 3 giorni la settimana (la media statistica è di 9 ore settimanali!), al punto che qualche tempo fa il presidente della Camera pensò bene di chiuderla per qualche giorno non avendo, i deputati, nulla da fare. E questo, non dimentichiamolo, a fronte di uno stipendio di 15-17 mila euro al mese, oltre i vari benefit, senza trascurare che per un parlamentare è sufficiente mezza legislatura per ottenere una pensione di tutto rispetto.
Però, stranamente, negli ultimi giorni al Senato si stanno dando fin troppo da fare, al punto che il presidente del Senato ha fissato addirittura delle sedute notturne per consentire l’approvazione di leggi. Qualcuno direbbe: “era ora!”. Ma di quali leggi esattamente stiamo parlando ?

Di recente si parla molto di “cricche”, di indagini su appalti, di corruzione, ovviamente si tratta di “casi singoli” come ci ricorda il nostro presidente del Consiglio, diciamo tantissimi casi singoli al punto da realizzare un “sistema gelatinoso”, come è stato definito da qualcuno, col quale alcuni soliti noti ottenevano favori di vario tipo, alcuni ricevevano appalti, altri case, altri ancora favori sessuali, e così via. Abbiamo quindi una inchiesta sull’acquisto della casa del ministro Scajola, indagini sui favori sessuali coi quali, sempre secondo la magistratura, sarebbe stato ripagato il sottosegretario Bertolaso, poi ulteriori inchieste sui lavori del G8 in Sardegna e per la ricostruzione a L’Aquila, con la famosa intercettazione a carico di Piscicelli e Gagliardi che “ridevano” mentre un terremoto distruggeva L’Aquila.
E alla fine il conto di tutto ciò viene girato sempre ai cittadini, che nei prossimi mesi saranno chiamati a pagare una manovra correttiva dell’ordine di 25 miliardi di euro, anche se qualcuno vocifera che i miliardi dovrebbero essere molti di più.

Allora, forse stanno cercando di approvare in tempi brevi il disegno di legge anti corruzione, qualche ingenuo potrebbe pensare. Purtroppo non è così, il lavoro a tappe forzate del Senato riguarda il disegno di legge sulle intercettazioni (potremmo definirlo anti intercettazioni) che ridisegna tutta la normativa sulle intercettazioni minando sia le indagini giudiziarie che la possibilità, da parte di giornali e televisioni, di parlare di queste indagini. Quindi, da una parte si impongono notevoli limitazioni alle intercettazioni giudiziarie, dall’altra si puniscono giornalisti ed editori che pubblicano tali intercettazioni, al punto che non saranno pubblicabili le intercettazioni fino all’inizio del processo, quindi per anni e anni vista la lentezza della giustizia italiana. E, si badi bene, in realtà le intercettazioni sono già pubbliche ben prima che si abbia un rinvio a giudizio, cioè sono pubbliche nel momento in cui il magistrato le deposita per consentire alle parti (compreso l’indagato) di prenderne cognizione.
Il disegno di legge sulle intercettazioni addirittura impedisce di pubblicare nei libri parti di atti giudiziari o testi di intercettazioni telefoniche, anche se non coperti più da segreto istruttorio, così il giornalismo di inchiesta viene bloccato. Pensiamo al libro che ha disegnato un possibile scenario sulla morte di Enrico Mattei, si tratta di un caso di decenni fa, ma poiché non si è mai avuto una verità giudiziaria (il procedimento si è chiuso con archiviazione), cioè non si è mai giunti a processo, gli atti di indagine non possono essere raccontati, secondo il nuovo testo di legge.

Ogni accadimento umano offre varie possibili interpretazioni, potremmo dire anche varie forme di verità, una giudiziaria, che deve essere il più possibile certa e verificata per portare ad una condanna, ma anche una umana, e raccontare i retroscena, l’ambiente nel quale si è svolto un evento, i personaggi che si sono mossi in quell’ambito, è un modo per far conoscere ai cittadini una parte della verità, ed eventualmente consentire loro un giudizio morale ed etico.
Per molte vicende giudiziarie non si sono mai raggiunti dei colpevoli, come per la strage di Piazza Fontana, eppure di quegli eventi si sa molto grazie alle inchieste giornalistiche spesso basate su atti giudiziari, ma con il nuovo disegno di legge non si potrebbe raccontare che ben poco.
E così, con la nuova legge non si potrebbero raccontare le registrazioni della D’Addario nella villa di Berlusconi, non si potrebbero raccontare le intercettazioni di Berlusconi col fin troppo disponibile dirigente della Rai Saccà, tutti eventi che raccontano un modo di essere, una spaccato della politica italiana, anche se poi non costituiscono, forse, un vero e proprio reato.

Invece di preoccuparsi del disegno di legge anti-intecettazioni, il Senato potrebbe invece preoccuparsi di scrivere leggi per impedire la corruzione, come hanno fatto di recente in Spagna, o come fanno in altri paesi. Dopo il fallimento della Enron negli Usa si inasprirono le pene per i reati societari, mentre in Italia si è ben pensato di ridurre dette pene in concomitanza con il fallimento della Parlamat. Dopo una ondata di atti corruttivi in Spagna si è scritta una nuova legge contro la corruzione. In Italia, invece, si pensa alle intercettazioni, per limitarle però, cioè si vuole spuntare le armi dei magistrati che combattono la corruzione.
Eppure ci sarebbe anche un testo di legge sulla corruzione, fermo dal 2009, che andrebbe approvato, quando meno perché il Parlamento possa mostrare ai cittadini che si preoccupa di questi avvenimenti scandalosi. Ebbene, a ben vedere, quel provvedimento non avrebbe comunque un grosso impatto sulla situazione attuale perché, come argomentato egregiamente da Piercamillo Davigo, il problema è che difficilmente si riescono a prendere coloro che violano le norme che regolano gli appalti, coloro che vendono commesse contro favori o tangenti, ecc… Davigo sostiene che solo l’l% di questi reati viene realmente punito, prima di tutto perché non c’è nessun interesse a denunciare questo tipo di reati (se le parti sono d’accordo solo con intercettazioni si riesce a scoprire il reato), ma anche perché molto spesso non c’è un vero e proprio reato, o quantomeno non si riesce a dimostrare che quella dazione (tangente) è ricollegata ad un determinato favore politico.
Il punto è che le norme italiane non sono aggiornate. Pare strano, in quella che una volta era la culla del diritto, ma la verità è che noi siamo molto indietro rispetto agli altri paesi in materia di leggi anticorruzione.

Tanto per fare qualche esempio, il reato di auto riciclaggio non è presente nel nostro paese, pur sollecitato dal ministro Tremonti nel 2008, ed è quel reato che punisce il reimpiego di fondi frutto di altro reato. Per cui chi riutilizza soldi dovuti a tangenti o ad evasione fiscale non commette reato in Italia, mentre lo commette negli Usa, in Francia, addirittura in Svizzera.
Poi ci sarebbe il reato di “corruzione tra privati”, e il “traffico di influenza” (trading in influence), che caratterizzano proprio quei comportamenti che le recenti inchieste giudiziarie stanno portando a galla. In particolare il reato di traffico di influenze illecite punisce colui il quale prende soldi per far ottenere a terzi dei favori da un politico, cioè funge da intermediario. Infatti, mentre la Tangentopoli degli anni ’90 era caratterizzata dalle dazioni che passavano direttamente dagli imprenditori ai politici, oggi tutto ciò non accade più, ci sono vari intermediari che si frappongono così il politico, che commette l’atto contrario ai doveri di ufficio, non prende direttamente soldi, e spesso viene ricambiato con favori, case (come i magistrati ipotizzano nell’inchiesta nella quale è stato implicato Scajola), posto per un parente, favori sessuali (come i magistrati ipotizzano per Bertolaso)…., e l’imprenditore non versa direttamente i soldi al politico. Quindi diventa difficile, se non impossibile, dimostrare che il tale pagamento è ricollegabile a quel favore. Un esempio lo possiamo vedere nella sentenza di assoluzione del giudice Renato Squillante, dove la Cassazione, nel 2006, assolveva il giudice del caso Imi-Sir solo perché “il caso in esame è inquadrarle nel ‘traffico di influenza’, di cui parlano la Convenzione penale europea del 1999 sulla corruzione non ancora ratificata nel nostro ordinamento”.
Infatti, il reato di traffico di influenze illecite è previsto nella convenzione di Strasburgo del 1999 (firmata anche dall’Italia ma mai ratificata), e dalla convenzione di Merida del 2003. Mentre nel resto d’Europa questi comportamenti costituiscono reato, in Italia non sono punibili perché da ben 11 anni quelle convenzioni non vengono ratificate dal nostro paese! E di questi reati non c’è nemmeno alcuna traccia nel recente disegno di legge anticorruzione presentato dal governo.

Questo “sistema gelatinoso”, quindi, spesso non costituisce reato, o comunque è difficile provare il reato di corruzione se non si riesce a ricollegare il favore alla dazione, anche in presenza di prove certe che ci sia stato un lievitare dei costi e quindi la concorrenza delle imprese sia stata falsata, e  i contribuenti siano stati derubati.

Di tutto ciò non c’è nulla nella recente iperattività del Senato, tutto impegnato ad approvare un progetto di legge che non farà altro che impedire di raccontare fatti che stanno portando l’Italia a dover eseguire una nuova manovra correttiva (nonostante Tremonti appena un mese fa avesse dichiarato che non ce ne sarebbe stato bisogno).
Per dirla in breve, se l’introduzione del Patriot Act americano ha provocato parte della crisi finanziaria Usa, determinando l’uscita dal paese dei capitali frutto di riciclaggio per convergere verso lidi più favorevoli come l’Europa (i narcotrafficanti colombiani sono stati costretti a cercare nuove rotte, finendo per stringere alleanze con la ‘ndrangheta calabrese, al punto che tra il 2001 e il 2004 il riciclaggio di denaro in Italia aumenta di oltre il 70%), adesso pare che l’Europa stia cercando di porre un limite a ciò, avviando comportamenti virtuosi, ma l’Italia sembra non avere l’intenzione di seguire il resto dell’Europa, ponendosi in controtendenza e mantenendo i meccanismi che in qualche modo favoriscono il riciclaggio dei soldi frutto di reato.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, l’economia reale si sta lentamente arrestando a favore di quella sommersa ed illegale che man mano prende il sopravvento. Prevedere una conclusione è difficile, anche se si potrebbe guardare alla vicina Inghilterra che per un certo periodo (dopo il Patriot Act appunto) cercò di diventare una sorta di paradiso fiscale, attraendo capitali, ma proprio per questo l’Inghilterra è uno dei paesi che più degli altri ha avvertito la crisi mondiale.

Adesso abbiamo la Corte dei Conti che evidenzia l’enorme costo della corruzione italiana, circa 60 miliardi di euro l’anno (come 2 finanziarie), Transparency International che ci pone, nel suo rapporto sulla corruzione, poco sopra la Malesia, precisando come la corruzione comporti sempre una condizione di vita peggiorativa per i cittadini. Secondo il Worldwide governance indicators l’Italia è assieme alla Grecia (e abbiamo visto cosa è accaduto in Grecia) in coda ai Paesi UE in quanto a lotta alla corruzione, la Banca Mondiale sostiene che la lotta alla corruzione in Italia è in discesa, tanto che in fatto di trasparenza è stata superata da paesi dell’Europa dell’Est quali Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Repubblica Ceca, l’Alto commissario anticorruzione qualche tempo fa scrisse: “chiusa la stagione di Mani pulite non si è proceduto alle necessarie riforme strutturali che agendo sulla prevenzione avrebbero potuto arginare il fenomeno, intervenendo sulle opportunità di corruzione”, per cui se i reati di concussione e corruzione sembrano in diminuzione nelle statistiche, il fenomeno in realtà è dovuto alla parziale depenalizzazione e alla perdita di consistenza dell’azione della polizia e della magistratura, oltre che ad una differenziazione delle pratiche illegali contro le quali non si sono ancora prese, almeno in Italia, le adeguate misure.

Dopo questo excursus, un quadro soltanto tratteggiato giusto per chiarire alcune idee, la domanda di partenza torna prepotente: per chi lavora il Senato?
Io la risposta non la so, ma mi sembra sempre più evidente che, di certo, non lavora per noi cittadini.

Di Pietro, Calderoli e il Federalismo Demaniale

calderoli_dipietroAntonio Di Pietro e Roberto Calderoli sono d’accordo sul federalismo demaniale.

Il leader dell’Italia dei Valori e il ministro leghista della Semplificazione hanno sottolineato, in una conferenza stampa congiunta, che si è giunti ad un “punto d’incontro” fra i due partiti.

Il decreto legislativo sul federalismo demaniale sarà approvato domani dal Consiglio dei ministri. Lo annuncia Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione, al termine di una conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro.

Condivido la posizione di Di Pietro sul Federalismo Demaniale.

LaRepubblica: A sorpresa il duro e puro Di Pietro che si allea con la Lega…

Antonio Di Pietro: Io non mi sono alleato proprio con nessuno. Siamo e restiamo fermamente all’opposizione, e sulla manovra in arrivo saremo durissimi. Ciò detto, su alcune regole vale il principio che si può lavorare insieme nell’interesse degli italiani.
Nel nostro Paese ci sono tanti beni demaniali abbandonati, sfregiati, svenduti e finiti nelle mani delle cricche. Ora si cambia pagina. Per questo abbiamo detto di sì.

Certo ora potranno esserci sindaci che approfittano della cosa con comportamenti discutibili, ma … i Sindaci dei Comuni sono eletti dai cittadini, ed è molto pi ù facile controllare ed interagire con il Sindaco del nostro Comune che con un ministro a Roma. Qualsiasi sia il suo partito.

Il Sindaco del mio Comune ad esempio dialoga ogni giorno  su Facebook con i cittadini,  con noi discute di tutto e comunque le nostre politiche comunali sono da sempre il risultato di un ampio ed aperto dibattito di tutta la comunità.
Purtroppo siamo da sempre abituati a rifiutare per partito preso ogni proposta quando non viene dal nostro partito,  ma il bene ed il male non sono sempre tutti di qua o dilà,  è indispensabile invece saper discernere pragmaticamente al di sopra delle ideologie settarie.

Il Federalismo è un obiettivo che ho imparato ad apprezzare fin da quando ho letto Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi.
Chi lo ha letto (specialmente la lapidaria critica di uno dei massimi dirigenti del PCI d’allora presente nel libro) non può più prescindere dal Federalismo nella sua più pura essenza; lasciare cioè che siano le comunità a decidere della propria terra.

Il progetto Federalista inizia in Italia fin dall’inizio dell”800,  rilanciato da Carlo Cattaneo nel 1848 e successivamente da Cavour,  è fortemente osteggiato sia dal centralismo fascista che da quello marxista con il PCI, ma ottiene un pieno riconoscimento nella Costituzione Italiana grazie ad Alcide De Gasperi:

Art. 5

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Poi è evidente che la Lega ha strumentalizzato e fatto degenerare il progetto nel fanatismo secessionista fino all’idea di devolution, ma sui primi passi fondamentali di autodeterminazione delle comunità e la loro non più dipendenza da Roma si deve essere sensibili e pronti a recepire, come ha fatto Di Pietro, ogni tipo di proposta.

In questo caso Di Pietro ha preso la proposta iniziale di Calderoli e l’ha praticamente riscritta, ripulendo le varie assurdità e rendendo così valida ed applicabile  l’originale proposta di legge della Lega.

Mi sembra un ottimo risultato e ribadisco, apprezzo l’operato di Di Pietro.