Stamattina 5 ottobre sono stato invitato al presidio dei lavoratori della RCE, ex Telettra.
Sono piombato all’improvviso in un altro mondo, che non si legge sui giornali, che non percepisci dai notiziari televisivi, non nella sua intensità emotiva, nella drammaticità che leggi negli occhi degli operai.
Un bagno di umiltà che ti fa ritrovare un’appartenenza, un posizionamento rinnovato a fianco di lavoratori disperati e soli. Ecco, la solitudine di queste trentadue persone è ciò che più mi ha colpito. Lo sfilacciamento in mille rivoli di vertenze come questa, che non appaiono nei telegiornali, sui media definiscono un mondo sconosciuto lasciato in balia di se stesso, a sbrigarsela con imprenditori canaglia che rifiutano il confronto con i propri dipendenti stupendosi che siano ancora lì a rompere i coglioni, a non cercarsi un altro lavoro.
Ritenendo il dovuto compenso per il lavoro svolto una pretesa inaccettabile in un momento di crisi come questa.
Questa tipologia di imprenditori, stride con chi e ce ne sono stati, si è tolto la vita per la vergogna e il senso di colpa di non essere stato in grado di risolvere i problemi della propria azienda e di avere di conseguenza creato problemi insormontabili ai propri dipendenti. Ho visto davanti a quella fabbrica, storici operai ormai in pensione, presidiare i cancelli a sostegno di quelli che ancora ci lavorano.
Ho parlato con alcuni di loro, ho chiesto come mai essendo in pensione venivano qui a presidiare la fabbrica, una di loro mi ha guardato come non avesse capito la domanda e mi ha risposto che lei in quella fabbrica ci ha lavorato quarantuno anni e quella era la sua casa, in quel rettangolo recintato piuttosto incolore, ci ha costruito la sua vita e cresciuto i suoi figli e adesso era suo dovere sostenere gli operai che cercavano di salvare la propria di vita.
E’ stata una lezione che difficilmente dimenticherò, ho capito stamattina da quella donna che se ci facciamo soggiogare dalla resa, di fronte ad una crisi feroce come quella che sta spappolando il Paese, perderemo tutti. Perderemo la dignità e la consapevolezza che i problemi di quei pochi operai sono problemi di tutti, lasciarli soli significa restare soli noi stessi, lasciare soli i nostri figli, senza un futuro immaginabile.
Io chiedo ai cittadini di San Giovanni in Persiceto, di Sant’Agata Bolognese e di tutti i comuni di Terre d’Acqua di sostenerli, di stare al loro fianco e al fianco di tutti i lavoratori in difficoltà. Riprendere in mano il filo che ci lega allo stesso destino, fare capire a chiunque che la difficoltà di uno è la difficoltà di un’intera comunità e che non siamo disposti ad abbandonare nessuno davanti all’arroganza di imprenditori che calpestano i diritti e la dignità dei lavoratori rifiutando addirittura il confronto, volgendo loro le spalle.
Ai miei tempi questa gente avrebbe passato dei brutti momenti.