Tagliatelle antifasciste gratis. In piazza

Una bella piazza ieri sera a Persiceto, non c’è che dire. Piena di gente di ogni età ed etnia, atmosfera serena e rilassata, voglia di stare assieme e di parlare e tavoli pieni;  occupati persino i gradini della chiesa.

Tagliatelle in piazza, gratis per tutti, come fecero i Fratelli Cervi il 25 luglio di 70 anni fà, quando ebbero la notizia che era caduto il fascismo e che Benito Mussolini era stato arrestato.

Una piazza allietata dalla musica rivoluzionaria (in tutti i sensi) dei BaLotta continua,  e commossa ad ascoltare i racconti di Franceschini, persicetano di 88 anni che quando militare diciottenne fu arrestato in caserma dai tedeschi assieme ad altri 80 mila e gli fu imposto di scegliere tra la deportazione nei lagher e la Repubblica di Salò,  scelse la deportazione.

Un Franceschini lucidissimo, indignato dalla gravità delle stupide quanto devastanti parole di Grillo che definisce il Parlamento un deposito di letame, una tomba maleodorante da abolire.

L’antifascismo, … già.

Peccato sia solo un antifascismo di facciata, un antico ed avvizzito fiore all’occhiello, buono solo per ammaliare le genti di sinistra e continuare a carpirne il consenso.

Perchè in questo 25 luglio 2013 sono rimasti solo i ragazzi di Sel e del M5S a difendere la Costituzione nata dall’antifascismo, al momento sotto attacco da Pd e Pdl proprio nel suo art. 138, quello che snaturandolo consentirebbe ai partiti di modificarne il resto a man bassa.

Perchè in questo 25 luglio è proprio con la nipote di Mussolini, in “luna di miele col Pd” (e con i malavitosi del delinquente abituale) che oggi il Pd spartisce il bottino dell’ennesimo saccheggio consociativo imposto ai cittadini del nostro disgraziato Paese.

Festa dell’Unità alla Casa del Popolo

Come molti non sapranno, io ho abitato e sono cresciuto all’ombra della Casa del Popolo di Persiceto “Loredano Bizzarri”, infatti fino a 23 anni ho abitato il primo piano del palazzo di fronte dove ancora ora abita mio fratello e a volte ricordo di come erano pieni di gente la Pizzeria e il grande Bar che alla sera si riempivano e in estate occupavano anche la strada, e anche io e i miei amici frequentavamo quel luogo che era diventato il nostro ritrovo, serviti dal famoso barista”Cesco”.

Poi ricordo la leggendaria balera “Cheek to Cheek” tuttora sopravvissuta agli eventi e ai cambiamenti, ove abbiamo passato ore e ore a ballare i “Lenti” famosi “Stragiapanza” e i “Twist e Rock and Roll” acrobatici, questi ultimi non io.

Bene, dicevo, domenica 17 sono andato a pranzo con moglie, figli e nipotine, per una ricorrenza familiare.

La scelta del Ristorante è caduta nella “Leggendaria Casa del Popolo” e precisamente siamo andati a sperimentare il nuovo Ristorante della Festa dell’Unità invernale di cui finalmente, anche a Persiceto, potremo frequentare.

Come sempre ottimi i Turtlén, al Lasagn e i Spaghet allo Scoglio, poi che bello ritrovare ai tavoli il nostra, sempre amata Sindaca e Deputata, Gianna Serra.

Quindi ottimo il pranzo e il servizio tranne un po di attesa, ma la Gianna mi ha detto che sono stati presi alla sprovvista e che non si aspettavano tanta gente anche per l’asporto e mi ha assicurato che non si verificherà più, quindi, bravi tutti e avanti così…

Ma mi volevo soffermare anche sulla rivoluzione avvenuta alla nostra “Casa del Popolo” detta anche “Al Kremlino o l’API”e ringraziare anche chi finalmente ha capito che questa struttura costruita con il sudore dei “COMPAGNI” operai di allora, oggi venga restituita degnamente per gli scopi popolari per cui è stata costruita.

Bella anche la sede del PD che scende finalmente dalla “Piccionaia” e si offre con tutto suo il significato Politico ai Cittadini e Compagni, come meritano.

Quindi, ancora bravi tutti, il “CAMBIAMENTO” di un Partito inizia anche da queste piccole cose…  😉

Pubblico di seguito anche il Menù, il volantino di una iniziativa importante svoltasi da poco, e la foto bellissima e straordinaria dei “COMPAGNI” fotografati durante una pausa del duro lavoro “VOLOTARIO” della costruzione della “Casa del Popolo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tortellini

Il re dei piatti, a Persiceto e in Terred’acqua, è e sarà sempre i tortellini.

Tipici delle nostre terre, tradizionali per le feste, quando erano disponibili le carni del maiale appena insaccate, i tortellini sono universalmente riconosciuti come uno dei piatti più squisiti.

Non c’è festa e ricorrenza difatti che dalle nostre parti non vengano celebrate mettendo sù dei bei tortellini nostrani. E poi gustandoseli in bella e buona compagnia.

Il nome di tortellino (turtlèn) deriva dal diminutivo di tortello, dall’italiano torta.
L’odierno tortellino è verosimilmente l’erede relativamente recente di una lunga progenie nata in un ambiente povero per “riciclare” la carne avanzata dalla tavola dei nobili ricchi.

Sull’origine di questo piatto esistono diverse leggende. Una tra queste fa nascere questo piatto a San Giovanni in Persiceto ad opera del proprietario della locanda Dal Tòchi, il quale, sbirciando dal buco della serratura della stanza di una nobildonna sua ospite e rimasto tanto colpito dalla bellezza del suo ombelico, volle riprodurlo in una preparazione culinaria: al turtlèn.

Ma bando alle ciance, passiamo alla preparazione!   :mrgreen:

Dunque, … si va alla Marcolfa e si compra una bella confezione di tortellini bertagni da mezzo chilo.

Poi si comprano anche due o tre dadi da brodo starr

Si va a casa e si mette su la pgnàta (sul fuoco) con dentro 2 litri d’acqua.

Appena l’acqua bolle si mettono i dadi e si armesda tutto per bene.

Poi dopo, quando i dadi sono sciolti, si mette giù i tortellini bertagni (che si saranno tirati via dalla confezione almeno un’ora prima, per sentire meno l’aroma di plastica)

Appena vengono su … si fa per dire dai, che quelli su non vengono micca, … diciamo dopo cinque-dieci minuti di bollitura si spegne il fuoco e si servono in un piatto fondo e si gustano con grattata sopra della forma.

Ah … siccome non san di gnente neanche con la forma, a piacere si può giuntare del ketchup.  E pasteggiare a Fanta o per chi preferisce CocaCola,  con rutto libero.  😉

BUON APPETITOO  !!!

 

 

… eheh, mi piacerebbe vedere la faccia delle arzdòre adesso e sentire tutta la roba che mi stàn dicendo.   :-)

Di mettere la ricetta dei tortellini non c’è mica bisogno, che ognuna delle nostre donne e pure tanti dei nostri maschietti sanno molto bene come farli e prepararli, che le nostre nonne sono state ottime maestre a riguardo.

Buon Anno, e …buon appetito a tutti. 

Sabadoni

I Sabadoni

Una ricetta che non poteva mancare in Persiceto Caffè,  tradizionale e ruspante quanto basta ma di cui purtroppo si sono perse tracce ed abitudini. E’  un dolce tipico delle nostre Terred’acqua e di solito si prepara per Natale, spesso fino a Carnevale.

Per le feste sulle tavole dei nostri nonni non mancavano mai, prodotto della realtà contadina di una volta, quando non c’era un granchè da mangiare, e per rendere più gradevoli le feste e le domeniche invernali,  dopo le dure giornate di lavoro settimanali.

Il Sabadone dunque è un dolce molto povero,  fatto cioè di ingredienti “poveri”, ma sorprendentemente è ricco di sapore e piacevole al palato e soprattutto, è ricco di gusti squisiti e dimenticati che ricordano l’infanzia dei più vecchi,  quando “l’arzdoura” allietava tutta la famiglia raccolta attorno al focolare e insieme si gustavano i prelibati sabadoni.

Premessa: ricetta della nostra realtà contadina, i sabadoni vanno preparati con largo anticipo sulle feste, perchè riposando al fresco acquistano gusto ed aroma.

INGREDIENTI PER LA SFOGLIA

Farina;  800 gr

Uova;  2

Zucchero;  100 gr

Olio;  4 cucchiai

Latte;  qb all’impasto

Sale;  un pizzico

Lievito; 2 cucchiaini rasi

 

INGREDIENTI PER IL RIPIENO

Castagne secche;  500 gr

Savòur (il composto di frutta tipo mostarda tipico della nostra zona);  400 gr

 

PREPARAZIONE

Ripieno:

Cominciamo dal ripieno; le castagne secche vanno messe a mollo in acqua per tutta la notte,  e poi lessate in acqua, quindi passate con lo schiacciaverdure, e messe in una ciotola, dove si unirà il savòur. Il ripieno deve risultare morbido ma consistente, diciamo un po’ più denso di una marmellata.

La sfoglia:

Sul taliere  si versa la farina col tradizionale buco in mezzo, poi si mette le uova e lo zucchero, il lievito e il sale, quindi si inizia a impastare a mano, aggiungendo il latte e, volendo, un po’ di brodo. Alla fine deve apparire una bella palla soffice e morbida,  ma non appiciccaticcia;  non deve insomma attaccarsi al mattarello.

Poi si tira la sfoglia al mattarello, ma più spessa di quella per tagliatelle, e poi si tagliano dei quadri di circa 10 cm, anche irregolari;  si mette un cucchiaio di ripieno e si avvolgono su se stessi,  usando una forchetta per premere i bordi.

Poi si friggono in abbondante olio o strutto di maiale, girandoli fino alla completa doratura e quindi posati su carta assorbente;  quando asciutti vanno messi in una teglia e cosparsi abbondantemente di saba, il nostro tipico ed aromatico mosto cotto.  La teglia andrà coperta e tenuta al fresco, e ogni tanto è bene rigirare i sabadoni, così da assicurarsi che  vengano intrisi per bene di saba.

 

La Saba

La preparazione della Saba è lunga e laboriosa e probabilmente per questo, come purtroppo per altre cose, si è via via affievolita, fino a quasi scomparire.
La Saba è uno sciroppo d’uva o mosto cotto che si ottiene dal mosto d’uva bianca (soprattutto trebbiano) o rossa, messo in un paiolo di rame unitamente a mezza dozzina di noci con il guscio, che rivoltandosi nel lento bollire, aiutano il mosto a non attaccarsi al fondo del recipiente. La saba è pronta quando si sarà ridotta ad un terzo della sua quantità iniziale. Durante la bollitura che durerà da 6 a 10 ore circa è necessaria la schiumatura e la rimescolatura da farsi con un lungo mestolone di legno.
Lasciare poi raffreddare e depositare prima di essere imbottigliata e ulteriormente maturata e conservata premurosamente in dispensa.

 

Il Savòur

E’ una specie di composta di frutta casalinga, legata ad antiche usanze contadine, preparata nel periodo appena successivo alla vendemmia e consumata nei mesi freddi sino a pasqua.

Un buon savòur richiede cura e impegno, tempi di preparazione lunghi e tanti ingredienti. Si partiva con la saba, poi  si aggiungeva uva nera  o bianca ma dolce e ben matura, frutta secca raccolta a fine estate come pinoli e noci, nocciole e mandorle; poi mele e pere tagliate a fettine e lasciate essiccare all’ombra; fichi secchi sminuzzati e frutta candita in strisce sottili seccate al sole, ricavate da bucce di melone, di cocomero e di agrumi. Zucchero tassativamente assente nella preparazione di un tempo.

Aggiunti tutti gli ingredienti a disposizione nella saba, opportunamente predisposti e miscelati, si faceva cuocere per cinque-sei ore. Una cottura attenta e lenta, che comportava di mescolare frequentemente in modo che il savòur non si attaccasse al fondo del paiolo aiutandosi con un mestolone di legno, mantenendo la frutta costantemente al di sotto del livello della saba, fino all’ottenimento di un savòur denso e liquido in giuste parti.

Il savòur si lasciava raffreddare fino al giorno seguente; poi si provvedeva a metterlo in vasi di vetro o terracotta a chiusura ermetica.

Elòg’ dla spójja. Zirudela di Loris Fava


Zirudela  scritta dal mio amico Loris Fava, decimino DOC

Elòg’ dla spójja

L’é un quèl sèmpliz mo genièl

ch’as fa in cà col matarèl:

bâsta sòul un pô ed faréina

e socuànti ôv ed galéina

e pò as cmènza al lavurîr

inpastànd souvr’al tulîr;

fât na bâla, dòp las lâsa

par mezòura ch’las rilâsa,

e l’é adès ch’a vin al bèl

parché con al matarèl,

òli ed gòmet e con dl’óssta

la se stènd fén ch’lan é giósta,

sènza pió zuntér faréina

las fa tònda, bèn mulséina

e sutîla cm’é na fójja

l’ôpra d’èrt ch’as ciâma spójja;

caplavòur che ogni arzdòura

fa da sèmpr’in manch d’un’òura,

mèntr’a stà dvintànd normèl

ch’al la fâga anch chi ha l’usèl.

Ôpra sènza una magâgna,

al sô bèl l’é anch ch’las mâgna.

S’pòl tajèrla in pió ’d méll môd,

fèrla a sót opûr in brôd:

al tâi pió tradizionèl

i én sènz’ètr al tajadèl,

ch’a savèn ch’i én lòuvi ed sûg

fén dai témp ed Messisbûg;

mo s’tla tâi in tant quadrétt

ét pû fèr di bî strichétt,

ch’i én na vèira maravèjja

col sufrétt fât con l’arvèjja.

Che spetâcuel pò i turtî!

A psi impîri cum a vlî:

con la zócca o con l’arcòta,

o i spinâz con la caciòta,

e cunzéri par finîr

col sufrétt o col butîr

e i sran sèmper da fèr vójja:

che mirâcuel ch’l’é la spójja.

A secònd dal tô umòur

la pòl anch cambiér culòur,

bâsta sòul che insèm ali ôv

tai inpâst un quèl ed nôv:

s’tla vû ròssa cum é un côr

té tai zuntarè al pondôr,

coi spinâz e ali urtîg

la vin vèirda cum é un fîg;

e l’é vèirda ch’la vôl stèisa

pr’al lasâgn ala bulgnèisa

col ragó e la balsamèla,

mo al lasâgn la côsa bèla

l’é ét pû fèri cum at tîra

ch’ali én pò bôni in manîra.

S’ét vû invêzi fèr da brôd

ét pû cusér al stèss môd

tajadléini o parpadlén,

mo an i é gninta cm’é i turtlén:

piât suntuòus, fenomenèl,

immancâbil par Nadèl:

un Nadèl sènza turtlén

l’é cm’é un câliz sènza vén,

cum é un cûl sènza camîsa

o cm’é mé sènza Marisa,

o (che urènd sté paragòn)

Bondi sènza Barluscòn.

Se pò al brôd l’é ed fasû

tai mitrè cla pâsta ét vû

mo t’al sè che i meltajè,

pîz ed spójja avanzè,

coi fasû i én quèll ch’ai vôl,

s’a scurzèn pò, pôchi gnôl!

Ah la spójja, che invenziòn!

Chi sa mâi chi é ch’é stè bòn

ed strulghèr, sènza rizèta,

una côsa acsé parfèta.

Ai ho al vègh presentimènt

ch’al fóss ón con dal furmènt

e a scumétt una sterléina

ch’l’aviva anch na quèlch galéina.

Ali ipotesi ali én vèri:

irl Etrosch, fóni i Sumeri,

o éni stè i Babilonîs?

L’impurtànt l’é che i bulgnîs

coi frarîs e coi mudnîs

i han mantgnó int la sô cultura

la pasiòn e la bravura

’d fèr dal pâst acsé gustòusi

sugulènti e goduriòusi

che anch qué incû al fèven vójja,

viva quî ch’san fèr la spójja!