Il conformismo e la normalità del male

conformismoPrendetelo! Ammazzatelo! Scannatelo!”, è questa la ricorrente cantilena de “Il signore delle mosche”, il famoso romanzo di William Golding che narra di un gruppo di giovani studenti britannici di buona famiglia e ben educati, i quali in seguito ad una tragedia aerea si ritrovano naufraghi su un’isola deserta. Il leit motiv del romanzo è la banalità del male, il male che si nasconde dietro fattezze comuni e prende il sopravvento sulla buona educazione, finendo per trasformare i naufraghi in crudeli assassini.
È il classico esperimento della psicologia sociale, dove si rappresenta l’inerzia di un sistema emulativo che porta ad una degenerazione del gruppo. La convivenza forzata in un ambiente ostile tira fuori il peggio dai ragazzi fino ad un predominio degli istinti animaleschi.
La differenza tra il romanzo e gli esperimenti sociali effettuati fin dagli anni ’60 sta nel fatto che Golding tratta di ragazzi, quindi non adulti corrotti dalla società ma anime innocenti mai poste a contatto con i peggiori istinti sociali.
Eppure, anche essi degenerano mostrando come sia l’essere umano in sé portatore del male.

Il pessimismo di Golding trova delle conferme nella psicologia sociale. È infatti piuttosto normale, di fronte ad avvenimenti violenti e crudeli, ascoltare coloro che hanno conosciuto chi ha compiuto quelle crudeltà descriverlo come una persona normale, uno come gli altri. Relegare il male nelle deviazioni, tra le anormalità, al di fuori della nostra cerchia, è rassicurante, ma è anche sbagliato.
Un ricercatore della Stanford University, Piero Bocchiaro, autore di vari libri di psicologia, uno dei quali si intitola “Psicologia del male”, ha analizzato una serie di famosi esperimenti attraverso i quali si cercava di comprendere la reale matrice di alcune abominevoli azioni umane.
Ad esempio nel 1961 si realizza questo esperimento scientifico: si prendono normali persone di diverso carattere e diversa estrazione sociale, alle quali si da il compito di verificare la capacità di apprendimento di un allievo. Si dice loro che ad ogni errore avrebbero dovuto punirlo con una scarica elettrica. Fu sorprendete notare che non solo nessuno si rifiutò di sottoporsi all’esperimento, ma col tempo passavano ad impartire scosse sempre più elevate, nonostante la sofferenza dell’allievo.
Ovviamente i soggetti non erano a conoscenza che le scosse erano solo finte, per cui si concluse che è piuttosto facile, immettendosi nei panni di una generica autorità, fare del male agli altri. Insomma, basta dare una giustificazione, per un presunto bene superiore, per oltrepassare quel limite sottile oltre l’umanità.

Un altro esperimento piuttosto chiarificatore è stato realizzato qualche anno dopo, dal quale hanno tratto anche un film (The experiment). Delle normali persone vengono suddivise in due gruppi, carcerati e carcerieri, ed entrambi devono svolgere il loro ruolo. Col tempo entrambi i gruppi entrano nel loro ruolo al punto che dopo appena 6 giorni l’esperimento viene sospeso per le eccessive violenze del gruppo dei carcerieri nei confronti dei carcerati, violenze che sconfinano pericolosamente nel sadismo.
In questa prospettiva non ha quindi senso la domanda che molti si sono posti in merito alle violenze perpetrate ad Abu Ghraib, come se fossero stati selezionati e concentrati lì gli americani più sadici e crudeli, è il contesto che porta i carcerieri ad agire in quel modo.
E così allo stesso modo si possono spiegare le violenze del G8 e tutti gli episodi similari ai quali abbiamo assistito negli anni.

Questo per chiarire che, al di là di problematiche psicologiche personali, è il contesto che spesso trascina anche persone tranquille a compiere atti violenti e malvagi, è il ruolo che viene assunto in determinate condizioni che porta a compiere atti anche crudeli.
L’esempio classico è la violenza di gruppo, dove persone normalmente miti e pacifiche se prese singolarmente, in gruppo sono capaci di violenze inusitate.
Il concetto è, quindi, che non importa conoscere chi, quanto piuttosto verificare il contesto in cui si muovono determinate persone per sapere cosa possono realmente fare.
È ovvio che non tutti sono così permeabili alle influenze del gruppo o del contesto, ma è palese che chi si trova in disaccordo col gruppo tende ad essere normalizzato oppure, in alternativa, emarginato.
Chiaramente non è un modo per giustificare questo tipo di comportamenti, in quanto un crimine è sempre un crimine, però è essenziale capire come si innescano e soprattutto che un po’ tutti noi possiamo giungere a scoppi di violenza inaspettati.

È importante, quindi, tener bene a mente tutto ciò nel momento in cui oggi, in un periodo di crisi, si moltiplicano le voci dissenzienti nei confronti del governo e giustamente critiche dello scarso operato o degli evidenti errori commessi dai politici, questi ultimi tesi più che altro a scaricare la crisi sulle classi deboli e a proteggere i loro privilegi ed interessi. Se tutto ciò è giusto e legittimo, è pur tuttavia vitale che non si scada nell’esaltazione dell’odio, proprio perché, sulla base degli studi psicologici, sappiamo bene che il gruppo tende a degenerare facilmente nella violenza.
L’ostensione del cappio, lo sbandierare i forconi, il richiamo a Piazzale Loreto, sono elementi che non possono essere giustificati in quanto il passo dal mero vagheggiamento all’applicazione pratica è molto più breve di quanto si possa pensare.

Insomma, non si è buoni o cattivi a prescindere, con un divisorio in mezzo, né possiamo cullarci dietro la certezza (perché ci conosciamo!!!!) che non faremmo mai del male a nessuno, perché il contesto, specialmente in presenza di circostanze estreme, specialmente se in un gruppo, ci fa diventare vulnerabili all’atmosfera della situazione, che può prendere il sopravvento fino a determinarci a compiere atti di estrema crudeltà.
I fattori che determinano questi comportamenti sono: la deindividuazione, cioè la sensazione di anonimato che deriva dall’essere parte di un gruppo, la deumanizzazione, cioè il considerare un individuo od una specifica categoria (pensiamo agli stranieri) come un essere inferiore, il conformismo, cioè la tendenza ad allineare il nostro comportamento a quello del gruppo, e l’obbedienza al potere, la propensione a sottomettersi agli ordini di un capo carismatico il quale si presenta come colui che conosce le risposte.
Sono tutte caratteristiche che, se ci pensate bene, si attagliano facilmente ad alcune discussioni o alcuni gruppi in rete, che sempre più spesso proliferano alimentando un livore iconoclastico nel quale è difficilmente rinvenibile un pensiero critico. Si tratta di gruppi o pagine che non accettano critiche, che non accettano posizioni divergenti, il solo azzardarsi a correggere i dati evidenziati fa scattare immediatamente il meccanismo dell’emarginazione: o con loro o contro di loro!

In questa prospettiva non si può non condividere quanto scrive Pino Aprile nel saggio Terroni, incentrato sulla secolare diatriba tra nord e sud, e teso a portare alla luce quanta retorica stia dietro alla considerazione dei meridionali come “sfaticati nullafacenti e buoni a nulla”.
Nei centocinquant’anni di unità il nord e il sud sono stati calati in uno specifico ruolo, fino a creare le opportune circostanze che rendessero il sud “meritevole” degli epiteti ingiuriosi del nord. La spoliazione di tutte le aziende, che ha provocato l’impossibilità da parte del sud di reggersi da solo economicamente e quindi di dover dipendere dall’elemosina del nord, è stata poi giustificata con la retorica del “sono tutti sfaticati e ladri”, la cui conferma finiva per essere ritrovata proprio nell’assenza di quell’economia a sua volta azzerata dalla depredazione del nord.
Anche qui la vittima è sempre costantemente diminuita, “non sono come noi”, “puzzano”, ecc…., con varie espressioni di disgusto utilizzate fin dai tempi dell’unificazione, da parte degli stessi italiani del nord. Dal nord partivano per liberare l’Italia meridionale, per operare un’azione nobile e disinteressata a beneficio di gente immeritevole di tanta attenzione. Questa era la retorica.
L’invasione del sud “senza Dio”, nonostante il re di Napoli fosse il più cattolico del tempo, era stata preparata accuratamente sul piano sociale, con una descrizione delle condizioni del regno delle Due Sicilie tanto disgustosa quanto falsa.
Eppure i meridionali, invece di essere “contenti” di essere stati liberati da un “regno oppressivo e borbonico”, preferirono fuggire in America; eppure le scuole del “regno senza cultura” furono chiuse tutte…
E l’esercito savoiardo sospese i diritti civili, imprigionò ed eseguì condanne senza processo, fino a radere al suolo interi paesi (Pontelandolfo e Casalduni), donne e bambini compresi, solo per aver avuto l’ardire di contestare l’unificazione.

I soldati nordisti avevano un ruolo, quello di oppressori, e gli abitanti del sud quello degli oppressi, e il ruolo fece la differenza, fino a portare alle estreme conseguenze l’esperimento, come sostiene Pino Aprile, realizzato nel sud Italia.
Mentre a Stanford occorsero solo 6 giorni per giungere alle sevizie, al sud hanno avuto 150 anni per rendere gli italiani del sud dei meridionali, e l’esperimento è talmente riuscito che adesso ci credono specialmente loro, e tutt’ora abbandonano le loro città natali per fuggire, al nord o all’estero, senza nemmeno guardarsi indietro, spesso contenti di aver ripudiato una realtà impossibile da vivere.
La distanza tra oppressori ed oppressi, sia fisica per i tanti che non hanno mai conosciuto quella realtà che criticano spesso, come Cavour che non andò mai al Sud, sia soprattutto morale, realizzata tramite una deumanizzazione degli oppressi, per i quali si utilizzano spesso espressioni ingiuriose, oppure semplicemente si manifesta l’assoluta mancanza di pietas nei casi di tragedie avvenute o semplicemente annunciate, spiega molto di quanto accaduto dall’unità (si fa per dire!) d’Italia. Infatti alcuni liberatori (sempre per dire!) ebbero ripensamenti nel momento in cui vennero realmente a contatto con i “liberati”, quando videro come stavano davvero le cose passarono dalla parte degli oppressi e combatterono con i meridionali contro l’invasore. E lo stesso Garibaldi si pentì di essere stato causa di tanti dolori.

Il concetto ancora non compiutamente compreso, all’interno degli studi psicosociali è proprio la capacità di alcune, invero pochissime, persone, di sottrarsi a questa influenza del ruolo, del contesto.
Si pone l’accento sulla capacità di alcuni individui di sottrarsi al richiamo incantatore dell’autorità, riuscendo quindi a disobbedirgli nel momento in cui ne comprendono l’ingiustizia. Sono quelle rare figure che riescono in qualche modo a mantenere attivo il pensiero critico e seguire il richiamo dell’empatia, quelle rare figure che spesso finiscono per essere definite eroi, come Perlasca.
Sono quelli per i quali il principio dell’affiliazione, l’esigenza umana di essere accettati all’interno di un gruppo che porta il dissenziente a riallinearsi oppure ad esserne emarginato, fallisce.

Spesso i meridionali al nord sono i più critici verso i meridionali ed il loro “lassismo”, eppure nessuno si meraviglia quando un meridionale ottiene successo al nord o all’estero, nessuno si chiede perché quel “meridionale inferiore” è “riuscito”, e come si spieghi che un “essere inferiore” se lo si trapianta in altro contesto può fare cose egregie.
È evidente che non si tratta di razze inferiori, siano meridionali oppure extracomunitari o chissà che altro, è evidente che il problema sta nel contesto organizzato perché lì, in quel preciso luogo, esista il degrado che giustifichi tutto il resto.
È una spirale di impotenza appresa che Pino Aprile tratteggia benissimo nel suo saggio, “ti dedichi all’industria e te la chiudono per favorire il nord; ti dedichi all’agricoltura specializzata, e ti rovinano per un accordo rinnegato con la Francia; ricominci, e scoppia la guerra; la vigna te la distrugge il parassita; ti eri opposto in armi all’invasore e hai perso; hai offerto ragionamenti e temi di comune interesse all’invasore, e non ti ha ascoltato; hai messo i soldi al sicuro della Banca di Sconto, ed è fallita; hai cercato conforto e sostegno nelle leggi, ma erano tutte contro di te, a favore di un’altra parte del paese… Ora, ognuna di queste vicende ha una ragione, ma messe in fila, la ragione diventa un’altra: sei tu. Ti vogliono convincere, e ti convinci, che c’è una tua insufficienza, incapacità, alla radice dei tuoi mali. Per la teoria del mondo giusto, hai quel che ti meriti…”.

Le conclusioni di questi studi psicosociali mostrano come la normalità sia il male, mentre il bene è un’eccezione, ed è per questo che è necessario non cedere mai alle lusinghe della strada più facile, quella della pecora che segue il gregge. Il comportamento delle persone tende ad adeguarsi all’idea dominante, per un principio di economicità dell’azione e del pensiero, fino a rafforzarla. È così che la visione condivisa, il pregiudizio, diventa realtà.

L’ultimo esperimento di cui darò conto è davvero molto interessante. Viene assegnata una prova ad un gruppo di persone, una prova talmente semplice la cui risposta è scontata, ma i soggetti devono rispondere dopo un altro gruppo, composto da complici, i quali esprimono il loro parere ad alta voce. Il primo gruppo dà in maggioranza la risposta errata.
A questo punto non è molto sorprendente scoprire che il secondo gruppo, in larga parte, dà anch’esso la risposta errata.
Quale che sia il motivo, paura del giudizio altrui, paura delle proprie competenze e capacità, insicurezza, o semplicemente perché pensare con la propria testa è stressante, comporta una fatica immane cercare le giuste informazioni e analizzarle compiutamente al fine di farsi un’idea propria di una vicenda, il dato di fatto è che la maggioranza si conforma alle decisioni prese da altri, fa proprie le idee degli altri, in genere pochi manipolatori, senza una analisi critica di quelle idee.
Qualsiasi movimento che nasce senza un’idea concreta alle sue spalle, è destinato a finire tra le braccia del primo manipolatore che indichi la strada, ovviamente la “sua” strada!


Commenti
Sono stati scritti 3 commenti sin'ora »
  1. avatarcarmengueye - 24 agosto 2011

    Ho letto di recente un giallo da ombrellone. Lì un gruppo di persone diventa malvagio per l’effetto ‘”anello inverso”, a causa di un’antenna. A proposito di antenne, cosa si diceva in un altro articolo?…     😮

    Lascia un Commento
  2. avatarAndrez - 24 agosto 2011

    Bsaett:
    Il concetto ancora non compiutamente compreso, all’interno degli studi psicosociali è proprio la capacità di alcune, invero pochissime, persone, di sottrarsi a questa influenza del ruolo, del contesto.
    Si pone l’accento sulla capacità di alcuni individui di sottrarsi al richiamo incantatore dell’autorità, riuscendo quindi a disobbedirgli nel momento in cui ne comprendono l’ingiustizia. Sono quelle rare figure che riescono in qualche modo a mantenere attivo il pensiero critico e seguire il richiamo dell’empatia, …

    Sono circa il 12-15% della popolazione le  “alcune, invero pochissime persone…”  come dice lo stesso Stanford. Gli altri sono gli eterodiretti, persone incapaci di scegliere da sè stessi e che si lasciano influenzare-manipolare dalle circostanze, dagli eventi, dagli amici, dalla famiglia, dalla pubblicità ecc.

    Questo 12-15% di cittadini riesce a non subire la deindividuazione, cioè la sensazione di anonimato che deriva dall’essere parte di un gruppo, la deumanizzazione, cioè il considerare un individuo od una specifica categoria (pensiamo agli stranieri) come un essere inferiore, il conformismo, cioè la tendenza ad allineare il nostro comportamento a quello del gruppo, e l’obbedienza al potere, la propensione a sottomettersi agli ordini di un capo carismatico il quale si presenta come colui che conosce le risposte.

    In questo test, simile a quelli citati da Bsaett,  sono confermati i valori suesposti:

    Il terribile esperimento mostrato alla televisione francese qualche giorno fa.
    Il documentario si intitola Il Gioco della morte, e mette in scena un gioco a premi in cui i candidati, per vincere, ricevono l’ingiunzione di infliggere all’avversario che sbaglia i quiz una scarica elettrica sempre più intensa, fino al massimo voltaggio che uccide.
    La vittima è un attore che grida per finta, ma i candidati non lo sanno. Il risultato è impaurente: l’81 per cento obbedisce, spostando la manopola sui 460 volt che danno la morte. Solo nove persone si fermano, udendo i primi gemiti del colpito. Sette rinunciano, poi svengono.

     

     

     

    Lascia un Commento
  3. avatarZeitgeist - 24 agosto 2011

    E’ terrificante vedere come l’uomo, dotato della così detta, intelligenza, sia spesso più feroce spietato e sottomesso degli altri così detti, animali.
    Facciamoci un po schifo!  😈

    Lascia un Commento

Devi essere Registrato per poter laciare un commento!.