Mongiana e la colonizzazione del Sud Italia

Mongiana La fabbricaMongiana è un piccolo paese posto sulle Serre calabresi, fondato nel 1771 come residenza per operai, artigiani, impiegati, dirigenti e guarnigioni militari impegnati a svolgere attività produttiva nelle Reali Ferriere e Fabbrica d’Armi impiantata dai Borbone.
È un luogo dalla bellezza selvaggia, con strade aspre e strette abbarbicate sui fianchi dei monti.
Un tempo era il più ricco distretto minerario e siderurgico del Regno delle Due Sicilie e dell’Italia intera, e il paese nacque dalla fabbrica, che dava lavoro a circa 3000 persone.
Prima si realizzarono case malfatte, poi col tempo conquistarono pareti di pietra, anche gabinetti, fino a divenire un paese vero e proprio, con prete, medico e giudice di pace. A Mongiana si realizzò anche una cassa mutua per assistere i dipendenti in caso di malattia od infortunio, un’innovazione unica in tutta Europa, fatta eccezione per i setifici di San Leucio vicino Caserta. Gli operai lavoravano duro, ma in genere 8 ore, al massimo 12, contro le 16 dei colleghi di Liverpool.
Lo stabilimento colse tutti i primati possibili dell’epoca, per dimensione ed efficienza tecnica, era il fiore all’occhiello di un Regno che aveva intrapreso la via dell’industrializzazione, alla pari del Nord Italia. Il Sud eccelleva in alcuni settori, il Nord in altri, ma la percentuale di popolazione addetta alle industrie era superiore al Sud.
Certo, nel raffronto col resto d’Europa l’Italia usciva perdente in molti settori, ma gli stabilimenti maggiori d’Italia, le cartiere o nel settore meccanico, erano tutti al Sud.
L’economia del Sud Italia era perfettamente integrata col resto d’Europa, con la quale si collegava non tanto a mezzo di ferrovie, che pure stavano nascendo un po’ dovunque, la prima d’Italia fu proprio al Sud (la Napoli-Portici, i cui materiali furono realizzati proprio a Mongiana), ma a mezzo di navi, vanto della Marina del Regno delle Due Sicilie, seconda solo a quella inglese.
La prova ne era la presenza di numerosi imprenditori stranieri che portarono ingenti capitali, al fine di aprire numerose fabbriche.

Il settore principe di questo paese era la siderurgia, già ai tempi dei Fenici si estraeva ferro dai monti, e l’acciaio di Mongiana rese autonomo l’intero Regno nella produzione di armi e materiale per costruzioni, principalmente per la seconda flotta mercantile al mondo. L’arsenale di Castellammare ancora nel 1931 riuscì a realizzare la “nave più bella del mondo”, quell’Amerigo Vespucci che ancora oggi solca i mari come nave scuola per gli ufficiali. Ma prima dell’unità d’Italia, l’arsenale era il più grande del mediterraneo, con 1.800 operai, per non parlare dei 3.400 che lavoravano negli altri arsenali di Napoli.
L’acciaio di Mongiana riforniva l’industria ferroviaria, e in particolare il Reale Opificio Meccanico e Politecnico, il più grande d’Italia ma soprattutto l’unico in grado di realizzare interamente un treno e la ferrovia, con sommo dispiacere per i cantieri inglesi. I Re di Napoli ci tenevano all’efficienza delle ferriere, alla sicurezza del trasporto dei prodotti.
La fabbrica napoletana superò quella austriaca e si mise in concorrenza con francesi ed inglesi, al punto che lo Zar di Russia inviò suoi esperti per replicarla. Gli inglesi, pur con una produzione più elevata, non nascosero l’avversità a quella fabbrica della quale intuivano le pericolose possibilità di sviluppo, e fecero di tutto per spegnerla sul nascere, fino a finanziare la spedizione dei Mille.
Anche i Savoia spedirono il generale La Marmora per studiare gli stabilimenti meraviglia, ma preferirono annettersi il Sud, e declassare l’Opificio fino a farlo scomparire, piuttosto che entrare in concorrenza. Cavour all’ambasciatore Ruggero Gabaleone disse: “Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirci dei suoi Stati”.

Con l’arrivo dei garibaldini al Sud, un intero capitale tecnico, di operai specializzati, di scienziati, fu cancellato in un colpo solo. Più nessuna fabbrica del Sud fu utilizzata per produrre materiali, tranne casi rari di fabbriche che al nord non esistevano. Le fabbriche del Sud furono man mano declassate, smembrate, e gli operai costretti ad emigrare al nord, in fabbriche nuove che venivano costruite proprio per sostituire quelle del Sud. Per la prima volta Mongiana conobbe il fenomeno dell’emigrazione. Alle fabbriche del Nord occorrevano operai specializzati, per cui in un modo o nell’altro si costrinsero quelli di Mongiana ad abbandonare le loro terre. Al Sud non avrebbero più trovato lavoro!
La siderurgia calabrese era troppo grande per l’Italia, una fabbrica di quell’importanza non poteva esistere in un’Italia governata dal Nord, per cui gli altiforni furono spenti, e la fabbrica stessa venne parzialmente venduta come ferrovecchio, a peso. Il resto fu regalato ad un ex garibaldino poi divenuto parlamentare, a prezzo stracciato.
Alla chiusura Mongiana aveva 1.200 operai ancora, mentre i 15 stabilimenti del Nord Italia, insieme, raggiungevano a stento le 2.000 unità. Ufficialmente si disse che Mongiana era sorpassata, troppo lontana dal mare, ma poi si costruì Terni, ancora più lontana dal mare. Di seguito nacquero nuovi impianti siderurgici in Toscana, soprattutto in Liguria, un’industria che al Nord nacque pian piano, mentre Mongiana veniva lasciata morire, e con essa il suo intero paese, i suoi cittadini.
Gli operari specializzati si dovettero trasferire a Terni, in Piemonte, in Liguria, molti preferirono andare all’estero, in America. A nulla valsero gli innumerevoli premi che la Real Fabbrica aveva ottenuto nella sua vita. Nel 1861 Mongiana ottiene un premio all’Esposizione industriale di Firenze per i suoi acciai, e poi all’Esposizione di Londra per le sue armi. Nemmeno l’estremo tentativo di ottenere un appalto per pezzi a prezzo ribassato, 75 lire cadauno consentì di mantenere aperta la Fabbrica. L’appalto fu assegnato alla ferriera di Torino, che consegnò pezzi a 100 lire cadauno, tutti difettati al punto che dovettero essere buttati.
La vita di Mongiana era ormai segnata, il miglior stabilimento italiano doveva chiudere, così si decise a Torino.

Mongiana è la risposta a tutti coloro che sostengono che il Sud manchi di capacità industriale, parliamo di un’industria siderurgica (e non solo), che fu ammirata in tutto il mondo, fin quando gli invasori torinesi non colonizzarono il ricco Sud espropriandolo di tutto ciò che aveva a vantaggio del Nord. Il Nord all’epoca non era altro che terreno di conquista delle nazioni più sviluppate, l’Austria, l’Inghilterra, la Francia. Con la conquista armi in pugno del Sud, il Nord volle farsi le sue colonie per arricchirsi, ma per farlo era giocoforza eliminare tutte le industrie del Sud che potessero fare concorrenza alle loro, esistenti o che sarebbero nate dopo l’unità.
All’epoca, nonostante le mille bugie sulla condizione dei cittadini del Regno delle Due Sicilie, quello Stato era efficiente e moderno, come lo stesso Cavour ammetteva nelle sue lettere, e rappresentava il terzo Paese più industrializzato d’Europa, molto più del regno Sabaudo, e aveva raggiunto molti primati, tra i quali, incredibile a dirsi vedendo la Napoli di oggi, il primo paese al mondo ad istituire la raccolta differenziata dei rifiuti nel 1820.

Quando si comprese che l’idea era di distruggere Mongiana per favorire gli impianti del Nord, per lo più ancora da costruire, la popolazione di ribellò, e nacquero i briganti. Come in tutto il Sud, i briganti non erano altro che coloro che persero il lavoro, persone alle quali fu sottratta la dignità, e che erano poste dinanzi ad una alternativa: o morire di stenti, o emigrare per lavorare nelle fabbriche del Nord!

Al referendum per l’annessione al Regno di Sardegna, per fare l’Italia, a Mongiana si contò una elevatissima percentuale di NO, e per comprendere il coraggio dei mongianesi basta ricordare che il voto era palese, espresso davanti ad un seggio di militari che annotavano i nomi dei dissidenti. Quanto coraggio per dare voce alla propria disperazione, alla propria umiliazione!
Eppure i mongianesi il coraggio lo trovarono, perché prima vivevano bene, avevano lavoro e pane, erano protagonisti come produttori tra i migliori al mondo di acciaio, un popolo orgoglioso e fiero che, dopo l’unità, si ritrovò senza più nulla.
Oggi Mongiana non è più nulla, una volta capitale siderurgica, adesso è il Comune più povero d’Europa, dove nessun lavoro si trova, eccetto pochi posti statali come agenti della Forestale. Eppure anche in quel settore i mongianesi si sono distinti, perfezionando il sistema di tracimazione controllata dei Borbone che impediva l’erosione dei monti, un sistema all’avanguardia già all’epoca. I Forestali hanno salvato la Regione e vengono chiamati anche altrove, i loro metodi,  studiati anche all’estero, sono stati trapiantati in Andalusia.

Camminando oggi per le strette strade di Mongiana, come sospese nel tempo, in un paese ormai svuotato, si tocca con mano la fine di una civiltà, con i suoi templi cadenti ed immancabilmente vuoti, come simbolo di un Sud eroso di tutto, prima delle sue risorse, poi dei suoi uomini, infine della sua dignità, della sua storia e della sua stessa memoria.
Solo così un ministro della Repubblica, quella stessa Repubblica che il Sud Italia contribuì a formare, si può permettere ancora oggi di muovere critiche al Sud fannullone e palla al piede del Nord “laborioso”. Ma nelle sue stesse parole si riscontra l’amara verità, per chi ha voglia di ascoltare e capire, quando dice che delle spiagge non gliene frega nulla. Le spiagge, guarda caso, sono tutte al Sud, sono la risorsa di oggi del Sud, l’unica che è rimasta, e quel “non m’importa nulla” è sintomatico di quanto interesse abbia avuto in tutti questi anni il Nord per il Sud.
Al Nord non importa che il Sud utilizzi le sue risorse, anzi, meglio se gliele togliamo, continuando così nella tradizione dall’unità ad oggi. Non sia mai che il Sud possa avere l’occasione per dimostrare realmente quanto vale, in fondo un tempo era ammirato in tutto il mondo, potrebbe farcela anche stavolta.

  1. Il racconto del modo selvaggio, quello sì, con cui i Savoia e il loro seguito decisero di annettere e poi annientare il Sud mi crea sempre un moto di grande stizza nei confronti delle gesta del Risorgimento. Avevo letto anche io della dismissione dell’industria siderurgica, una delle tante vergogne mai ammesse dagli storici di regime. Ora qui non stiamo a discutere sulla  bontà o meno di avere un’Italia unita, piuttosto se la volontà fosse quella realmente. Coi fatti che stanno venendo alla luce mi pare proprio di no.
    I Borboni avevano proposto un accordo sulla base del federalismo tra gli Stati – chi lo dice a Bossi e ai suoi che il suo cavallo di battaglia era già una invenzione di un terùn? – , ma  non era quello che volenvano i Savoia, notoriamente in grandissime difficoltà economiche. A loro servivano le casse del Regno delle due Sicilie e quelle private dei Borboni. Ai Savoia non importava la capacità innovativa delle idustrie del Sud, specie quelle dei trasporti. La cantieristica navale, fiore all’occhiello insieme a quella tessile e siderurgica, era in espansione, i Borboni privilegiavano i mezzi di comunicazione via mare ponendosi già all’epoca anche il problema di un minor impatto sull’ambiente.

  2. Tiziana:

    … ma  non era quello che volevano i Savoia, notoriamente in grandissime difficoltà economiche. A loro servivano le casse del Regno delle due Sicilie e quelle private dei Borboni.

    Ricchezza dei diversi stati al momento della unificazione ( in milioni lire oro ) :

    Regno delle Due Sicilie: 443,2
    Lombardia: 8,1
    Ducato di Modena: 0,4
    Romagna Marche Umbria: 55,3
    Parma Piacenza: 1,2
    Roma: 35,3
    Piemonte Liguria Sardegna: 27,0
    Toscana : 84,2
    Veneto: 12,7

    [Fonte «La scienza delle finanze» di Saverio Nitti citato da Harold Acton: «Gli ultimi borboni di Napoli». Giunti Editore]

    Il debito pubblico del Piemonte era praticamente fuori controllo all’Unità d’Italia:

    15.203.945,75

    Disavanzo napoletano

    Disavanzo piemontese

    Legge finanziaria (Piemonte)

    1856

    attivo

    82.858.206,15

    Legge del 24 marzo 1856

    1857

    7.467.830,76

    12.244.244,64


    1858

    2.005.075,48

    15.203.794,01

    1859

    avanzo

    (-4,595.023,76)

    126.600.311,04

    Ferrovie (provvedimenti vari)


     

     

  3. REGNO DI NAPOLI

    PIEMONTE

    Debito a tutto il 1859

    Lire

    411.475.000

    1.121.430.000

    Incremento nel periodo

    %

    29,61%

    565,42%

    Interessi sul D.P.

    Lire

    22.847.628

    67.974.177,1

    Popolazione residente

    6.970.018

    4.282.553

    Debito pro-capite

    Lire

    59,03

    261,86

    Reddito pro-capite

    Lire

    291

    PIL

    Lire

    2.620.860.700

    1.610.322.220

    D.P./PIL

    %

    16,57%

    73,86%

    Interessi D.B./PIL

    %

    0,87%

    4,22%

  4. L’unico errore che fecero i Re di Napoli è di badare poco alla realizzazione di un esercito veramente moderno. In pratica badavano più ai cittadini, e quindi si ritrovarono, al momento dell’invasione savoiarda, con un esercito non all’altezza rispetto a quello del Nord che era più abituato alle guerre. Inoltre, pare che molti generali borbonico si vendettero al nemico, infatti alcune guarnigioni si arresero senza nemmeno sparare un colpo. Dietro la spedizione dei Milla, infatti, c’erano i soldi degli inglesi.

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