L’Aquila un anno dopo
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L'Aquila

Ad un anno di distanza dal devastante sisma che ha distrutto L’Aquila e parte dell’Abruzzo è tempo di consuntivi.
Sono circa 30 le inchieste giudiziarie sui crolli di L’Aquila che probabilmente giungeranno a giudizio, ma dietro l’angolo incombe il pericolo del “processo breve” che potrebbe chiudere tutto prima di avere qualche certezza sulle responsabilità.
Vi è un’inchiesta riservata che lambisce i vertici della Protezione Civile e di altri organismi di rilievo per non aver allertato la popolazione in presenza di numerosi elementi che facevano preventivare scosse di notevole importanza. L’accusa è omicidio colposo.

Ma al di là di tutto ciò, è il futuro che appare molto incerto, e per lo più mal rappresentato dai media. Anche dopo il 6 aprile 2009 si è aperta la solita, rassicurante, immancabile ma soprattutto ipocrita, riflessione sulle fragilità del territorio italiano.

Sessant’anni di promesse mai attuate di risolvere queste fragilità si accumulano nella memoria collettiva portandoci a ricordare, nell’imminenza dell’ennesima catastrofe annunciata, i morti di sessant’anni di incurie, di palazzi costruiti su terreni insicuri e sull’argine di fiumi, di costruzioni abusive o realizzate con materiali scadenti, poi salvate dall’ennesimo “ultimo” condono edilizio, sessant’anni di rovine, lutti e tendopoli, e di tanti, troppi, appalti truccati: l’alluvione del Polesine, poi l’ondata del Vajont, il terremoto del Belice, l’esondazione dell’Arno, ancora l’acqua alta di Venezia, il terremoto dell’Irpinia e poi quello del Friuli, l’esondazione della Dora, il terremoto nelle Marche e nell’Umbria, l’ondata di fango che spazzò la valle di Sarno, fino all’Abruzzo con le sue 300 vittime.

E poi ? Le polemiche sulla ricostruzione!
Ma qui, il punto nevralgico della situazione, si accentrano troppi dubbi, troppe incertezze, troppe cose non dette, troppe strumentalizzazioni da parte dei media. Si fa troppa confusione e si sovrappongono le due fasi post ricostruzione, la prima, quella temporanea, nella quale si devono realizzare in breve alloggi per gli sfollati, e garantire loro una sopravvivenza adeguata, la seconda, la ricostruzione vera e propria.
Se nella prima fase l’attività della protezione civile come longa manus del governo è stata veloce, la seconda presenta ancora troppe manchevolezze, ma soprattutto evidenti errori di base.

Il primo passo per ricostruire è mettere in sicurezza gli edifici e sgombrare le macerie. Nel centro di L’Aquila tutto ciò si è fatto poco e male, e si sta ovviando negli ultimi giorni. Ma se L’Aquila ha comunque una visibilità sui media, delle periferie e degli altri paesi dell’Abruzzo non se ne parla per nulla o quasi. Lì non è stato fatto nulla. Eppure in molte zone sarebbe bastato poco per rimettere in sesto edifici al fine di abitarli.
Il progetto governativo si è basato soprattutto sulle cosiddette new town, nuovi insediamenti fino a 19, realizzati sventrando il territorio abruzzese e costruendo delle basi di cemento che rendono impossibile o comunque difficilissimo la loro rimozione quando (se) L’Aquila sarà ricostruita e gli abitanti vorranno tornare alle loro case.
Solo ad Onna, dove gli onnesi si sono rifiutati di essere deportati lontano chilometri dalle loro case, la provincia autonoma di Trento ha costruito i cosiddetti MAP, moduli in legno antisismici ma transitoria, veloci da costruire (20-30 giorni), facili da rimuovere, poco costosi (meno di un terzo rispetto ai 2700 euro m/q del progetto C.A.S.E. delle new town).

Il progetto C.A.S.E. ha un costo elevatissimo che non ha consentito di dare un tetto a tutti gli sfollati, questi insediamenti possono essere costruiti non dappertutto, per cui gli assegnatari si sono dovuti trasferire chilometri di distanza dai luoghi di appartenenza, così smembrando anche il tessuto sociale della città. Saranno 19 nuovi quartieri mal collegati, stile dormitorio, che graveranno sulle finanze già asfittiche del Comune, come costi di manutenzione di oneri di urbanizzazione, col probabile risultato di incuria e degrado urbano, oltre che sociale.
Se si fossero scelti i MAP, che pure adesso vengono previsti laddove i soldi non sono bastati per le costosissime C.A.S.E. (tra l’altro appaltate a sole grandi ditte del nord), i fondi sarebbero bastati per dare una casa temporanea per tutti e i tempi sarebbero stati davvero molto più brevi, così consentendo di avviare subito la ricostruzione coi soldi risparmiati.

Secondo gli urbanisti l’errore sta nella decisioni di base. Il progetto C.A.S.E., in realtà già pronto nei cassetti della protezione civile in attesa di un evento al quale destinarlo, è stato deciso senza nessuna consultazione della popolazione, applicando quindi il modello centralista che sappiamo bene quali risultati ha dato in Irpinia e soprattutto nel Belice. Lì si sono costruiti nuovi quartieri non transitori ma distanti dai paesi, col risultato di spopolare i paesi e creare condizioni di degrado urbano e sociale. I centri storici fantasma circondati da paesi sovradimensionati ma senz’anima, con problemi sociali e di sicurezza.
Il modello che invece ha trovato i consensi degli urbanisti è quello, decisamente più flessibile, che coinvolge nelle scelte la popolazioni locali, come è avvenuto in Friuli ma anche in Umbria, a dispetto di quanto talvolta si dice in televisione, un modello di ricostruzione ben riuscito.

Le disfunzioni del modello centralista già si intravedono oggi a L’Aquila, considerando che il centro di raccolta della popolazione, il punto di incontro, non è più il centro storico, praticamente ancora inaccessibile ad oltre un anno dal terremoto, ma è diventato un centro commerciale, in omaggio alla mentalità consumistica e commerciale che vige oggigiorno.
L’economia aquilana non si è ancora riavviata e, considerato il troppo tempo speso per costruire le C.A.S.E., c’è da temere che subirà danni non più rimediabili. Basti pensare ai 30.000 studenti che venivano da fuori per frequentare l’Università di L’Aquila, la secondo più antica d’Italia, e che è difficile pensare che torneranno quando L’Aquila sarà ricostruita.

L’Aquila si avvia a diventare il risultato di un modello fallimentare di gestione del territorio, un corpo senz’anima con una testa minuscola e degli arti troppo grandi ed impossibili da gestire.


Commenti
Sono stati scritti 4 commenti sin'ora »
  1. avatarAndrez - 6 aprile 2010

    Draquila.

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  2. avatarLorenzoGT - 8 aprile 2010

    Concordo pienamente con il tuo punto di vista, Bsaett.
    Purtroppo ciò che è avvenuto all’Aquila, indipendentemente dal terremoto rappresenta uno standard consolidato dello sviluppo urbanistico delle nostre città. Più che a provvedere a interventi di sostituzione edilizia di edifici o di intere aree dismese, e di edificazione nelle aree libere del tessuto già urbanizzato, si tende a fagocitare sempre più territorio libero, con la conseguenza di creare spesso nuovi quartieri (o new town)  privi degli standard minimi, collegati male con i mezzi pubblici, e che rappresentano dei veri e propri dormitori.
    Il caso delle New Town dell’Aquila non fa eccezione. I nuovi quartieri hanno di fatto spostato il baricentro della città dalla piazza storica principale alla “New Square” rappresentata dal classico (e squallido) Mega Centro Commerciale, come ormai succede in tutte le grandi città. In una città come l’Aquila, col Centro Storico distrutto dal terremoto, tale fenomeno è ovviamente amplificato all’ennesima potenza!
    La questione del recupero del Centro Storico, assai più spinosa, non è stata purtroppo affrontata e nemmeno in parte. Penso che diversi interventi di demolizione e ricostruzione (per i fabbricati non vincolati) si sarebbero potuti eseguire; ora ci saremmo trovati, oltre alle new town, porzioni di centro storico – o comunque della città consolidata – già recuperate, restituendo quindi almeno in parte il cuore pulsante della città ai suoi abitanti.

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  3. avataruniroma TV - 20 aprile 2010

    Al seguente link, il convegno tenutosi a Roma Tre sullo stato della ricostruzione del capoluogo abruzzese a un anno dal terremoto.
     
    http://www.uniroma.tv/?id_video=15626
     
    Ufficio Stampa di Uniroma.TV

     
     

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  4. avatarBlog di Andrez » Blog Archive » L’Aquila: Commissione Grandi Rischi a giudizio - 2 novembre 2010

    […] del 2010 ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti i componenti della commissione, accusati di omicidio colposo plurimo per avere rassicurato la popolazione sulla possibilità di un forte terremoto. Nel processo […]

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