Rodotà no, il posto è destinato a Prodi

Ecco perché Rodotà non verrà eletto come Presidente della Repubblica, posto destinato a Prodi.

A guardarci in fino, a parte alcune seppur importanti sfumature, non è che tra Prodi e Rodotà vi sia una differenza così consistente. Entrambi sono del PD, non credo che si possano entrambi incasellare così facilmente nelle varie correnti che solcano il partito, e soprattutto sono entrambi esponenti della casta.

Eppure destano nella maggior parte dei militanti, quelli che compongono la base, ed in generale tra i sostenitori del PD,  dei sentimenti diversi. Come dimenticare l’entusiasmo che accoglieva Prodi quando fu nominato Presidente dei Consiglio, e la delusione quando le diatribe e le battaglie interne al partito portarono alla fine anticipata, e in più casi, della sua esperienza di governo. Eppure quell’entusiasmo verso Prodi in questa occasione tra la base è molto più sopito, meno diffuso, certamente meno sentito.

Niente a che vedere con l’entusiasmo mostrato verso Rodotà. Questo perché seppure, come ho già detto, non si trovino grandi differenze, mi sembra, tra queste due certamente autorevoli personalità della politica, essi sono stati trasformati, loro malgrado, in due simboli di fazioni opposte. Prodi è rimasto simbolo della vecchia politica, dell’inciucio magari non con gli avversari, come certamente indicava Marini, ma certamente con chi di cambiamento, di aria nuova in politica non ne vuole nemmeno sentire parlare. E’ certamente simbolo dei privilegi della casta e del loro mantenimento nella forma quanto più possibile ampia, salvo quanto necessario per salvare la faccia.

E ancora più in là, è il simbolo di questa Europa creata a metà, iniziata e poi lasciata andare a se stessa, così che i poteri forti e le nazioni più arroganti e con maggiori potenzialità possano dettare legge, dove l’unione monetaria non poggia su un’unione politica/economica/fiscale con gli evidenti disastri che ne conseguono. Rodotà, invece, è stato elevato a simbolo del cambiamento diretto ed indiretto. Diretto perché pur con tutti i suoi limiti e difetti ha dato dimostrazione di sobrietà e rettitudine, di affidabilità e coerenza. Indiretto perché grazie a lui sembra (sottolineo sembra, ma per i più appare ormai un dato di fatto) si aprirebbe la porta alla formazione di un governo, non con il PDL e con Berlusconi, ma con il M5S e potrebbe allontanarsi lo spettro di prossime elezioni.

Quindi, necessariamente un governo di cambiamento; quanto cambiamento, questo è tutto da vedere, ma certamente cambiamento. E qui sta la chiave della questione. Sì, perché Bersani, e più in generale la dirigenza del PD, questo cambiamento tanto sventolato, urlato, invocato proprio non lo può accettare e subire, figuriamoci determinarlo. Limitandoci a Bersani, questo vale per due motivi: il primo motivo è che lo stesso Bersani potrebbe rimanere travolto dal cambiamento, finendo in qualche modo defenestrato, messo da parte, ostracizzato da quelle componenti che si adeguerebbero a tale cambiamento.

Mi sembra che tra i nuovi eletti qualcuno ci sia. Ma sarebbe una contraddizione in termini, perché proprio chi guida al cambiamento dovrebbe essere la vittima del cambiamento, quindi non potrebbe spingere in quella direzione. Il secondo motivo è che Bersani, pur apparendo come leader, in realtà tutto sembra fuorché un leader, e tutto il resto della dirigenza del PD, tutti quelli salvati con il listone di intoccabili proposto a ridosso delle recenti (sembra ormai un decennio fa) elezioni finirebbero travolti dall’ondata di rinnovamento, sia come personaggi nella posizione che occupano, sia nel loro modo di fare (o forse meglio non fare) politica, con l’evidente distacco dalla base che in questi giorni si sta manifestando con sconcertante evidenza.

Ed inoltre il prode Bersani dovrebbe affrontare anche tutti questi personaggi, ammesso, e non concesso, che intendesse dare effettivamente inizio ad un qualche tipo di cambiamento. Ecco quindi che Rodotà non può essere oggetto di proposta da parte di chi nulla avrebbe da ricavarci dalla sua elezione.